Margini di Žižek

Istintivamente sono portato a dire che la scrittura di Slavoj Žižek non mi piace, però, devo ammetterlo, produce agli occhi della mia mente un'autentica fascinazione. Žižek tratta con naturalezza di Heidegger e Kant, di Freud e Lacan, di Derrida e Deleuze, di marxismo althusseriano e scuola di Francoforte. Fa interagire, con rara efficacia e maestria, tutti i topoi della chiacchiera filosofica continentale, contrapponendoli agli esempi tratti dalla letteratura, agli aneddoti di cronaca, e soprattutto a quella forma ambigua di narrazione per immagini a cui ci hanno assuefatto i prodotti di Hollywood. Si tratta di uno spettacolo meraviglioso, l'unico inconveniente è che alla fine non mi ci raccapezzo e rimango perplesso. E non sono l'unico.

As every schoolchild knows by now, a new book by Žižek is supposed to include, in no special order, discussions of Hegel, Marx and Kant; various pre-and post-socialist anecdotes and reflections; notes on Kafka as well as on mass-cultural writers like Stephen King or Patricia Highsmith; references to opera (Wagner, Mozart); jokes from the Marx Brothers; outbursts of obscenity, scatological as well as sexual; interventions in the history of philosophy, from Spinoza and Kierkegaard to Kripke and Dennett; analyses of Hitchcock films and other Hollywood products; references to current events; disquisitions on obscure points of Lacanian doctrine; polemics with various contemporary theorists (Derrida, Deleuze); comparative theology; and, most recently, reports on cognitive philosophy and neuroscientific ‘advances’. These are lined up in what Eisenstein liked to call ‘a montage of attractions’, a kind of theoretical variety show, in which a series of ‘numbers’ succeed each other and hold the audience in rapt fascination. It is a wonderful show; the only drawback is that at the end the reader is perplexed as to the ideas that have been presented, or at least as to the major ones to be retained. One would think that reading all Žižek’s books in succession would only compound this problem: on the contrary, it simplifies it somewhat, as the larger concepts begin to emerge from the mist.

Insomma, leggendo Žižek, la sensazione che ne ricavo è che il discorso non porti da nessuna parte, non abbia conclusione, sia fine a sé stesso, esattamente come lo sono le architetture postmoderne, dove la razionalità viene riaffermata continuamente attraverso l'ostinata ripetizione della sua negazione. Forse per questo, in qualche modo, mi ci ritrovo. Dopotutto anche io considero L'innominabile il capolavoro assoluto della letteratura del XX secolo.

Hollywood con Lacan

Per comprendere meglio il mondo di Žižek occorre tenere presente qualche punto di repere biografico. Nato a Lubiana, nella Jugoslavia comunista governata dal Maresciallo Tito, figlio unico di burocrati appartenenti alla classe media, ha comunque modo di entrare in contatto con i film di Hollywood e di dedicarsi allo studio della filosofia francese all'università.

Un aspetto del controllo statale che ebbe un effetto positivo su Žižek era la legge che imponeva alle società cinematografiche di depositare negli archivi dell'università locale una copia di ogni film che volevano distribuire. Quindi Žižek ebbe la possibilità di guardare ogni novità americana ed europea e di costruirsi una solida padronanza delle tradizioni di Hollywood

Il mediatore evanescente

Nella filosofia di Žižek un posto di rilievo spetta al concetto di mediatore evanescente. Il soggetto e l'Inconscio ne sono esempi.

Nel "poststrutturalismo" il soggetto è di norma ridotto alla cosiddetta soggettivazione, viene concepito come effetto di un processo fondamentalmente non soggettivo: il soggetto è sempre preso nel e attraversato dal processo presoggettivo (della 'scrittura', del 'desiderio', ecc.), e l'enfasi è posta sulle diverse modalità che gli individui hanno di 'sentire' e 'vivere' la loro posizione di soggetti, 'attori', 'agenti' del processo storico. [..] Il grande maestro di questo tipo di analisi è stato ovviamente Foucault [..]

Ma il paradigma del soggetto proposto da Lacan è ben differente. [..] se sottraiamo tutta la ricchezza delle diverse modalità di soggettivazione, la pienezza di esperienza presente nel modo in cui gli individui vivono le loro posizioni di soggetto, ciò che rimane è il luogo vuoto che era precedentemente colmato da questa ricchezza; questo vuoto originario, questa lacuna della struttura simbolica, è il soggetto, il soggetto del significante. Perciò il soggetto deve essere rigorosamente opposto all'effetto della soggettivazione: ciò che la soggettivazione maschera non è un processo pre- o trans-oggettivo di scrittura, ma una lacuna nella struttura, una lacuna che è il soggetto.

Questo soggetto postmoderno decentrato in Žižek subisce, attraverso la ripresa del cogito cartesiano, una metamorfosi.

Per Žižek l'anello mancante tra natura e cultura deve essere cercato nel processo del dubbio cartesiano. Žižek descrive il processo del dubbio cartesiano come un ritirarsi in se stessi, un ritirarsi simboleggato dal ritirarsi fisico dello stesso Cartesio vicino alla stufa. [..] Questo è, per Žižek, un gesto di follia, la follia specifica della 'notte del mondo' di Hegel:

Ciò che qui esiste è la notte, l'interno della natura - un puro sé; in fantasmagoriche rappresentazioni tutt'intorno è notte, improvvisamente balza fuori qui una testa insanguinata, là un'altra figura bianca, e altrettanto improvvisamente scompaiono. Questa notte si vede quando si fissa negli occhi un uomo - si penetra in una notte, che diviene spaventosa.

È solo quando la realtà è eclissata da questa notte del mondo, quando il mondo viene vissuto solo come perdita, come negatività assoluta, che diventa possibile e invero necessario (se vogliamo sfuggire alla follia), costruire un universo simbolico o un universo della cultura.

In questo modo si viene a definire il soggetto.

Per Žižek il cogito di Cartesio non è l'Io sostanziale dell'individuo, ma un vuoto punto di negatività. [..] Ed è proprio qui, in questo spazio vuoto privo di alcun contenuto, che Žižek situa il soggetto. Il soggetto, in altre parole, è un vuoto.

Il soggetto si pone come una vuota presenza tra natura e cultura.

Il soggetto è l'anello mancante, o il mediatore evanescente tra lo stato di natura e lo stato di cultura.

In sostanza il passaggio tra il Reale della natura ed l'Ordine Simbolico della cultura viene mediato dal vuoto - la follia - del soggetto. Il luogo vuoto del soggetto viene letteralmente riempito di parole.

Ma c'è di più. Anche nella dimensione sociale, e non solo individuale lo stato di passaggio da una condizione politica ad un'altra - che si rivela essere sempre la stessa - rappresenta il momento dell'autocoscienza.

Forse si può dire lo stesso per il passaggio dal socialismo reale al capitalismo reale nei paesi ex comunisti dell'Europa orientale: nonostante la delusione per le aspettative tradite, nel frattempo, in questo passaggio, qualcosa è successo. Ed è appunto qui, in questo evento transitorio, in questa mediazione evanescente, in questo istante di entusiasmo democratico, che dobbiamo individuare la dimensione decisiva che è stata offuscata dal successivo ritorno della normalità.

Perché "Essere e tempo" è rimasto incompiuto?

Žižek è un filosofo postmoderno, e si pone, fra le altre cose, l'obiettivo di trovare una risposta non convenzionale ad una delle domande che più hanno tormentato il sonno dei filosofi continentali del XX secolo: Perché "Essere e tempo" è rimasto incompiuto?

La vulgata heideggeriana narra di come egli abbia compiuto la sua Kehre (svolta) dopo aver compreso che il progetto originario di Essere e tempo ricadeva nel soggettivismo trascendentale: a causa di un residuo inconsapevole di soggettivismo [..]

e ancora

Credo di poter affermare, contro la versione "ufficiale" del suddetto ostacolo (Heidegger si era accorto di come il progetto di Essere e tempo fosse ancora invischiato nel processo trascendental-soggettivista, ovvero nello stabilire in primo luogo le condizioni di possibilità del senso dell'Essere attraverso l'analisi dell'Esserci), che Heidegger, nel corso delle sue ricerche per Essere e tempo, si è trovato di fronte al vero abisso della soggettività radicale annunciato dall'immaginazione trascendentale kantiana e, davanti a esso, ha preferito rifugiarsi nel suo pensiero della storicità dell'Essere.

Questa critica è già stata avanzata da Cornelius Castoriadis, il quale sostiene che il concetto kantiano di immaginazione [..] è già preannunciato in un singolare passaggio del De Anima (III, 7 e 8) dove Aristotele dichiara: L'anima non pensa mai senza fantasma [..]

La grande intuizione di Heidegger è consistita nel percepire questa impasse di Kant, e nel collegarla al suo rifiuto di trarre fino in fondo le conseguenze della finitezza del soggetto trascendentale [..] la temporalità non rappresenta una modalità insufficiente dell'eternità: essa è, al contrario, l'eternità stessa [..]

L'impasse di Kant è dunque condensata nel fraintendimento (o nella falsa identificazione) della spontaneità della liberta trascendentale come noumenica: la spontaneità trascendentale è giusto una cosa che non può essere concepita come noumenica

A questo punto mi sono perso Heidegger. O, forse, Žižek vuole lasciarci semplicemente intendere, poiché non lo dice espressamente e il discorso non si chiude, che Heidegger si è fermato là dove si era fermato a suo tempo Kant? Ma questo lo aveva già detto Kojève.

Perché la perversione non è una sovversione

Una delle conclusioni più importanti che dovremmo trarre dalle riflessioni su Kant con Sade è la seguente: quelli che, come Michel Foucault, credono nel potenziale sovversivo delle perversioni finiscono, prima o poi, per negare l'Inconscio freudiano.

Dice ancora Žižek l'Inconscio non è accessibile attraverso le perversioni, ergo l'Inconscio ha qualcosa a che fare con la sovversione, le perversioni no, non sono sovversive. L'isteria, che dà, nella psicoanalisi, accesso all'Inconscio è, essa sì, sovversiva. L'isterico è sovversivo, il perverso no. Questa la conclusione. Perché ciò accade se gli scenari segreti (il fantasma) che il perverso realizza e l'isterico sogna sono gli stessi? La risposta di Žižek è:

Perché l'Inconscio freudiano non corrisponde al contenuto fantasmatico segreto, ma è qualcosa che interviene nel mezzo, nel processo di traduzione-trasposizione del contenuto fantasmatico segreto nel testo di un sogno (o in un sintomo isterico).

La realizzazione degli scenari fantasmatici messa in opera dal perverso, sempre secondo Žižek, invece offusca l'Inconscio, lo mette tra parentesi, e quindi il perverso non ne subisce le proibizioni. Da questo Žižek trae anche delle singolari conclusioni politiche.

il soggetto delle tarde relazioni capitalistiche di mercato è un perverso; il "soggetto democratico" (il tipo di soggettività implicato dalla democrazia moderna) è invece intrinsecamente isterico [..] quando Rancière definisce la nostra epoca "postpolitica" intende [..] la "postpolitica" è il modo perverso di amministrare gli affari sociali, sprovvisto della dimensione "istericizzata" universale e "dis-organizzata".

Qui mi fermo perché nel passo successivo l'isteria continua ad esistere soltanto perché trae un godimento perverso dalla sua vittimizzazione e questo è troppo anche per me.

Deleuze un due tre.

La critica di deleuze alla psicoanalisi "edipica" non è forse un caso esemplare di rifiuto perverso dell'isteria? [..] il perverso si spinge coraggiosamente fino all'estremo nell'insidiare le fondamenta stesse dell'autorità simbolica [..]

Per Lacan senza dubbio, questa radicalizzazione "antiedipica" della psicoanalisi rappresenta una trappola da evitare a qualunque costo [..] la "radicalità" del filosofo [..] rappresenta il modello stesso della falsa radicalità trasgressiva.

Il riferimento è a Deleuze ma l'attacco è a Foucault.

Per Foucault (un filosofo perverso, diciamo così) la relazione tra proibizione e desiderio è circolare e assolutamente immanente: il potere e la resistenza (contropotere) si presuppongono e si generano a vicenda, nel senso che le misure proibitive che categorizzano e regolano i desideri illeciti sono anche quelle che li generano.

Ma

In seguito [Foucault] dà l'impressione di riconoscere che questa continuità assoluta tra resistenza e potere non è sufficiente a fondare una resistenza efficace contro il potere, una resistenza che non faccia "parte del gioco" [..] Foucault ha pensato di individuare un'eccezione nell'Antichità: le nozioni antiche di "uso dei piaceri" e "cura di sé" non comportano infatti ancora un riferimento alla Legge universale. Eppure, l'immagine dell'Antichità tratteggiata negli ultimi due libri di Foucault è strictu sensu fantasmatica [..]

Qui mi fermo perché la digressione è già troppo lontana dal tema che mi sono prefisso.

In Il freddo e il crudele, Deleuze fornisce una insuperata formulazione del carattere radicalmente nuovo della concezione kantiana di Legge morale:

[..] la legge non dipende più dal Bene, ma al contrario è il bene a dipendere dalla legge [..] E in ogni caso, rendendo LA legge un fondamento ultimo, Kant dotava il pensiero moderno di una delle sue principali dimensioni: l'oggetto della legge si sottrae in modo essenziale [..] Quel che più è chiaro, infatti, è che LA LEGGE, definita dalla sua pura forma, senza materia e senza oggetto, senza specificazione, è tale che non si sa che cosa sia, e che neppure si può saperlo. Essa agisce senza essere conosciuta. Essa definisce un ambito di erranza in cui si è già colpevoli, vale a dire in cui si sono già trasgrediti i limiti prima di sapere cosa essa sia: così Edipo. E neppure la colpa e il castigo ci fanno conoscere cosa sia la legge, lasciandola in quella stessa indeterminazione che, come tale, corrisponde all'estrema precisione del castigo.

[..] la forma vuota della Legge funziona piuttosto da promessa di un contenuto assente che (non) arriverà.

Le 'non-conoscenze sconosciute'

Il 12 febbraio 2002 il Segretario alla difesa degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, durante un briefing con la stampa incappa in un corto circuito mentale sul quale tornerà nelle sue memorie.

Q: Could I follow up, Mr. Secretary, on what you just said, please? In regard to Iraq weapons of mass destruction and terrorists, is there any evidence to indicate that Iraq has attempted to or is willing to supply terrorists with weapons of mass destruction? Because there are reports that there is no evidence of a direct link between Baghdad and some of these terrorist organizations.

Rumsfeld: Reports that say that something hasn't happened are always interesting to me, because as we know, there are known knowns; there are things we know we know. We also know there are known unknowns; that is to say we know there are some things we do not know. But there are also unknown unknowns - the ones we don't know we don't know. And if one looks throughout the history of our country and other free countries, it is the latter category that tend to be the difficult ones.
And so people who have the omniscience that they can say with high certainty that something has not happened or is not being tried, have capabilities that are - what was the word you used, Pam, earlier?

Q: Free associate? (laughs)

Rumsfeld: Yeah. They can - (chuckles) - they can do things I can't do. (laughter)

Q: Excuse me. But is this an unknown unknown?

Rumsfeld: I'm not -

Q: Because you said several unknowns, and I'm just wondering if this is an unknown unknown.

Rumsfeld: I'm not going to say which it is.

Su questo passaggio Žižek ritorna più volte

Nel marzo 2003, Donald Rumsfeld si impegnò in una breve gara di dilettantesco filosofare intorno alla relazione fra il conosciuto e lo sconosciuto: «Vi sono conoscenze conosciute. Si tratta di cose che sappiamo di conoscere. Vi sono conoscenze sconosciute, ossia cose che sappiamo di non sapere. Ma vi sono anche non-conoscenze sconosciute. Vi sono, cioè, cose che non sappiamo di non sapere». Quel che Rumsfeld dimenticò di aggiungere era il quarto, cruciale termine: «le conoscenze sconosciute», quelle cose che non sappiamo di sapere, vale a dire l'inconscio freudiano, la «conoscenza che non conosce se stessa», come diceva Lacan, il nocciolo della quale è il fantasma. Se Rumsfeld pensa che le principali insidie nell'affrontare l'Iraq siano le «non-conoscenze sconosciute», ossia le minacce che provengono da Saddam o dai suoi successori, delle quali non possiamo nemmeno sospettare la portata, quel che potremmo rispondere è che le principali insidie sono, al contrario, le «conoscenze sconosciute», le credenze e le supposizioni rinnegate che non sappiamo nemmeno far parte di noi, ma che non di meno determinano le nostre azioni e i nostri sentimenti.

L'impasse

Per Lacan, l'impasse fondamentale del desiderio umano è che esso coincide con il desiderio dell'altro inteso nel senso di genitivo sia soggettivo che oggettivo: desiderio per l'altro, desiderio di essere desiderato dall'altro e, soprattutto, desiderio per quanto l'altro desidera. Invidia e risentimento sono, come sant'Agostino ben sapeva, una componente costitutiva del desiderio umano; si pensi al brano delle Confessioni spesso citato da Lacan, che descrive un neonato geloso del fatto che il fratello succhi il seno della madre: «Ho veduto proprio io, e ne soffrii, un bimbo geloso che non ancora parlava, ma rimirava pallido e con occhio torvo il suo compagno di latte» 9 Basandosi su questa intuizione, Jean-Pierre Dupuy 10 ha proposto una convincente critica alla teoria della giustizia di John Rawls. Nel modello di società giusta elaborato da Rawls, le disuguaglianze sociali sono tollerate solo nella misura in cui anch'esse aiutano chi si trova alla base della scala sociale e nella misura in cui non si fondano su gerarchie ereditarie, ma sulle disuguaglianze naturali, che vengono considerate contingenti e che dunque non stanno a significare alcun merito. 11 Quel che Rawls non vede è come una simile società creerebbe le condizioni per un'incontrollata esplosione di risentimento: in essa saprei che il mio stato di inferiorità è pienamente giustificato e sarei privato della possibilità di incolpare l'ingiustizia sociale del mio fallimento.

Non v'è da stupirsi che persino gli odierni conservatori siano pronti a sottoscrivere la nozione di giustizia di Rawls. Nel dicembre 2005, per esempio David Cameron, da poco eletto leader dei Conservatori britannici, segnalò la sua intenzione di trasformare il Partito Conservatore in un difensore dei non-privilegiati quando dichiarò: «Penso che il banco di prova di tutte le nostre politiche dovrebbe essere: che cosa serve tutto questo alle persone che hanno meno di tutti, alle persone che occupano il gradino più basso della scala sociale?» Persino Friedrich Hayek 12 era nel giusto quando sottolineava come sia assai più facile accettare le disuguaglianze se si sostiene che esse derivano da una forza impersonale e cieca. La cosa buona dell'«irrazionalità» del successo o del fallimento nel capitalismo del libero mercato (si ricordi il vecchio motivo del mercato come la versione moderna di un Fato imponderabile) è dunque il fatto che essa mi consente di percepire il mio fallimento (o il mio successo) appunto come «immeritato», contingente. Proprio l'ingiustizia del capitalismo è la caratteristica-chiave che la rende tollerabile per la maggioranza (posso accettare il mio fallimento più facilmente se so che esso non è dovuto alle mie inferiori qualità, ma al caso).

Lacan condivide con Nietzsche e Freud l'idea che la giustizia come uguaglianza sia fondata sull'invidia: l'invidia che proviamo nei confronti dell'altro che ha quel che noi non abbiamo e che ne gode. L'esigenza di giustizia è, in definitiva, l'esigenza che l'eccessivo godimento dell'altro venga ridotto, in modo che l'accesso di ciascuno al godimento sia uguale. Il necessario sbocco di una tale esigenza è ovviamente l'ascetismo: visto che imporre l'uguale godimento è impossibile, quel che si può imporre è una proibizione ugualmente condivisa.

Dopo aver paragonato l'interlocuzione Habermas - Foucault con l'opposizione, un altro dibattito, [..] tra Althusser e Lacan ecco un giudizio su cui riflettere.

Con Habermas abbiamo l'etica della comunicazione ininterrotta, l'Ideale di una comunità universale, trasparente e intersoggettiva; la nozione di soggetto che vi è sottesa, ovviamente, è quella del vecchio soggetto della riflessione trascendentale per quanto nella versione offerta dalla filosofia del linguaggio. Con Foucault si opera una svolta contro questa dimensione universalista, svolta traducentesi in una sorta di estetizzazione dell'etica: ogni soggetto deve attuare, senza fare appello ad alcuna norma universale, la specifica modalità in cui ha padronanza di sé; deve armonizzare l'antagonismo dei poteri all'interno di sé stesso, deve inventarsi, per così dire, produrre sé stesso come soggetto, trovare la propria speciale arte di vivere. E per questo che Foucault era così affascinato da quegli stili di vita marginali che costruiscono le loro particolari forme di soggettività (l'universo omosessuale sadomasochista)?

Réécrire l'histoire

Il passato esiste in quanto viene incluso, in quanto entra nella rete sincronica del significante — cioè in quanto viene simbolizzato nella trama della memoria storica — ed è per questo che non si finisce mai di «riscrivere la storia», di conferire retroattivamente agli elementi un peso simbolico includendoli in nuove trame: è questa elaborazione che decide retroattivamente quello che essi «saranno stati». Il filosofo di Oxford Michael Dummett ha scritto due saggi estremamente interessanti, inclusi nella sua raccolta La verità e altri enigmi: 3 Può un effetto precedere la causa? e Far accadere il passato. La risposta lacaniana a questi due enigmi è: sì, perché il sintomo come «ritorno del rimosso» è precisamente un tale effetto che precede la causa (il suo nucleo nascosto, il suo significato), e quando elaboriamo il sintomo quello che facciamo è precisamente «far accadere il passato», produciamo cioè la realtà simbolica di eventi traumatici da tempo dimenticati.

Perciò saremmo tentati di vedere nel «paradosso del tempo» dei romanzi di fantascienza una specie di allucinatoria «apparizione nel Reale» della struttura elementare del processo simbolico, il cosiddetto otto interno-rovesciato: un movimento circolare, una specie di cappio in cui possiamo progredire solo «sorpassando» noi stessi nel transfert, per ritrovarci in seguito in un punto in cui siamo già stati. Il paradosso consiste nel fatto che questa digressione superflua, questo cappio supplementare che fa sì che si debba sorpassare sé stessi (il «viaggio nel futuro») e poi invertire la direzione del tempo (il «viaggio nel passato») non è solo un'illusione-percezione soggettiva di un processo oggettivo che ha luogo autonomamente nella cosiddetta realtà. Questo cappio supplementare è invece una condizione immanente, un componente interno del processo «oggettivo»: solo attraverso questa digressione addizionale il passato, l'«oggettivo» stato delle cose, diventa retrospettivamente ciò che è sempre stato.

Il transfert è allora un'illusione, ma un illusione tale che non può essere aggirata affinché si acceda direttamente alla Verità: la Verità stessa è costituita attraverso l'illusione che è propria del transfert: «la verità sorge dal fraintendimento» (Lacan). 4 Se questa struttura paradossale non risultasse ancora chiara, si consideri un altro esempio tratto dalla fantascienza, il celebre racconto di William Tenn La scoperta di Morniel Mathaway. 5 Un illustre storico dell'arte del venticinqucsimo secolo compie un viaggio, mediante una macchina del tempo, fino ai nostri giorni, per conoscere, e studiare dal vivo, l'immortale Morniel Mathaway, un pittore non ancora apprezzato nel ventesimo secolo, ma che verrà riconosciuto in seguito come il più grande artista della nostra epoca. Quando lo incontra, lo storico dell'arte non trova in lui alcuna traccia di genialità; l'uomo che ha di fronte è solo un impostore, un megalomane, addirittura un imbroglione. Mathaway gli ruba infatti la macchina del tempo e fugge nel futuro, cosicché il povero storico dell'arte rimane prigioniero nel passato. L'unica cosa che gli rimane da fare è assumere l'identità del fuggitivo e dipingere tutti i capolavori che saranno attribuiti a Mathaway: è proprio lui, in realtà, il genio incompreso che stava cercando!

Perciò è questo il paradosso fondamentale: il soggetto è messo di fronte a una scena del passato che vuole cambiare, in cui vuole immischiarsi, in cui vuole intervenire; compie un viaggio nel passato, si intromette nella scena, e non accade che egli «non possa cambiare niente»; avviene piuttosto il contrario: solo attraverso il suo intervento la scena del passato diventa ciò che è sempre stata, il suo intervento era fin dal principio compreso, incluso nella stessa. L'«illusione» iniziale del soggetto consiste semplicemente nel dimenticare di ammettere nella scena la propria azione, e cioè di non vedere che «conta, che è contato, e in questo contato già c'è il contante». 6 Ciò introduce un rapporto tra verità e misconoscimento/equivoco in cui la Verità, letteralmente, sorge dal misconoscimento, come nel celebre racconto dell'«appuntamento a Samarra» (dalla pièce teatrale Sheppey di Somerset Maugham):

MORTE: C'era una volta un mercante di Baghdad che mandò il suo servo al mercato a comprare provviste; questi tornò dopo poco, pallido e tremante, e disse, Padrone, proprio or ora, mentre ero al mercato, sono stato urtato da una donna tra la folla e quando mi sono voltato ho visto che chi mi aveva urtato era la morte. Mi ha guardato e ha fatto un gesto minaccioso; ora, dammi il tuo cavallo affinché possa scappare da questa città e sfuggire al mio destino. Andrò a Samarra e là la morte non mi troverà. Il mercante gli diede il suo cavallo e il servo lo montò, gli piantò gli speroni nei fianchi e se ne andò veloce quanto il cavallo poteva galoppare. Allora il mercante scese al mercato e mi vide tra la folla venne da me e mi disse, Perché hai fatto un gesto minaccioso al mio servo quando l'hai visto questa mattina? Non era un gesto minaccioso, dissi io, era solo un moto di sorpresa. Ero stupita di vederlo a Baghdad, dal momento che ho un appuntamento con lui stanotte a Samarra. 7

Rinveniamo la stessa struttura nel mito di Edipo: viene preannunciato al padre di Edipo, Laio, che suo figlio lo ucciderà e sposerà sua madre Giocasta; la profezia si avvera, «diventa realtà», mediante il tentativo di sfuggirle (Laio abbandona il piccolo Edipo nella foresta, cosicché questi, quando incontrerà il padre vent'anni dopo, non riconoscendolo, lo ucciderà...). In altre parole, la profezia si avvera a causa dei tentativi che la persona interessata fa di sottrarvisi: conosciamo in anticipo il nostro destino, cerchiamo di sfuggirgli, ed è proprio attraverso questo tentativo che il destino predetto si avvera. Senza la profezia, il piccolo Edipo vivrebbe felice e contento con i genitori e non ci sarebbe alcun «complesso di Edipo»...

Ad captum vulgi

Non avevo nessuna intenzione di leggere ancora Žižek, e non lo farò, ma sfogliando Meno di niente mi sono imbattuto in una citazione da Leo Strauss che non posso evitare di commentare.

La matrice lacaniana della «negazione della negazione» è chiaramente rintracciabile nell'idea di Leo Strauss riguardo alla necessità, per il filosofo, di impiegare «nobili menzogne», di far ricorso al mito, a narrazioni ad captum vulgi. Il problema è che Strauss non trae tutte le necessarie conseguenze dall'ambiguità di questa posizione. Essa rimane scissa tra due poli opposti: la convinzione che i filosofi conoscano la verità e tuttavia la giudichino inadatta all'uomo comune, il quale non sarebbe in grado di sopportarla (in quanto essa minerebbe le fondamenta della sua moralità, che affondano nella «nobile menzogna» di un Dio personale che punisce il peccato e ricompensa il bene); e l'idea che il nocciolo della verità sia inaccessibile al pensiero concettuale in quanto tale, ragion per cui i filosofi stessi devono far ricorso ai miti e ad altre forme di affabulazione per colmare i vuoti strutturali del loro sapere. Naturalmente, Strauss è consapevole del duplice status del segreto: un segreto è ciò che chi insegna sa (e tuttavia si rifluta di divulgare ai non-iniziati) e non sa (in quanto non può essere completamente penetrato e articolato in termini concettuali). Di conseguenza, il filosofo utilizza parabole e discorsi enigmatici al fine di nascondere l'autentico nucleo del suo insegnamento all'uomo comune; al contempo, l'uso di questi discorsi è l'unico modo per descrivere le intuizioni filosofiche più profonde. [76]

E ovvio allora che Strauss risponda in modo strettamente hegeliano all'obiezione avanzata dal senso comune, secondo la quale, quando viene offerta la spiegazione esoterica di un'opera che è già essa stessa esoterica (come nel caso dell'esegesi biblica di Maimonide), essa sarà doppiamente esoterica e di conseguenza doppiamente difficile da decifrare rispetto all'opera in questione:

grazie a Maimonide, l'insegnamento segreto è accessibile a noi in due versioni differenti: nella versione biblica originale e nella versione derivata della Guida Cdi Maimonide). Ciascuna versione da sola potrebbe essere del tutto incomprensibile; ma possiamo essere in grado di decifrare entrambe usando la luce che una sparge sull'altra. La nostra posizione assomiglia allora a quella dell'archeologo di fronte a un'iscrizione in una lingua sconosciuta, che poi scopre una seconda iscrizione che riproduce la traduzione di quel testo in un'altra lingua ignota [..] [Maimonide] scrisse la Guida secondo le regole che era abituato a seguire nella lettura della Bibbia. Perciò, se vogliamo capire la Guida, dobbiamo leggerla secondo quelle stesse regole. [77]

La reduplicazione del problema genera, paradossalmente, la sua soluzione. [..] Per Strauss [..] queste narrazioni di misteri spirituali non sono altro che favole inventate ad captum vulgi. [..] per Strauss il segreto esoterico insopportabile è il fatto che non c'è nessun Dio o anima immortale, nessuna giustizia divina, ma soltanto questo mondo terrestre, privo di un significato più profondo o della garanzia di un esito felice.

Quando evidenzia il paradosso immanente a una teologia che procede ad captum vulgi, Strauss elabora una sorta di manuale della negazione della negazione hegeliana. [78] Innanzitutto, seguendo Spinoza, sostiene che nella Bibbia Dio parla il linguaggio dell'uomo comune, adattando il suo discorso ai pregiudizi correnti (presentandosi come autorità suprema, come legislatore che compie miracoli, profezie e dispensa grazie); in breve, racconta storie che mobilitano il potere dell'immaginazione umana. Tuttavia, nel passo successivo sorge necessariamentc la seguente domanda: l'idea di Dio come Autorità suprema che si serve di stratagemmi, esprime misericordia e ira e così via, non è forse un'idea comune che può essere formulata solo se si parla con l'occhio rivolto alle capacità del volgo?

In cauda venenum

Nella Prefazione a La fragilità dell'assoluto sovrappone la diade san Paolo - Cristo a quella Marx - Lenin per giustificare la tesi secondo cui contro il nuovo oscurantismo è giustificata l'alleanza cristianesimo - marxismo.

Uno degli aspetti più deplorevoli dell'era post-moderna e del suo cosiddetto "pensiero" è il ritorno della dimensione religiosa in tutte le sue diverse forme: da quello cristiano ad altri tipi di fondamentalismo, passando attraverso la moltitudine dei nuovi spiritualismi New Age, fino ad a una nuova sensibilità religiosa che sta emergendo all'interno del decostruzionismo stesso (il pensiero "post-secolare"). Come può un marxista, per definizione un materialista militante (Lenin), fronteggiare questo massiccio attacco di oscurantismo? L'ovvia risposta sembra essere non solo quella di contrastare queste tendenze con determinazione, ma anche di denunciare senza pietà i residui dell'eredità religiosa dello stesso marxismo. Contro la vecchia "calunnia liberale" che poggia sul parallelismo fra la nozione "messianica" di storia nel cristianesimo e nel marxismo come processo di liberazione finale del fedele (il noto tema "i partiti comunisti sono sette religiose secolarizzate"), non si dovrebbe forse mettere in rilievo che questo funziona solo per il marxismo "dogmatico" ossificato e non per la sua vera essenza emancipante? Sulle orme dell'innovativo libro su san Paolo di Alain Badiou, la nostra premessa è qui esattamente l'opposto: invece di adottare tale posizione difensiva, dando al nemico la possibilità di definire il campo di battaglia, ciò che si dovrebbe fare è rovesciare la strategia avallando in pieno quello di cui si è accusati : si, c'è una parentela in linea retta fra cristianesimo e marxismo; si, cristianesimo e marxismo dovrebbero combattere dalla stessa parte della barricata l'attacco degli emergenti spiritualismi — l'autentica eredità cristiana è troppo preziosa per essere lasciata a degli eccentrici fondamentalisti.

Anche quelli che riconoscono quest'affinità in linea retta dal cristianesimo al marxismo, tuttavia, di solito feticizzano i primi "autentici" seguaci di Cristo contro la Chiesa "istituzionalizzata" rappresentata dal nome di san Paolo: si "al messaggio originale autentico" di Cristo, no alla sua trasformazione nel corpo degli insegnamenti che legittimano la Chiesa come istituzione sociale. Quanto fanno i seguaci del motto "Si a Cristo, no a san Paolo" — coloro che, come affermò Nietzsche, hanno effettivamente inventato il cristianesimo — è in stretta relazione con la posizione di quei "marxisti umanisti" della metà del XX secolo il cui motto era "si al primo Marx autentico, no alla sua ossificazione leninista". E in entrambi i casi si dovrebbe controargomentare che una tale "difesa dell'autentico" è il modo più subdolo di tradirlo: non c'è Cristo al di fuori di San Paolo esattamente allo stesso modo, non c'è "Marx autentico" che possa essere affrontato direttamente, scavalcando Lenin.

Mi sembra che la posizione di Nietzsche, correttamente intesa, sia che san Paolo, e solo lui, è responsabile dell'invenzione del cristianesimo, contro l'insegnamento del Cristo. In questo senso dire che non c'è Cristo al di fuori di san Paolo significa anche dire che non c'è nessun Cristo, poiché il logos del Cristo è diverso dal logos paolino.

Mi sembra anche una forzatura ingiustificata appiattire Marx su Lenin. Non vorrei che si potesse un giorno dire non c'è Freud senza Lacan, o non c'è Lacan al di fuori di Žižek...

Beh, che dire... mi sembra che basti questo per demolire tutto il resto...

MP

Bibliografia

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