Keynes o Hayek
La recensione di Peter Clarke su The Guardian del volume di Nicholas Wapshott, Keynes - Hayek, inizia con un aneddoto.
In 1949 a famous free-market economist made a significant decision. He knew that in Arkansas the state laws made divorce easy – and cheap. He was married to a woman whom he acknowledged had been "a very good wife" for more than 20 years, and with whom he'd had two children. But his real love, previously married herself, had told him that she was now free to remarry. So the economist got a job at the University of Arkansas and, once resident, also got a divorce, quickly and efficiently, all at a very reasonable price.
Questo episodio - commenta Clarke con un fondo di ironia - dimostra una certa coerenza nel comportamento di Hayek rispetto alla sua concezione dell'informazione e dei prezzi.
Il pregio del libro di Wapshott è, appunto, quello di saper innestare il racconto biografico nella discussione delle idee. Pur contenendo ampi squarci biografici sulla vita dei due protagonisti, traccia quella che si potrebbe definire una biografia delle idee.
Nel secolo scorso, in occidente, si è svolto uno scontro ideologico, tutto interno al liberalismo, sul ruolo dello Stato e del mercato, a cui hanno dato un volto due uomini: John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek.
La fine del laissez-faire
L'obiettivo di Keynes é trovare gli strumenti per rendere il capitalismo più efficiente e contrastare in questo modo il socialismo. Si tratta di pura e semplice concorrenza.
come scrisse a sir Charles Addis, un direttore della Banca d'Inghilterra,cerco di migliorare il funzionamento della società non di rovesciarla.
Keynes trova lo spunto da cui partire per la soluzione del problema nella proposta di Lloyd George di un piano di opere publiche contro la disoccupazione dilagante in Inghilterra dopo la prima guerra mondiale.
[nel gennaio 1924] Ramsay MacDonald diventò il primo premier laburista britannico, per quanto con un governo di minoranza [..] In aprile, una corrispondenza per il Nation invocò un programma di opere pubbliche pagato dai contribuenti per riportare al lavoro il paese. Questa proposta era una trovata dell'ex primo ministro liberale Lloyd George per far vedere che il suo partito pensava ai lavoratori più del Labour [..] Keynes partecipò al dibattito il mese seguente con un articolo intitolato La disoccupazione necessita di rimedi drastici?. La risposta, suggeriva l'autore, era un sonoro si.
L'attacco di Keynes al laissez-faire proseguì con un secondo articolo per il Nation ed ebbe un punto di svolta con la conferenza The End of laissez-faire per la Sidney Ball Memorial Lecture alla Oxford University nel novembre 1924, ripetuta due anni dopo all'università di Berlino. Il seguito fa parte della biografia di Keynes e della storia dell'economia.
The Road to Serfdom
Per Hayek il problema va impostato in modo completamente diverso. Nel 1944 publica The Road to Serfdom dove non si parla di economia, ma di politica. Il confronto con il socialismo, inteso in senso molto ampio, comprendendo con questo termine tutte le dottrine che privilegiano l'intervento publico in economia, e quindi anche gli interventi proposti da Keynes, è sostanzialmente ideologico e unidirezionale.
Per il modo in cui è espressa, la posizione di Hayek presta il fianco all'accusa di parzialità, che gli viene rivolta dallo scrittore George Orwell nella recensione a The Road to Serfdom
Tipica è una recensione dell'autore di 1984, George Orwell, non certo restio quando si trattava di sentire puzza di autoritarismo strisciante.Nella parte negativa della tesi del professor Hayek c'è tanta varità. Il collettivismo non è intrinsecamente democratico, anzi, conferisce a una minoranza tirannica poteri che l'Inquisizione spagnola non s'è mai sognata.Però aggiungeva:Il professor Hayek... non capisce, o non ammette, che un ritorno alla 'libera' concorrenza significa per la grande massa dei persone una tirannide forse peggiore perché più irresponsabile di quella dello stato. Il problema della concorrenza è che qualcuno vince. Il professor Hayek nega che il libero capitalismo porti necessariamente al monopolio, ma in pratica è lì che conduce e, dato che la stragrande maggioranza delle persone preferisce di gran lunga l'irreggimentazione statale alle crisi e alla disoccupazione, la deriva verso il collettivismo è destinata a proseguire se l'opinione pubblica non ha voce in capitolo.
e da Jacob Viner, cofondatore della scuola di Chicago, nella recensione a The Constitution of Liberty
Viner lamentava l'eccessivo semplicismo, le contraddizioni e il discutibile metodo scientifico dell'autore [..] Ripeteva poi la critica di George Orwell a The Road to Serfdom, cioè che l'autore aveva concentrato esclusivamente le sue obiezioni sulla coercizione del settore pubblico quando critiche identiche potevano essere rivolte alle grandi aziende private. Viner punzecchiava Hayek perché giustificava i cartelli privati mentre attaccava i sindacati che monopolizzavano l'offerta di braccia, e ridicolizzava la richiesta dell'autore di una flat-tax [..]Persino nelle sue manifestazioni più estreme, la tassazione progressiva non è mai stata spinta fino al punto che la 'sopravvivenza' è diventata più difficile per il ricco quanto a imponibile che per il povero.
Naturalmente l'assunto di Hayek, che l'intervento pubblico in economia avrebbe portato inevitabilmente al totalitarismo, non è stato confermato dai fatti. Viceversa è molto probabile che le misure economiche proposte da Hayek, qualora siano applicate in modo rigoroso ad un sistema liberale, conducano in un tempo più meno lungo alla crisi del sistema stesso.
Conclusione
Il libero mercato è la condizione più efficiente per l'allocazione delle risorse a condizione che esista un deus ex machina esterno al mercato che ne garantisca il corretto funzionamento.
Bibliografia
- Nicholas Wapshott
- - Keynes o Hayek. Lo scontro che ha definito l'economia moderna, tr. Giancarlo Carlotti, Feltrinelli, Milano, 2012