Eric Weil

Aprendo la Logica della filosofia di Eric Weil sono rimasto affascinato dalle concatenazioni istituite dai brevi capitoli che introducono il discorso. Sono sensibile al gioco delle parole, al graduale scivolamento del senso, non ho resitito al fascino sottile di quelle piccole composizioni.

Concatenazioni

Non senso . La verità è non senso. In effetti la verità non è che la verità, tutto ciò che si mostra non è la verità. Tutto è non verità, tutto è privo di senso, poiché ogni senso determinato è inadeguato a la verità. [135]

Il vero e il falso . La comprensione del non-senso come verità crea l'opposizione del vero e del falso. Parlare di una verità diversa da quella del non-senso è falso, dire il non-senso è la verità è vero. Perché il non-senso è proclamato verità, la verità si è determinata e questa verità può essere formulata. [143]

Certezza . La negazione è compresa come l'essere della verità: il vero nega il falso. Il vero è ciò che nega, ma non subisce la negazione. Il vero è così il contenuti della vita, l'essenziale positivo, e l'uomo vive nella certezza. [153]

La discussione . La certezza non può affermare il proprio contenuto contro un'altra certezza se non mediante la sua distruzione violenta. Là dove l'uso della violenza è escluso, gli uomini regolano la loro vita in comune grazie al linguaggio formalmente uno: discutono. [172]

L'oggetto . La discussione non è mai conclusa, ma l'attività dell'uomo non si arresta per attenderne la fine. Quindi, la discussione si mostra all'uomo come un gioco che può acquistare valore solo a condizione di lasciarsi guidare da qualcosa di indipendente dal linguaggio formale - dall'oggetto [197]

L'Io . Sapendosi soltanto ragionevole in un mondo della Ragione, l'uomo si vede respinto soltanto sulla propria individualità: come è, cerca la sua felicità di uomo. L'Io, come si trova, cerca la Ragione per se stesso. [221]

Dio . L'Io non trova soddisfazione nel suo isolamento perché la troverebbe soltanto rinunciando a essere io. La trova contrapponendosi un altro io dal quale sia compreso come sentimento, soddisfatto come desiderio, determinato come uomo, non come essere naturale: Dio [245]

Condizione . La fede lascia l'uomo nella libertà senza un contenuto determinato dalla sua libertà. La libertà appare allora all'uomo nella vita come una fuga di fronte alla realtà della vita - che è la condizione [284]

Coscienza . L'uomo che non riesce ad abbandonarsi al progresso del lavoro scientifico e non si accontenta neppure di un linguaggio che sa superato dalla scienza, si coglie come coscienza [323]

Intelligenza . Per l'uomo la coscienza non è che una possibilità tra le altre di condurre la propria vita. Vedendo la pluralità di quelle possibilità che sono gli interessi degli uomini (non dell'individuo),l'uomo si libera come intelligenza [363]

Personalità . L'uomo che non si accontenta del gioco dell'intelligenza ma interpreta se stesso - senza tuttavia rinunciare all'intelligenza - si costituisce come centro di un mondo che è quello della sua libertà. Egli è valore assoluto, fonte di valori: personalità [389]

L'Assoluto . L'uomo che non si accontenta di esprimersi nel conflitto come immagine, ma si volge verso il conflitto per coglierlo nella sua universalità concreta, perviene al discorso unico e assolutamente coerente nel quale scompare in quanto personalità: è il pensiero che esiste pensando se stesso, l'Assoluto [437]

L'opera . L'Assoluto lascia l'uomo particolare alla sua libertà concreta. Può occuparsi senza occuparsi di sé e senza opporsi alla sua occupazione; essere uomo è agire e l'uomo è quel che fa: la sua opera [473]

Il finito . L'uomo può rifiutare l'opera senza accettare il discorso: si tiene allora nell'ambito del linguaggio, ma come essere finito per il quale non c'è né opera né discorso coerente. [505]

L'azione . La finitezza rivelando la condizione umana, si rivela semplice discorso all'uomo che si oppone alla violenza sul piano della violenza: quest'uomo agisce sulla realtà nella sua totalità per sottometterla al suo discorso [537]

Senso . L'uomo trova nell'azione l'unità della vita e del discorso. Ora, come l'azione in quanto universale nega il discorso dell'uomo in quanto suo per mezzo e nella propria azione, dal discorso si stacca il linguaggio, dal senso della vita il senso [563]

Saggezza. Compresa la filosofia nel suo essere formale, il discorso si è compiuto: la Verità è presente nella Saggezza, risultato del pensiero che si è pensato [589]

"Uno dei libri più importanti del secolo" scrive Livio Sichirollo curatore della traduzione italiana apparsa per i tipi de Il Mulino. Publicato nel 1950, ma pensato in cinque anni di campo di concentramento - il manoscritto porta le date 1 agosto 1939 e 27 dicembre 1946 - con enormi quantità di tempo a disposizione. È appunto questa la dimensione che il libro ci restituisce: il tempo.

Il filosofo e la paura

Dopo Hobbes ed Hegel il filosofo non può pensare al di fuori della paura perché il fatto è che il filosofo ha paura della violenza.

Il fatto è che il filosofo ha paura. Non è vile, neanche dirlo; vuole anche affrontare la morte, vuole perfino subirla se bisogna, non in letizia d'animo, certo, ma se deve scegliere fra una vita irragionevole o a-ragionevole da una parte e la fine della sua esistenza dall'altra, è per la morte che si deciderà. Non è neppure vile alla maniera di colui che teme una cosa o un avvenimento e fugge di fronte al pericolo. Al contrario, in questo senso è coraggioso, e forse più coraggioso della maggior parte degli eroi che si difendono tanto bene dalla paura solo perché non sono abbastanza intelligenti da vedere i rischi che corrono. Ma ha paura di quel che non è ragione in lui e vive con questa paura, e tutto ciò che fa, tutto ciò che dice e pensa è destinato a eliminarla o a calmarla. A tal punto che si potrebbe dir di lui che ha soprattutto paura della paura. Non teme il desiderio, non teme neanche il bisogno, lui che non teme la morte: teme di temere.

Perché la paura, più di qualsiasi altra passione, gli farebbe perdere il dominio di sè. Ha dominato il desiderio, che priva la maggior parte degli uomini della presenza; aspira alla veduta, alla theoria, sa che solo in questa attitudine potrà essere contento. Cosa resta in lui che possa preoccuparlo? La possibilità di perdersi, di cadere, non di ricascare nel desiderio ma di indietreggiare davanti a ciò che non può evitare, di dimenticare ciò che è in vista di quel che può accadergli: paura della paura.

Paura della paura? Sarà più semplice dire: paura della violenza. E' vero che il filosofo è deciso ad accettar la violenza, subire tutto quello che può accadergli, lottare, a rischio della vita contro tutto ciò che minaccerà di dominarlo. Ma è uomo, non è ancora saggio, e se lo è in certi momenti, non lo è sempre; conserva in sè l'animalità dell'essere vivente: se deve ad ogni istante tendersi contro le minacce, come potrà almeno pensare, trovare semplicemente il tempo di liberarsi? E non deve temere la violenza, e temerla in quanto filosofo - la violenza che gli impedirà di divenire o di essere saggio ? Egli sa cos'è essere saggio: che garanzia ha di diventarlo - lui, quest'uomo qui, animale ragionevole, che non si piegherà, non soccomberà davanti al pericolo, non avrà paura davanti al toro del tiranno o al sopracciglio aggrottato dell'essere amato? Vuole non essere indegno, spera di non esserlo, è deciso a morire piuttosto che a far sacrificio della ragione; ma questa decisione valida oggi, presa ieri, sarà capace di metterla in opera il giorno indeterminato della prova? La passione non si sarà fatta strada in lui in maniera insidiosa? Non sarà stato minato dall'interno prima di trovarsi faccia a faccia con la violenza esterna? Come gli altri temono ciò che capita loro dal di fuori, non deve egli temere quel che lo minaccia dal di dentro? E' ragionevolmente sicuro della sua ragione, sempre?

Non potrebbe esserlo - a meno che la vita degli uomini non sia tale ch'egli possa sapere che la sua paura della paura è senza fondamento. In altre parole bisogna che il mondo degli uomini sia tale che la passione non vi abbia posto, la negatività e il desiderio contribuiscono a costruire una forma di vita nella quale l'uomo, gli uomini siano al riparo dalla violenza, il loro carattere sia formato o trasformato in maniera tale che l'individuo non sia spinto verso la passione ma verso la ragione.

C'è dunque una risposta alla domanda che sembrava così difficile e riguardava il desiderio legittimo: è legittimo solo il desiderio che cerca la ragione e il contento. Quando e se tutti gli uomini non vogliono altro che essere contenti, quando nessuno cercherà più la soddisfazione e il piacere, nessuno sedurrà più nessun altro nè lo minaccerà, quando tutti insieme voleranno in aiuto di colui che soffre per la passione, allora, e solamente allora, il filosofo potrà vivere senza paura dell'uomo e dell'umanità.

Grazie al discorso dell'avversario, del discorso ragionevole, grazie all'antifilosofo, il segreto della filosofia si è così svelato: il filosofo vuole che la violenza scompaia dal mondo. Egli riconosce il bisogno, ammette il desiderio, conviene sul fatto che l'uomo resta animale pur essendo ragionevole: quel che importa è eliminare la violenza. E' legittimo desiderare ciò che riduce la quantità di violenza che entra nella vita dell'uomo; è illegittimo desiderare ciò che l'aumenta. [ LF, pp. 31-33 ]

La filosofia ha la stessa radice della violenza e porta la possibilità dell'alterità in sé stessa. Il filosofo ha paura della violenza. Non di subire violenza. Il filosofo ha paura di essere egli stesso violento. Il filosofo ha paura di lasciare che la violenza abbia la meglio.

Il discorso e la saggezza

La filosofia è obbligata a ripiegare sul discorso. Il discorso è un ripiego, conseguenza di una mancanza del discorso che fa sì che non si dia discorso proprio della saggezza.

Car, étant philosophie et n'ignorant pas qu'il n'y a pas de discours de la sagesse, mais seulement introduction à la sagesse, destruction de la négativité par la négativité même, appel à la conversion, abandon du langage à l'aide du langage, elle a toujours été obligée de se tourner vers le discours — discours essentiellement ironique, encore là où il fait tout pour ne pas le paraître: ce n'est pas lui qui importe, et il le sait, et il sait aussi que ce qui lui importe, il ne peut pas le dire et qu'il le fausserait et le trahirait s'il essayait de le dire au lieu de l'indiquer en parlant du contraire et en faisant comme s'il prenait ce contraire au sérieux pour qu'il fasse éclater l'insuffisance et le non-sens de ce contraire et pour qu'il pousse l'homme sur la voie qui le conduise à la raison, à la presence du contentement. Aucun système philosophique (à moins qu'on ne veuille reconnaître comme système philosophique des corps de doctrine qui ne prétendent eux-mêmes que formuler les règles de la science et d'organiser l'activité transformatrice de l'homme dans la nature), aucun système ne fait exception, et tous tendent vers le seul contentement. [LF, p. 11-12]

Le contentement

Sans doute, cela ne suffit pas pour nous guider; mais il nous permet déjà de donner un nom au bien : ce sera le contentement (εὐδαιμονία), car on a le droit de dire que ce mot désigne une chose que nous cherchons pour elle-même et dont, d'autre part, la réalisation ne dépasse pas nos forces.

Jusqu'ici pourtant, ce n'est qu'un mot. Les hommes cherchent le contentement; mais il le font de différentes façons. La puissance, l'honneur, la vertu, la contemplation, tout trouve des défenseurs (22). Comment se décider? En fait, notre définition du contentement n'est pas si formelle qu'elle en a l'air. Si le bien doit dépendre de notre activité, il sera caractérisé par l'activité qui est typiquement nôtre. C'est en créant le bien ou, ce qui est exactement la même chose, en accomplissant l'action humaine, que l'homme atteindra le contentement; il s'agit seulement de savoir s'il y a un bien humain ou, en d'autres termes, s'il y a une activité spécifiquement humaine (23)

Filosofia, discorso, violenza

Philosophie et violence définit le problème de la philosophie qui se pose aujourd'hui, au terme de la réflexion absolue de la philosophie par elle-même (operé par Hegel) et aprés les mises en question radicales voire violentes de la raison absolue, surgie du dedans comme du dehors de la philosophie.

Pour relever le défi de l’irruption dans notre modernité d’une violence radicale, il faut, selon Éric Weil, inscrire la cohérence des discours dans l’espace premier du langage et de sa négativité créatrice. S’il est possible, alors, de procéder à une mise en ordre logique des divers types d’intelligibilité élaborés dans l’histoire, c’est en subordonnant l’ensemble de ces catégories concrètes aux deux catégories formelles du sens et de la sagesse, de la compréhension et de la vie selon la compréhension. La philosophie se comprend ainsi dans le tout de la réalité qui se révèle en elle : sa systématicité dialogique a pour corollaire une ouverture sans réserve à l’extériorité du monde et de l’histoire. Cette transcendance dans l’immanence, à l’épreuve de la relativité de la condition, est-elle susceptible de rencontrer et d’accueillir l’attestation religieuse d’une transcendance absolue ? C’est la question que l’on se risque à poser pour finir.

MP

Bibliografia

Eric Weil
- Logica della filosofia, a cura di Livio Sichirollo, Il Mulino, 1997
- Logique de la philosophie, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris, 1950
- Essais et conférences: Philosophie, 2 voll., Plon, 1970-1971 poi Vrin, 1991
Alphonse de Waelhens
- Sur une logique de la philosophie, Revue Philosophique de Louvain Année 1953 29 pp. 107-137; uRL
Francis Guibal
- La philosophie et son «autre». Réflexions à partir de l'œuvre d'Éric Weil, Revue Philosophique de Louvain Année 1985 57 pp. 54-74; uRL
- Langage, discours, réalité. Le sens de la philosophie selon Éric Weil, Laval théologique et philosophique, Volume 68, Numéro 3, 2012, p. 593–617; uRL
Gilbert Kirscher
- Figures de la violence et de la modernité: Essais sur la philosophie d'Eric Weil, Presses Universitaires du Septentrion, Lille, 1992
Antonello Petrella
- Logica del senso. Storia, humanitas e giudizio nel pensiero di Eric Weil, Tesi, Università di Napoli, 2013; uRL
Giusi Strummiello
- Il logos violato. La violenza nella filosofia, Edizioni Dedalo, Bari, 2001