Civiltà delle macchine

Rivista di Finmeccanica

01 Consultando la bibliografia de Il Politecnico di Carlo Cattaneo mi è venuta fra le mani la rivista Civiltà delle macchine. Ho aperto il volume ed ho cominciato a sfogliarlo con sempre maggiore sorpresa. Ad ogni nuova pagina c'era qualcosa di familiare, di conosciuto, di già visto! Qualcosa mi riportava indietro nel tempo ad una età in cui si guarda con occhi vergini, senza sapere che verrà un giorno in cui quegli stessi oggetti avranno il potere quasi magico di farci ritrovare le sensazioni di un tempo. Da questo potete capire che quello che sto per darvi non potrà essere un giudizio obiettivo. Sarà come parlare della piccola ala di muro giallo che Marcel scorge nella Veduta di Delft alla mostra di Veermer, mentre le patate dell'ultima cena, rimastegli sullo stomaco, continuano a fargli girare la testa.

02La rivista Civiltà delle macchine nasce negli anni '50, il primo numero ha la data gennaio 1953, come rivista del gruppo industriale publico Finmeccanica. Ha come direttore Leonardo Sinisgalli e si apre con una lettera del poeta Giuseppe Ungaretti per giustificare la scelta del titolo. E' una rivista bimestrale, di cultura, su carta lucida, in formato grande. Un piccolo miracolo di equilibrio formale fra argomenti di scienza, di tecnica, di cultura umanistica e ... di pubblicità. Miracolo che si compie soprattutto nei 31 fascicoli diretti da Leonardo Sinisgalli, perchè ad un certo punto qualcuno si accorge di quel piccolo gioiello e decide di farlo suo. Con una decisione presa dal comitato di presidenza dell'IRI il 29 novembre 1956 la rivista passa da Finmeccanica all'Istituto per la Ricostruzione Industriale. L'annuncio viene dato direttamente dal presidente dell'IRI, Aldo Fascetti, nel secondo fascicolo marzo-aprile del 1957, con poche righe dal titolo Questa seconda serie . La comunicazione aziendale inizia così:

"Civiltà delle Macchine", pubblicata fino ad oggi dalla Finmeccanica sarà, da questo numero, la rivista di tutte le aziende IRI. "Civiltà delle Macchine" ha una sua impostazione di indubbio interesse. Per questo, avendo pensato di dotare le aziende IRI, di una pubblicazione che servisse per tutte, mi è sembrato che la formula adottata da "Civiltà delle Macchine " rispondesse alle esigenze intellettuali di coloro che direttamente o indirettamente operano nell'IRI...

03Già in quella semplice pagina di presentazione di un evento, che è peraltro un riconoscimento di successo, avviene una lacerazione della formula grafica cosi perfetta ideata da Sinisgalli. Alle poche righe del comunicato segue una "oscena" fotografia a tutta pagina di Aldo Fascetti e di alcuni notabili democristiani. Questa fotografia, che possiamo intuire, publicata su richiesta del nuovo mecenate, ma, scelta certamente dall'occhio di Sinisgalli, che prima di tutto è un "publicitario", nel suo contrasto evidente, e forse cercato, con la presentazione molto garbata delle immagini, che ha sempre guidato la rivista, ci dice molto di più di tante parole.

04Nel 1958 Leonardo Sinisgalli lascia l'IRI, e la rivista continua le pubblicazioni per altri venti anni, sotto la direzione di Francesco D'Arcais e le sospenderà solo nel 1979, travolta anch'essa dal dissesto ormai imminente dell'IRI. Nel 1977 sul numero 5-6 ( settembre - dicembre ) in un articolo dal titolo significativo, Autobiografia di una rivista, non firmato e da attribuirsi al direttore, Francesco D'Arcais ripercorreva i venticinque anni della rivista come se volesse farne un consuntivo; forse presentendo la cessazione ormai imminente delle pubblicazioni.

05D'Arcais con sicuro intuito individuava con precisione il motivo delle dimissioni di Sinisgalli, nel passaggio della rivista da Finmeccanica all'IRI o meglio in quanto era sott'inteso in questo cambiamento di committente :

non ci furono mutamenti nella struttura e nella scelta degli argomenti, mutamenti di rilievo, se non forse una maggiore attenzione ad alcuni problemi riguardanti la formula e l'attività dell'IRI. [...] sembra di poter arguire che il passaggio dalla Finmeccanica all'IRI ha messo in " crisi " la rivista nel senso che cambiava il retroterra, e che il " design" - bene o male filo conduttore della cultura espressa dalla rivista - andava perdendo mordente che l'ambiente nuovo risultava forse meno rassicurante al fondatore di "Civiltà delle Macchine". Tutte queste cose hanno permesso di dedurre come il 1957 fosse un anno di transizione [...] Era già uscito il secondo fascicolo del 1958 ed il terzo era in avanzata preparazione quando Sinisgalli annunciò di voler lasciare la rivista e l'Istituto avendo assunto altri incarichi presso aziende estranee al gruppo IRI.

06Quello che D'Arcais non dice, ma che bene si comprende dalle sue parole, è che si è cercato di utilizzare il prodotto della bravura di Sinisgalli come strumento di una ideologia che Sinisgalli non condivideva e per questo egli se n'è andato.

07Come si è detto Civiltà delle macchine soprattutto nei 31 numeri diretti da Leonardo Sinisgalli è stata un modello di equilibrio tra mondi e culture diverse, che D'Arcais descrive così :

Gli anni Cinquanta esprimono il boom del disegno industriale, e la pubblicazione è a cura del gruppo Finmeccanica : quindi molto Munari, molto Nizzoli, molto Dorfles, bizzarre vignette di Manzi in seconda e terza di copertina per la pubblicità spicciola delle aziende, e poi scrittori e pittori per quella "culturale" : Gadda, Caproni, Ferrata, Vespignani, Cantatore, Mafai, Corpora...
Il taglio era prevalentemente quello dell'estetica applicata alla meccanica o in essa ritrovata ("la forma segue la funzione") ed appare evidente negli articoli che parlano di costruzioni areonautiche, o automobilistiche, di cantieri navali o di utensili; lo si ritrova nei " reportages " che riferivano sulla attività delle aziende, e naturalmente in quel grande campo dell'"industrial design" che finì per richiamare in sè molte espressioni d'arte e portò la rivista ad assumere con sempre maggior frequenza e intensità l'aspetto di un periodico artistico.

08E non manca di sottolineare il livello alto tenuto dagli articoli scientifici. In verità ne parla come se si trattasse di un difetto. Mentre, forse, il difetto era in quello che è accaduto dopo : la divulgazione, che, sosteniamo noi, è più difficile e spesso serve solo a impedire nei fatti l'accesso a quella scienza che si vorrebbe divulgare perché si spezza l'atto conoscitivo, sostituendo ad esso un fatto narrativo, una "storia". Con tutte le conseguenze che questo sviamento comporta. Prosegue D'Arcais descrivendo la rivista di Sinisgalli :

Ma lungo tutto l'arco di quei primi cinque anni molti studi di fisica e di matematica, estremamente interessanti, ossia densi di formule, irti di ostacoli concettuali, per iniziati insomma, tutto il contrario di ciò che più tardi si volle fare costringendo gli scienziati italiani ad una faticosa ma utile e feconda divulgazione ad alto livello.

09Il corsivo è mio, ma volevo sottolineare, questo passo importante non solo perché indica il mutamento di indirizzo che la rivista avrà negli anni successivi, ma anche perché quel mutamento è espressione di una ideologia che coinvolgerà tutta la società.

10Vorrei anche notare che questo passaggio alla divulgazione che avviene a diversi livelli nella società italiana degli anni '60, non deve essere confuso con l'obiettivo che si era posto Cattaneo quando voleva che gli articoli scritti per Il Politecnico potessero essere capiti anche da chi non era specialista della materia trattata nell'articolo. Ho fatto questa osservazione perché è noto che anche Cattaneo costringeva o peggio ancora manipolava, secondo il suo giudizio, gli articoli da inserire nel Politecnico per renderli meglio conformi a questa esigenza di chiarezza, che non si deve però confondere, lo ripeto, con la divulgazione.

11E comincia, già dalla prima serie, un interrogarsi sul significato della tecnica il cui statuto filosofico appare anche oggi, a distanza di quaranta anni, ancora in discussione . Chi volesse ripercorrere l'indice della rivista diretta da Sinisgalli lo trova nell'ultimo fascicolo del 1958.

12In un articolo, Le mie stagioni milanesi, sul quinto numero, settembre-ottobre, del 1955, quando ormai la rivista ha preso forma e prestigio, Leonardo Sinisgalli si presenta ai lettori, raccontando, anche con una certa ingenuità, la sua storia partendo dall'inizio, dal suo arrivo a Milano, senza un lavoro:

Rasentavo le fabbriche verso mezzogiorno, quando mi ero appena alzato dal letto, sentivo il fischio delle sirene come una frustata, guardavo le file degli operai che inforcavano le biciclette, e quelli che andavano all'osteria, e i muratori che consumavano sui margini del prato i loro cartocci. Avevo pietà di me. Ma non ero infelice.

13E continua descrivendo lo svolgersi della sua vita nella Milano degli anni trenta, la vita intellettuale, i rapporti con gli industriali, in una parola l'humus da cui è nata Civiltà delle macchine.

14L'immagine dell'Italia che Sinisgalli ci restituisce è molto lontana dall'Italia di oggi; non sembra neppure lo stesso paese, è come se, dopo di allora, qualcosa si fosse irrimediabilmente spezzato e di questo cambiamento in atto sembra si accorge anche Sinisgalli quando nella chiusa dell'articolo esprime il suo rapporto con la parola, che sentiamo ci è affine:

Vorrei dire, di straforo, che una delle mie ambizioni fu proprio questa: provocare stimolare una prosa analitica piuttosto che il solito pezzo commemorativo, un referto e non un inno, un commento non una predica. Io sono sicuro che se i nostri scienziati e i nostri tecnici considerassero l'esercizio della scrittura alla stregua di un'operazione dignitosa (una vera e propria lima del pensiero) qual'è sempre stata per Leonardo o per Cartesio, per Leon Battista Alberti o per Maxwell, per Linneo o per Einstein, e se viceversa i letterati e i filosofi e i critici, come hanno fatto del resto Goethe e Valery, Hegel e Bergson, Giedion e Dewey, accogliessero con rinnovata simpatia, le ipotesi e i risultati del calcolo, dell'esperienza, una concordia nuova potrebbe sorgere tra le inquietudini e le stanchezze del nostro tempo, non voglio dire un nuovo mito. E' molto probabile che questo genere di letteratura "a comando", questo giornalismo tecnico prenda il sopravvento sulle pagine scritte in libertà, sulla prosa gratuita, sulla scrittura disinteressata. Abbiamo letto in questi ultimi giorni una "memoria" che accompagnava la relazione di bilancio di una grande società finanziaria belga: un saggio sull'utilizzazione delle materie prime che poteva portare una firma celebre, ed era invece soltanto una plaquette anonima. Io aspetto il gran giorno in cui il Regno dell'Utile sarà rinverdito dalla cultura, dalle metafore, dall'intelligenza. Quest'estate ho aperto qualche libro dei nostri illuministi, l'abate Galiani, Filangieri, Verri. Mi veniva da confrontare la nitidezza dei loro pensieri e delle loro parole alle sbavature di tanti articoli di fondo dei nostri giornaloni.

15L'intuizione di Sinisgalli è giusta. La parola dello scrittore, oggi, non è più necessariamente gratuita, ma si esprime anche al di fuori delle forme classiche del romanzo, del racconto o della tragedia. Anche una relazione sui Rapporti commerciali con gli Svizzeri, un Piano per le condotte mediche e chirurgiche forensi o uno scritto sul Pane di mistura hanno lo stesso statuto e la stessa dignità artistica della prosa letteraria. Basta leggere la bella edizione delle opere di Beccaria edita da Mediobanca, arrivare ai suoi scritti di funzionario (vol. VIII), per essere d'accordo con Sinisgalli.

16Gli spunti che, anche oggi, offre la lettura della rivista sono innumerevoli, e vanno dall'arte, al rapporto dell'uomo con la tecnica, alle novità della scienza e dell'industria. Ci sono articoli su Keynes e su Evariste Gaulois, sulla ricostruzione delle macchine di Leonardo da Vinci e sulla bonifica della vallata del Tennessy.

17Nella rivista di Sinisgalli ci si può permettere di alludere alla verità sorridendo in modo ambiguo come nell'articolo di Vittorio Bolis del 1953 Della prosperità negli Stati Uniti che ha per sottotitolo: Ovvero in linea generale e particolare la condizione di quel paese è una tipica manifestazione dei naturali sviluppi che nel comportamento umano determina l'uso indiscriminato del metodo razionale.

18L'uso indiscriminato del metodo razionale provoca la prosperità! Quale idiozia si direbbe oggi, Bolis non aveva letto Kojeve, ma a quei tempi, pensate un pò, si potevano scrivere queste cose su una rivista statale ! E questa è vera razionalità !

19Le copertine della rivista sono bellissime. A volte rappresentano quadri di artisti contemporanei, a volte sono fotografie di oggetti naturali, che subiscono un processo di straniamento e si mostrano nella loro valenza artistica. La copertina del numero due del 1957 ha i titolo Trucioli della Terni ed è costruita con la fotografia di semplici e normalissimi trucioli residui della lavorazione dell'acciaio. Chi non sa cosa siano i trucioli di acciaio può andare all'articolo Trucioli di Gino Papùli, dove accanto ad una discussione tecnico-scientifica sui trucioli di acciaio si introducono alcune considerazioni sull'essenza dell'arte che riporto perchè sono un motivo costante che circola in tutta la rivista:

Durante la guerra, in un'isba di uno sperduto villaggio russo, vidi una lampada fulminata tenuta come soprammobile. Ne provai stupore ed interpretai la cosa come indizio della ritardata evoluzione dei centri rurali lontani dalle strade di grande comunicazione e dalle linee elettriche.
Oggi riconosco a quella lampada inservibile gli stessi diritti di una ceramica di Picasso... Questa revisione del pensiero ha trovato conferma, tempo fa, nella decorosa casa di un colono umbro, dove - accanto alla radio - era posato il tortiglione bluastro di un truciolo di acciaio....

20Per chi non fosse convinto dirò che questa idea dell'arte si ricollega alla concezione dell'arte in Marcel Duchamp. E questo è sufficiente per situare le parole di Gino Papùli nel momento giusto e nel posto giusto.

21C'è in tutti i numeri della rivista diretti da Sinisgalli una attenzione all'opera d'arte, che non è solo formale come sarà in seguito, nella seconda serie, e che si esprime sia nella impaginazione che nella scelta degli artisti presentati. Ad esempio, sul numero 5 settembre-ottobre del 1959 si parla della Commessa 60124 alla Cornigliano. Bel nome per una scultura. Commessa 60124. Si tratta di una scultura realizzata in dieci giorni di lavoro da Nino Franchina e da una squadra di operai delle acciaierie di Cornigliano. Una statua commissionata dall'Istituto colombiano per la Mostra internazionale delle telecomunicazioni. Una scultura di notevole qualità, espressione di indubbie capacità tecniche; probabilmente un piccolo capolavoro di 15 metri di altezza. Chissà se Commessa 60124 è stata conservata? Io che abito a Genova non l'ho mai vista, eppure le strade di Genova le ho percorse da capo a fondo.

22Ma vorrei far notare anche che in questo articolo si uniscono critica d'arte, una ideologia del lavoro, una concezione della funzione sociale della tecnologia e publicità per il committente della rivista senza fare publicità.

23Andiamo adesso, brevemente, alla rivista diretta da Francesco D'Arcais cercando di individuare attraverso le sue stesse parole le novità nell'impostazione della rivista:

Ogni mutamento di direzione non può che essere un trauma, anche quando si conferma la continuità della linea seguita: ciascuno porta con sè una propria personalità anche intellettuale, e non è mai vero che le cose possano seguitare come prima [...]
L'insistenza con cui il presidente Fascetti sottolineava il ruolo dell'Istituto e del gruppo ( con due articoli, nel terzo fascicolo del 1957 e nel primo del 1959) ci spinsero ad indagare e a riferire su quanto di analogo avveniva in altri paesi nel campo dell'impresa pubblica ( in Francia e in Germania nel 1959, Scandinavia, India, Gran Bretagna nel 1960) mentre si cercava di mandare più ad effetto l'idea fondamentale che si dovesse affrontare il problema della "civiltà delle macchine" nella sua globalità, individuando alcuni grandi filoni... "il mondo delle macchine e l'uomo" (musica cinema e teatro nel 1959, caricatura, fantasia e un "profilo della letteratura industriale" nel 1960) non dimenticando, in occasione dei Giochi Olimpici di Roma, quella specifica "macchina uomo" che è l'atleta... e ancora "la macchina personaggio della pittura" con una specie di controcanto dato da due sedicesimi fuori testo in occasione della Pasqua e del Natale 1960, con una "crocifissione" e "la natività" nella pittura moderna.
Uno sforzo particolare ha richiesto la serie di cinque saggi (1959) con la preziosa collaborazione di Ginestra Amaldi "dalla fisica classica alla fisica moderna" e dei migliori studiosi italiani ...[ in cui ]... sforzammo gli scienziati italiani a non rifuggire dalla seria divulgazione.

24Sentiamo già da queste poche parole che l'impostazione della rivista si capovolge : non è più un mezzo per far entrare la tecnica nella società, come accadeva anche nel Politecnico del Cattaneo, a cui è dedicato in un articolo nel 1957, ma è la società che entra nella rivista e occupa gli spazi che prima erano riservati alla tecnica, alla scienza e alla razionalità. Ho detto società ma forse si tratta di un eufemismo... Come scrive Rolf Petri, nella sua Storia economica d'Italia :

Il management della industrie publiche pretendeva un ampio margine di autonomia per le sue azioni, che in genere gli veniva concesso (e che sarebbe stato eroso solo a partire dagli anni sessanta con l'intromissione diretta dei partiti governativi nella gestione del settore publico).

25La rivista, ormai esangue anche esteticamente, cessa le pubblicazioni nel 1979, ingloriosamente, con un numero monografico di ben 184 pagine ( luglio-dicembre 1979) dedicato a Cultura e religione. Il tema e il tenore della trattazione non hanno più alcuna relazione con una pubblicazione industriale, anche se si tratta di industria publica, ma rispecchiano bene la sudditanza ideologica che si era venuta sempre più creando negli anni '60 e '70 all'interno delle imprese publiche, verso forze esterne alle imprese, per nulla interessate allo sviluppo delle stesse ed alla prosperità sociale per il cui fine sono state create queste industrie, ma solo al loro sfruttamento per i propri fini propagandistici, ideologici ed economici. Ma questa è un'altra storia...

26La trasformazione del paese avvenuta negli anni '60 e '70 colpisce anche la città che era stata il motore della crescita, rivelando tutta la debolezza di un progetto di sviluppo prigioniero delle ideologie. Sinisgalli in un articolo del 10 febbraio 1976 su Il Mattino di Napoli, intitolato emblematicamente La decadenza di Milano « traccia una sorta di riepilogo finale del suo quarantennio trascorso al servizio degli imprenditori milanesi, sottolineando alcuni aspetti per i quali la citta, che aveva ospitato il genio di Leonardo, ha progressivamente perso l'esprit de technique » :

L'industria [...] è scaduta progressivamente perché è venuto a mancare, via via, lo stimolo, l'alimentazione, il controllo da parte della cultura. C'è una certa differenza tra la gestione della Olivetti, tenuta da Adriano Olivetti, e le successive gestioni di Peccei e Visentini. L'ing. Adriano (lo chiamavamo così, quaranta anni fa), era un capo appassionato e vivamente partecipe, fino all'esaltazione; mentre gli altri, dal poco che ho potuto dedurre da alcuni stralci di dichiarazioni, sono distaccati, gelidi, tutto sommato indifferenti. L'Olivetti si è andata normalizzando, appiattendo, ha perduto di anno in anno il lustro della sua immagine: "è diventata come la Fiat" mi confidavano i vecchi amici che incontravo di tanto in tanto. Mi dissero che a un certo momento si pensò perfino di affidare il budget publicitario a un'agenzia americana! Anche all'Alitalia, con cui ho avuto a che fare per qualche anno, si pensò di affidare la difesa dell'immagine a un'agenzia americana. Temo che abbia fatto lo stesso la Bassetti. E non so bene cosa è successo alla Pirelli dopo la morte di Arrigo Castellani, che, contro le tentazioni interne di molti filistei, riuscì a difendere la priorità dell'invenzione sull'amministrazione. La crescita a macchia d'olio delle agenzie publicitarie, preferite [...] agli uffici autonomi di una volta, la metto tra i motivi di decadenza di Milano. Alla città è venuto a mancare il sostegno dell'immaginazione. Del resto mi sono reso conto da tempo che la funzione dell'intellettuale, nell'industria non è più quella dei pionieri. L'intellettuale oggi considera come secondo mestiere il lavoro che fa nell'azienda: questa deve dargli gli alimenti non la gloria. La gloria è affidata ai quadernetti manoscritti che si porta in ufficio e che, quando si vede disturbato o si accorge di andare in transe [sic] posseduto dal demone, si trascina furtivo al cesso. [...] Gli intellettuali stipendiati dall'industria si incontrano meno al loro posto, ma più spesso nei comitati di redazione di giornali e riviste, nei corridoi delle case editrici, nei grandi alberghi, nelle librerie alla moda, ai vernissages, nei teatri, nelle giurie, nei convegni, nelle crociere politico - culturali.

26Per avere un'altra prospettiva della Milano anni '50 potete andare alla pagina dedicata a Luciano Bianciardi.

MP

Bibliografia

Antonio Di Silvestro
- [2005] Leonardo Sinisgalli fra scrittura e trascrizione, Leo S. Olschki, Firenze, 2005
Giuseppe Lupo
- [1996] Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta, Milano, Vita e Pensiero, 1996
- [2004] Sinisgalli e Leonardo, in Cultura scientifica e cultura umanistica: contrasto o integrazione?, a cura di Giorgio Olcese, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova, 2004, pp. 193-216
Giuseppe Lupo (a cura di)
- [2002] Sinisgalli a Milano, Novara, Interlinea, 2002
Rolf Petri
- [2002] Storia economica d'Italia (1918-1963), Bologna, Il Mulino, 2002
V. Scheiwiller (a cura di)
- [1989] Civiltà delle macchine. Antologia di una rivista 1953-1957 , Scheiwiller, Milano, 1989
Leonardo Sinisgalli
- [2001] Furor geometricus, a cura di G. Lupo, Nino Aragno Editore, Torino, 2001
- [2003] Pneumatica, a cura di F. Vitelli, Edizioni 10/17, Salerno, 2003