Il Postmoderno

Fredric Jameson

Hypomnemata

L'ascesa del populismo estetico

aLa dimensione spaziale è dominante nella concezione postmoderna del mondo ed è quindi naturale che l'architettura ne abbia rappresentato la forma d'espressione più immediatamente riconoscibile, ed in senso più generale emblematica. Immagino che, come è accaduto a me, ciascuno di voi sia in grado di avere l'esatta percezione di cosa sia il postmoderno semplicemente guardando un edificio, un'architettura. Lo stesso non è così immediato nelle altre forme espressive.

È tuttavia nell'ambito dell'architettura che le modificazioni nella produzione estetica si sono rese più platealmente visibili e che i problemi teoretici da esse sollevati hanno ottenuto una centralità e un'articolazione maggiori che in altri ambiti; ed è anzi proprio dal dibattito architettonico che ha preso il via la mia personale concezione del postmoderno — così come verrà delineata nelle pagine seguenti. Più decisamente che in altre arti o media, in architettura le posizioni postmoderne sono sorte insieme a una critica implacabile del moderno avanzato e del cosiddetto International Style (Le Corbusier, Mies), dove la critica formale e l'analisi (della trasformazione dell'edificio moderno-avanzato in scultura virtuale, o «papera monumentale», come si esprime Robert Venturi* ) vanno di pari passo con la riconsiderazione del livello della vita urbana e dell'istituzione estetica. Al moderno avanzato è imputata la distruzione del tessuto urbano tradizionale e della cultura delle aree periferiche (operata mediante la separazione radicale del nuovo edificio moderno-avanzato della città utopica dal proprio contesto) ; mentre l'elitarismo e l'autoritarismo del movimento moderno si rivelano spietatamente nel gesto imperioso del Maestro carismatico.

bFunzionalità come espressione di razionalità ed esigenza estetica come negazione della funzionalità fine a sé stessa, sono entrambe caratteristiche dell'ideologia postmoderna.

E successo che, oggi, la produzione estetica si è integrata nella produzione di merce in generale: la frenetica necessità economica di produrre nuove linee di beni dall'aspetto sempre più inconsueto (dal vestiario agli aeroplani), con un giro d'affari sempre più grande, assegna all'innovazione e alla sperimentazione estetiche una funzione e una posizione strutturali sempre più essenziali.

cFrattura con il passato.

Il primo punto da evidenziare a proposito della periodizzazione è che se anche tutte le caratteristiche costitutive del postmoderno fossero identiche a quelle di un periodo moderno precedente e ne rappresentassero la continuazione — tesi che io ritengo manifestamente erronea, ma che solo un'analisi più approfondita del moderno potrebbe dissolvere — i due fenomeni resterebbero ancora completamente diversi quanto a significato e funzione sociale, a causa del differente modo di porsi del postmoderno nel sistema economico del tardo capitalismo e, al di là di questo, della trasformazione della cultura nella società contemporanea.

Il «Pastiche» eclissa la Parodia

dLa rete come parodia del mondo reale

La scomparsa del soggetto individuale, insieme alla conseguenza che ne deriva sul piano della forma, la sparizione progressiva dello stile personale, genera oggi la pratica quasi universale di quello che si potrebbe chiamare pastiche. Questo concetto, che dobbiamo a Thomas Mann (nel Doktor Faustus), che lo deve a sua volta alla grande opera di Adorno sulle due vie della sperimentazione musicale (la pianificazione innovativa di Schönberg, l'eclettismo irrazionale di Stravinskij), va distinto chiaramente dalla più comune idea di parodia.

In questa situazione, la parodia si viene e trovare priva di una sua vocazione; ha fatto il suo tempo, e quella strana cosa che è il pastiche viene a prenderne lentamente il posto. Il pastiche è, come la parodia, l'imitazione di una particolare maschera, un discorso in una lingua morta: ma è una pratica neutrale di questa mimica, senza nessuna delle ulteriori motivazioni della parodia, monca dell'impulso satirico, priva di comicità e della convinzione che accanto a una lingua anormale presa momentaneamente in prestito esista ancora una sana normalità linguistica.

Il destino della storia

eIl rapporto dell'artista postmoderno con la storia è problematico. Ragtime, di E.L. Doctorow, è l'esempio di come si presenti un romanzo storico disancorato dalla storia.

la prima frase della prima versione di Ragtime si colloca esplicitamente nel presente, nella casa dello scrittore a New Rochelle, New York, che farà poi da scenario al suo passato (immaginario) d'inizio secolo. Questo particolare è stato soppresso nel testo publicato, così che il romanzo, simbolicamente disancorato, viene lasciato fluttuare in un nuovo mondo del passato storico, il cui rapporto con noi è davvero problematico.

[..] Ragtime resta il più originale e straordinario monumento alla situazione estetica generata dalla scomparsa del referente storico. Questo romanzo storico non può più rappresentare il passato storico; può «rappresentare» soltanto le nostre idee e stereotipi del passato (che si trasforma così in «pop history»). La produzione culturale è ricondotta perciò dentro uno spazio mentale che non è più quello del soggetto monadico, ma piuttosto quello di uno «spirito oggettivo» collettivo degradato [..]

Il collasso nella catena significante

f

La crisi della storicità impone un ritorno, per una nuova strada, alla questione dell'organizzazione temporale in genere nel campo di forze del postmoderno, e precisamente al problema della forma che potranno assumere il tempo, la temporalità e i rapporti sintagmatici in una cultura sempre più dominata dallo spazio e da una logica spaziale. Se infatti il soggetto ha perso la sua capacità di estendere attivamente le sue pro-tensioni e ri-tensioni sulla molteplicità temporale e di organizzare il suo passato e il suo futuro in un'esperienza coerente, diventa abbastanza difficile vedere come i prodotti culturali di un soggetto simile possano risolversi in qualcosa di diverso da un «mucchio di frammenti» e da una pratica indiscriminata dell'eterogeneo, del frammentario e dell'aleatorio. Tuttavia, sono precisamente questi alcuni dei termini privilegiati in cui è stata analizzata (e difesa dai suoi apologeti) la produzione culturale postmoderna. Ma sono ancora caratteristiche privative; le formulazioni più sostanziali portano i nomi di testualità, écriture, o scrittura schizofrenica, cd è a queste che ora dobbiamo rivolgerei brevemente.

La descrizione della schizofrenia data da Lacan mi torna molto utile qui, non perché io abbia modo di sapere se essa possieda un'esattezza clinica, ma soprattutto perché — come descrizione piuttosto che come diagnosi — mi sembra che offra un modello estetico suggestivo. (Naturalmente sono ben lontano dal pensare che qualcuno dei più significativi artisti postmoderni — Cage, Ashbery, Sollers, Robert Wilson, Ishmael Reed, Michael Snow, Warhol o anche lo stesso Beckett - siano schizofrenici in senso clinico). E il punto qui non è nemmeno una diagnosi della nostra società e della sua arte in termini di cultura-e-personalità, come nelle critiche della cultura appartenenti al genere del fortunato libro di Christopher Lasch Culture of Narcissism, da cui desidero distanziare radicalmente lo spirito e la metodologia di queste note: verrebbe da pensare che ci sono da dire cose molto più pericolose sul nostro sistema sociale di quelle rilevabili attraverso l'uso di categorie psicologiche.

 

Molto brevemente, Lacan descrive la schizofrenia come un collasso nella catena significante, ossia nel concatenarsi della serie sintagmatica dei significanti che costituisce un enunciato dotato di senso. Devo omettere qui il retroterra psicoanalitico familiare o più ortodosso di questa esposizione, che Lacan transcodifica in linguaggio descrivendo la rivalità edipica, non tanto nei termini dell'individuo biologico come rivale nell'ottenimento dell'attenzione della madre, quanto piuttosto di ciò che egli chiama il Nome-del-Padre, l'autorità paterna considerata ora come funzione linguistica. La sua concezione della catena significante presuppone uno dei principi basilari (e una delle più grandi scoperte) dello strutturalismo saussuriano, ossia l'affermazione che il senso non è costituito da una relazione biunivoca tra significante e significato, tra la materialità della lingua, una parola o un nome, e il suo referente o concetto. Da questo nuovo punto di vista, il senso è generato dal movimento da Significante a Significante: ciò che chiamiamo generalmente il Significato — il senso o il contenuto concettuale di un enunciato — va visto adesso come un significato-effetto, come il miraggio oggettivo della significazione, generato e proiettato dalla relazione dei Significanti tra loro. Quando questa relazione collassa, quando il legame nella catena significante si spezza, allora si ha la schizofrenia come collasso nella catena significante, che si riduce in frantumi di significanti distinti e irrelati. La connessione tra questo tipo di disfunzione e la psiche dello schizofrenico può quindi essere compresa mediante una doppia affermazione: in primo luogo, che l'identità personale è essa stessa l'effetto di una certa unificazione temporale di passato e futuro con il mio presente; e, in secondo luogo, che questa unificazione temporale attiva è essa stessa una funzione del linguaggio, o meglio ancora della proposizione, del suo spostarsi temporalmente nel circolo ermeneutico. Se siamo incapaci di unificare il passato, il presente e il futuro della frase, allora siamo similmente incapaci di unificare il passato, il presente e il futuro della nostra esperienza biografica o della nostra vita psichica.

Quindi, con il collasso nella catena significante, lo schizofrenico è ridotto a un'esperienza di Significanti puramente materiali o, in altre parole, di una serie di presenti puramente irrelati nel tempo. Ci interrogheremo sugli esiti estetici o culturali di questa situazione tra breve; vediamo prima come ci si sente: «Mi ricordo chiaramente del giorno in questo accadde. Eravamo in villeggiatura ed ero andata come altre volte a passeggiare sola in campagna. D'un tratto si udì un canto in lingua tedesca proveniente dalla scuola davanti a cui passavo in quel momento: erano bambini che avevano la loro lezione di canto. Mi fermai per ascoltare e fu in quell'istante che un sentimento bizzarro si fece strada in me, un sentimento difficile da analizzare, ma che assomigliava a tutti quelli che dovevo provare più tardi: l'irrealtà Mi sembrava di non riconoscere più la scuola; era diventata grande come una caserma ed i bambini che cantavano mi pareva fossero prigionieri obbligati a cantare. Era come se la scuola e il canto dei fanciulli fossero stati separati dal resto del mondo. In quel momento scorsi un campo di grano di cui non vedevo i limiti; e questa immensità dorata, luminosa sotto il sole, legata al canto dei bimbi-prigionieri nella scuola-caserma di pietra liscia mi diede una tale angoscia che scoppiai in singhiozzi. Poi tornai di corsa nel nostro giardino e mi misi subito a giocare "affinché le cose tornassero ad essere come ogni giorno", cioè per rientrare nella realtà. Fu la prima volta che percepii quegli elementi che più tardi dovevano sempre essere presenti nel mio sentimento di irrealtà: lo spazio senza limiti, la luce abbagliante ed il nitido, il liscio della materia».* Nel nostro contesto, questa esperienza suggerisce le seguenti osservazioni: primo, la rottura della temporalità libera improvvisamente il presente da tutte le attività e le intenzionalità che potrebbero focalizzarlo e renderlo uno spazio della prassi; così isolato, quel presente improvvisamente inghiotte il soggetto con indescrivibile vividezza, con una concretezza percettiva letteralmente schiacciante, che esalta realmente il potere del Significante materiale — o meglio, letteralmente — del Significante nel suo isolamento. Questo presente del mondo o significante materiale investe il soggetto con estrema intensità portando con sé una misteriosa carica d'affetto, qui descritto nei termini negativi di ansietà e perdita della realtà, ma che si potrebbe immaginare altrettanto bene nei termini positivi di euforia, di un'intensità forte, intossicante o allucinogena.

L'abolizione della distanza critica

hDifficoltà di parlare del postmoderno da parte di chi si trova all'interno dello spazio delimitato dalle categorie postmoderne. Ritorna l'affinità con il manierismo.

La concezione del postmoderno qui delineata è una concezione storica piuttosto che meramente stilistica. Non sottolineerò mai abbastanza la distinzione radicale tra coloro che considerano il postmoderno uno degli stili (opzionali) tra molti altri disponibili, e chi invece si sforza di vedervi la dominante culturale della logica del tardo capitalismo: le due prospettive generano infatti due modi molto diversi di concettualizzare il fenomeno nel suo insieme; da un lato si ha a che fare con giudizi morali (ed è indifferente che siano positivi o negativi), dall'altro con un tentativo genuinamente dialettico di pensare il nostro presente nella Storia.

Sebbene la formazione culturale di Jameson abbia radici nel marxismo europeo la sua critica ideologica del postmoderno tende ad autolimitarsi.

Ma se il postmoderno è un fenomeno storico, allora il tentativo di concettualizzarlo in termini di morale o di giudizi moraleggianti dev'essere considerato in fin dei conti un errore categoriale. Tutto questo diventa più evidente se prendiamo in esame le posizioni della critica culturale e moralista: quest'ultima, come tutti noi, è ormai così profondamente immersa nello spazio postmoderno, così profondamente pervasa e contagiata dalle sue nuove categorie culturali, che la critica dell'ideologia vecchio stile, la denuncia morale indignata sono un lusso ormai non più praticabile.

L'operare critico nell'ambito dell'ideologia postmoderna assume su di sé, e non può essere altrimenti, tutte le caratteristiche che attribuisce all'oggetto su cui si trova ad esercitare la propria critica.

MP

Bibliografia

Fredric Jameson
- Il Postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, tr. Stefano Velotti, Garzanti, Milano, 1989
- Postmodernism, or The Cultural Logic of Late Capitalism, in "New Left Review", 146, luglio-agosto 1984