L'universale politico

Herbert Marcuse
L'uomo a una dimensione
Einaudi, Torino, 1968

Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico. In verità, che cosa potrebbe essere più razionale della soppressione dell'individualità nel corso della meccanizzazione di attività socialmente necessarie ma faticose; della concentrazione di imprese individuali in società per azioni più efficaci e più produttive; della regolazione della libera concorrenza tra soggetti economici non egualmente attrezzati; della limitazione di prerogative e sovranità nazionali che impediscono l'organizzazione internazionale delle risorse. Che questo ordine tecnologico comporti pure un coordinamento politico ed intellettuale è uno sviluppo che si può rimpiangere, ma che è tuttavia promettente.

Questo è il primo, memorabile, capoverso di One-Dimensional Man, libro culto per i ragazzi della mia generazione. Rileggendolo a distanza di tempo sono tentato di dire che è il primo vero best seller postmoderno.

L'uomo a una dimensione è anche il primo libro da me scelto e acquistato (in una libreria tra piazzetta della Lega e piazza della Libertà). Ne parlo perché qualcuno ne ha lasciato (books crossing) una copia, praticamente intonsa, dove erano sottolineate a matita le prime due righe: Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà, come se chi lo aveva in mano dopo aver letto queste due righe lo avesse improvvisamente riposto per non più riprenderlo. Questo mi ha incuriosito.

Debbo confessare che allora, era il 1968, non ci capivo nulla, ed anche ora il linguaggio di Marcuse mi è del tutto estraneo, ma nonostante questo ora come allora mi ci ritrovo perché questo è anche il mio tempo. Mi occuperò quindi di un argomento tipicamente postmoderno : gli universali. O meglio l'universale politico.

Uno dei problemi che recano scompiglio nella filosofia analitica è quello degli enunciati che riguardano universali come «nazione», «Stato», «la Costituzione britannica», «l'Università di Oxford», «Inghilterra» [1]. Nessuna particolare entità corrisponde a questi universali, eppure rende bene l'idea, ed è anzi inevitabile, dire che «la nazione» è mobilitata, che l'«Inghilterra» ha dichiarato guerra, che io ho studiato all'«Università di Oxford». Ogni traduzione riduttiva di queste dichiarazioni sembra cambiarne il significato. Noi possiamo dire che l'Università non è una entità a sé, a parte dai suoi vari collegi, biblioteche, ecc., ma è appunto il modo in cui questi sono organizzati; la medesima spiegazione può valere, modificata, per altri enunciati. Tuttavia, il modo in cui tali cose e persone sono organizzate, integrate ed amministrate opera come un'entità differente dalle sue parti componenti — al punto che può disporre della vita e della morte, come nel caso della nazione e della costituzione. Le persone che eseguono il verdetto, ammesso che siano affatto identificabili, agiscono in tal modo non come individui, ma come «rappresentanti» della Nazione, dell'Azienda, dell'Università. Il Congresso degli Stati Uniti in sessione, il Comitato Centrale, il Partito, il Consiglio di Amministrazione, il Presidente, gli Amministratori, la Facoltà, tutti questi enti che si riuniscono e decidono sulla linea di condotta sono entità tangibili e reali al di sopra degli individui che li compongono. Essi sono tangibili nei documenti, negli effetti dei loro decreti, nelle armi nucleari che ordinano e producono, nelle nomine, nei salari, nelle condizioni che stabiliscono. Incontrandosi in assemblea, gli individui sono i portavoce (spesso inconsapevoli) delle istituzioni, delle influenze, degli interessi incorporati nelle organizzazioni. Nella loro decisione (voto, pressione, propaganda) — che è già l'esito di istituzioni ed interessi in competizione — la Nazione, il Partito, l'Azienda, l'Università sono messi in movimento, conservati, riprodotti come una realtà (relativamente) definitiva, universale, che sopraffà le istituzioni particolari o le persone soggette ad essa.

Questa realtà ha assunto un'esistenza superiore ed indipendente; perciò gli enunciati che la concernono costituiscono un vero universale e non possono essere adeguatamente tradotti in enunciati che concernono entità particolari. Con tutto ciò, l'urgenza di tentare tale traduzione la protesta contro la sua impossibilità indicano che c'è qualcosa di sbagliato. Per rendere bene l'idea, «la nazione» o il «Partito» dovrebbero essere traducibili nei loro costituenti e componenti. Il fatto che non lo siano, è un fatto storico che si frappone al cammino della linguistica e dell'analisi logica.

La disarmonia tra l'individuo ed i bisogni sociali, e la mancanza di istituzioni rappresentative in cui gli individui lavorino e parlino per sé, conduce alla realtà di universali quali la Nazione, il Partito, la Costituzione, la Corporazione, la Chiesa una realtà che non si identifica con alcuna particolare entità identificabile (individuo, gruppo, o istituzione). Tali universali esprimono vari gradi e forme di reificazione. La loro indipendenza, sebbene reale, è spuria poiché spuria è l'indipendenza delle potenze particolari che hanno organizzato l'insieme della società. Una ritraduzione che dissolvesse la sostanza spuria dell'universale è pur sempre necessaria — ma è una necessità politica.

Si crede di morire per la Classe, si muore per gli uomini del Partito. Si crede di morire per la Patria, si muore per gli Industriali. Si crede di morire per la Libertà delle persone, si muore per la Libertà dei dividendi. Si crede di morire per il Proletariato, si muore per la sua Burocrazia. Si crede di morire per ordine di uno Stato, si muore per il Danaro che lo sostiene. Si crede di morire per una nazione, si muore per i banditi che la imbavagliano. Si crede ma perché si crederebbe in una ombra cosi fitta? Credere, morire? ... quando si tratta d'imparare a vivere? [1]

Questa è una «traduzione» genuina di universali ipostatizzati in fenomeni concreti, e tuttavia essa ammette la realtà dell'universale nel mentre lo chiama con il suo vero nome. L'insieme ipostatizzato resiste alla dissoluzione analitica, non perché sia un'entità mitica dietro entità ed azioni particolari ma perché è il fondamento concreto ed obbiettivo della loro funzione nel contesto dato, sociale e storico. Come tale, esso è una forza reale, sentita ed esercitata dagli individui nelle loro azioni, condizioni e relazioni. Essi ne fanno parte (in maniera assai ineguale); esso decide della loro esistenza e delle loro possibilità. Il fantasma reale ha una realtà che s'impone — quella del potere separato ed indipendente del tutto sopra gli individui. E questo tutto non è una mera Gestalt percepita (come in psicologia), né una metafisica assoluta (come in Hegel), né uno stato totalitario (come nella scienza politica di second'ordine); è lo stato di cose stabilito che decide della vita degli individui.

L'universale politico si mescola allo stato di cose stabilito - ma arbitrariamente - nella linea del tempo in quanto sempre uguale a sé stesso, e con questo mescolarsi decide la vita degli individui.

Non è lo stato di cose stabilito a decidere la vita degli individui, ma l'universale politico.

MP

Bibliografia

Herbert Marcuse
- L'uomo a una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata , tr. Luciano Gallino e Tilde Giani Gallino, Einaudi, Torino, 19685
- One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Beacon Press, Boston, 1964