Heidegger - Quaderni neri

A metà degli anni settanta sono stati depositati nel Deutsches Literaturarchiv di Marbach am Neckar 34 quaderni, rilegati con una tela cerata nera. In quell'occasione Heidegger ha espresso il desiderio che i quaderni fossero pubblicati al termine delle sue opere complete. Fino a quel momento - come riferisce il figlio Hermann - avrebbero dovuto restare segreti, chiudi a doppia mandata. Nessuno avrebbe dovuto leggerli, né, anzi, averne cognizione. La volontà di Heidegger è stata solo in parte disattesa. Il prolungarsi dell'edizione delle altre opere ha spinto l'amministratore del suo lascito ad anticipare l'uscita degli Schwarze Hefte.

La recente pubblicazione a cura di Peter Trawny degli Schwarze Hefte relativi agli anni 1938-1941 ha ridato fiato, a motivo di alcune frasi, poche numericamente, ma estremamemte esplicite nel loro contenuto, al decennale tormentone mediatico sull'antisemitismo di Heidegger.

Occorre quindi ribadire che la vexata quaestio dell'adesione di Martin Heidegger al nazionalsocialismo è interessante sotto un unico profilo: la relazione esistente tra vita ed opera, tra teoria e prassi.

Da questo punto di vista la domanda che ci si deve porre è se il filosofo, qualsiasi filosofo, possa essere ingannato sulla natura della propria concezione del mondo - poichè il nazismo è una concezione del mondo - senza che questo determini o abbia in qualche modo influsso sul suo pensiero. A questa domanda non si può che rispondere: No, non si può sbagliare. Quindi, se la filosofia di Heidegger è una filosofia nazionalsocialista, e probabilmente lo è, allora occorre, in qualche modo, farsene una ragione.

« En septembre 1969, j'ai 22 ans et je suis invitée au séminaire que Heidegger donne au Thor chez René Char. [..] Même pour moi qui suis juive, son passé ne faisait pas obstacle, mais question. [..] Je crois toujours que Heidegger est un très grand philosophe en même temps qu'un nazi ordinaire: la philosophie doit se débrouiller avec ça.»

Heidegger e gli ebrei

Si può partire dalla constatazione che le parole ebreo, ebraico, ebraismo hanno solo quattordici occorrenze negli Schwarze Hefte - quattordici apparizioni in 34 quaderni - e da una citazione di Paul Ricoeur, da cui prende spunto La dette impensée. Heidegger e l'héritage hébraïque di Marlène Zarader:

Ciò che mi ha spesso meravigliato in Heidegger è il fatto che abbia, così sembra, eluso sistematicamente il confronto con il blocco del pensiero ebraico. Qualche volta gli è capitato di pensare a partire dal Vangelo e dalla teologia cristiana; ma sempre evitando il massiccio ebraico, che è l'estraneo assoluto in rapporto al discorso greco [..] Questo disconoscimento mi sembra parallelo all'incapacità di Heidegger di pensare adeguatamente tutte le dimensioni della tradizione occidentale. Il compito di ripensare la tradizione cristiana mediante un passo indietro non esige che si riconosca la dimensione radicalmente ebraica del cristianesimo, che innanzitutto radicato nel giudaismo e solo in seguito nella tradizione greca? Perché riflettere solamente su Hölderlin e non sui Salmi, su Geremia? Questa è la mia domanda.

La meraviglia espressa da Ricoeur per il silenzio di Heidegger sull'eredità ebraica è l'elemento su cui soffermarsi. È il sintomo, la nudità.

Occorrerebbe allora, forse, indagare le ragioni dell'oblio dell'ebraismo, dell'ebraicità, e infine dell'ebreo, in Heidegger, in parallelo con l'oblio dell'Essere nella metafisica.

La questione riguardante il ruolo dell'ebraismo mondiale non è una questione razziale, bensì è la questione metafisica su quella specie di umanità che, essendo per eccellenza svincolata, potrà fare dello sradicamento di ogni ente dall'Essere il proprio compito nella storia del mondo

Anche l'attacco ad Husserl trova, nelle parole di Heidegger, la stessa giustificazione. Non è un attacco alla persona, ma al predominio dell'ente nel pensiero.

Così il passo compiuto da Husserl verso la considerazione fenomenologica, destituendo di valore la spiegazione psicologica e il computo storico delle opinioni resta rilevante - e tuttavia non perviene mai agli ambiti delle decisioni essenziali, presupponendo invece ovunque la trasmissione storiografica della filosofia; la conseguenza, che necessariamente ne deriva, affiora nel suo convergere sulla filosofia trascendetale neokantiana che, alla fin fine, ha reso inevitabile il progresso verso lo hegelismo in senso formale. Il mio "attacco" a Husserl è diretto non solo contro di lui, il che lo renderebbe inessenziale - l'attacco è diretto contro l'omissione della questione dell'essere, cioè contro l'essenza della metafisica come tale, sulla cui base la macchinazione dell'ente riesce a determinare la storia. L'attacco istituisce un istante storico di somma decisione tra il predominio dell'ente e la fondazione della verità dell'Essere.

Ma l'attacco contro l'omissione della questione dell'essere potrebbe essere rivolto contro Heidegger stesso, se il testo heideggeriano rivelasse a sua volta la presenza di un'omissione.

con quale diritto e a partire da dove Heidegger può parlare di un oblio inerente alla metafisica e quindi di un impensato? Non ci sono dubbi: se è legittimo imputare alla metafisica un oblio dell'essere è perché questo si dà costantemente in essa, senza essere preso in cosiderazione da essa. [..] È solo in questo caso che il concetto di impensato è pertinente.

Introduco ora un secondo elemento, sociologico, di riflessione.

Come spiegare l'attrazione magnetica che Heidegger esercitava a Marburgo prima, e a Friburgo poi, su tanti giovani ebrei?

Date le premesse stupisce, e per questo merita una attenta riflessione, la fascinazione esercitata dalla persona - dalla figura intellettuale - di Heidegger sugli ebrei a partire da Husserl e dai suoi numerosi allievi, da Annah Harendt a Leo Strauss per intenderci.

In questo momento non vedo che una sola ragione che giustifichi questo reciproco interesse, la presenza nel pensiero di Heidegger di un non detto, il massiccio ebraico, l'omesso che ritorna come sintomo.

La componente ebraica, passata sotto silenzio, ritorna, senza essere identificata, in punti strategici, tornanti decisivi del cammino di Heidegger: la concezione del linguaggio, quella della storia, il tema dell'interpretazione, della sottrazione, del nulla, dell'abbandono, perfino della temporalità.

Certo occorre spiegare come si conciliano: da una parte la fascinazione che Heidegger incontestabilmente esercita sui suoi numerosi discepoli di religione ebraica, dall'altra l'ossessione per l'ebraismo, trasformata in negazione, occultamento, rinnegamento, Verneinung degli elementi veterotestamentari del suo pensiero, con l'antisemitismo.

[Addenda, venerdì 29 gennaio 2016]. A conforto della tesi che l'adesione al nazismo, ma, direi, anche il conflittuale rapporto con l'ebraismo, sono del tutto interni al pensiero di Heidegger aggiungo un'ulteriore citazione:

La vera novità dei Quaderni neri, come è parso sin dall'inizio, è l'antisemitismo. Il tema Heidegger e il nazismo non rappresenta invece una novità. Il che non vuol dire che non sia rilevante - tutt'altro. Si definiscono le circostanze storiche, cioè la durata dell'adesione, non più limitabile a pochi mesi, e l'entità dell'impegno. Le pagine dei quaderni mostrano che il nodo non sta nel rapporto tra politica e filosofia. * Heidegger ha aderito al nazismo per convinzione, muovendo dal suo pensiero. Perciò si è trattato, non di un errore, bensì di un rapporto lungo, profondo, complesso, che non si è esaurito con la fine della guerra. Dopo i Quaderni neri si potrà discutere sul modo in cui Heidegger vede il nazismo, sulle sue critiche a quel movimento che talvolta accusa di essere barbaro, ma in cui ripone le speranze della Germania e a cui affida una missione nella sua storia dell'Essere.

Elementi per una lettura psichiatrica di Heidegger

Leggendo il primo volume degli Schwarze Hefte, tradotti in italiano da Alessandra Iadicicco per i tipi di Bompiani, mi è sorto un dubbio sull'effettivo stato mentale di Heidegger negli anni trenta. Naturalmente occorre fare la tara sull'impatto della traduzione e quindi sull'effetto linguaggio che può modificare la nostra percezione dello stato mentale altrui, ma fin dalle prime pagine del libro appare chiaro che qualcosa turba la mente di Heidegger a partire dalla coscienza di non poter proseguire sulla via tracciata da Sein und Zeit.

49. Oggi (marzo 1932) mi si è reso del tutto chiaro il punto in cui tutta la mia precedente produzione scritta (Essere e tempo ; Che cos'è la metafisica; Kant-Buch ; Dell'essenza del fondamento) mi è divenuta estranea. [..] Ma a che scopo stare ancora a rimarcare tutto questo, se a me stesso la questione si fa sempre più problematica e degna di domande (fragwürdiger)?

Acquisita l'impossibilità di completare il programma delineato in Sein und Zeit, come dice Trawny, il discorso di Heidegger, con il passare degli anni, si fa sempre più esoterico. Noi tutti sappiamo che il parlare esoterico può essere ricompreso essenzialmente in tre categorie: il nicodemismo, la menzogna (Cfr. Leo Strauss) e, per l'appunto, la psicosi (il discorso vero)

L'appréciation juste de la pensée de Heidegger, relancée par cette découverte d'une dimension sinistre de ses pensées «secrètes», reste pourtant une tâche complexe et peut-être, comme certaines « analyses », interminable. Un échange épistolaire entre Heinrich Blücher et Hannah Arendt témoigne d'une conscience aiguë de la difficulté de cette tâche. Blücher écrit à Arendt, en mars 1950 : J'ai lu les Chemins qui ne mènent nulle part (..). Comme toujours, Heidegger travaille de façon étonnante dans les couches profondes. Il est toujours sur les chemins de Nietzsche. Arendt répond : Le dernier texte, celui qui est si discutable, sur Parménide, me semble friser la démence. Pourtant Heidegger est sûrement normal, mais il est complètement à la merci de sa propre pensée (à défaut d'un autre terme!)26. Arendt ne connaissait pas les Cahiers noirs, or on ne saurait mieux dire: Heidegger est là véritablement à la merci de sa propre pensée et celle-ci le conduit, en particulier dans ses jugements d'actualité, à friser la démence. Il est vrai que Heidegger pouvait arguer, dans les années 1940, que l'histoire elle-même était en proie à la démence: La question fondamentale quant à l'essence de l'histoire reste non posée, aussi longtemps que la méditation ne touche pas à la question de savoir si le délire (Wahnsinn) n'appartient pas à l'accomplissement de l'histoire27. Mais Heidegger ne se demande jamais s'il n'a pas lui-même fait le choix de favoriser et d'épouser ce «délire», au lieu de chercher à le contrecarrer. Cette «erreur»-là ne se laisse pas dissoudre dans «l'errance» générale de l'être.

Si può certamente immaginare che Heidegger abbia utilizzato il metodo fenomenologico per compiere le sue ricerche filosofiche, o, se si vuole, per pensare. Ebbene, per quanto se ne dica, l'epoché fenomenologica è una tecnica affine alla psicoanalisi, in grado cioè di far emergere - sebbene in altra forma dalla psicoanalisi - i contenuti e le strutture mentali di chi la utilizza. Ovvero, l'epoché fenomenologica fa emergere ciò che già esiste nella mente, non produce nulla di nuovo, se non l'espressione in cui questi contenuti emergono.

È mia convinzione che Husserl abbia avuto sulla filosofia lo stesso effetto che Duchamp ha avuto sull'arte. Entrambi hanno agito liberando il gesto dalle costrizioni proprie della disciplina a cui è applicato. Così facendo hanno aperto orizzonti espressivi infiniti, ma aperti sul nulla. Chi, come Heidegger, si è inoltrato su questa via senza le necessarie cautele - la messa in parentesi del gesto - ne ha pagato il prezzo.

Si nota allora la grande distanza che separa l'uso della lingua - e in particolare dei giochi di parole - in un Lacan, per esempio, dal suo uso in Heidegger. Ciò che li oppone fin dall'origine è che derivano da due concezioni della lingua diverse: da un lato la struttura rivisitata, dall'altro il dabar dimenticato; cioè da un lato la semplice successione del significante - un gioco che, almeno all'origine, è puramente linguistico - dall'altro l'apertura della presenza, il gioco dell'essere stesso. Ora, la tradizione biblica ci insegna proprio questo gioco dell'essere nella lingua, sia attraverso la sia comprensione del linguaggio, sia attraverso la pratica che ne deriva.

A questo proposito, sarebbe interessante applicare anche ad Heidegger, attraverso lo studio delle sue opere, l'analisi esistenziale, sul modello del Baudelaire, del Saint Genet ...

[Addenda venerdì 29 gennaio 2016] Come si evince chiaramente da questo breve florilegio di citazioni il pensare di Heidegger inizia in modo chiaro, per poi svilupparsi e subire immediatamente un'involuzione su sé stesso.

16. Il lutto abissale che corre attraverso l'opera di Hölderlin - è forse solo l'eco di una testimonianza che ci è ancora preclusa o è ancora il preludio essenziale di uno stato d'animo fondamentale [..]

75. Un'ampia opera ben strutturata (per esempio la Fenomenologia dello spirito di Hegel) sembra accampare una maggiore pretesa di pensiero che non un più stringato "aforisma" di Nietzsche leggibile in un attimo. Ma questa in effetti è solo un'apparenza. [..] Troppo abituati a ciò che è fondato, e troppo indirizzati a ciò che si mantiene, troppo sottomessi al reale e troppo smaniosi di ciò che è semplicemente presente, afferriamo - così ci si spalanca l'abisso (l'esser-ci) - solo l'assenza e la mancata presenza (Unvorhandenheit) di un fondamento. [..]

106. La storiografia, nel compimento della sua essenza moderna, si trasforma in propaganda rivolta all'indietro - intenta a rielaborare il passato - in una scienza del giornalismo.

257. Si crede che il mio discorso del rettorato non faccia parte della mia filosofia; posto che io ne abbia una. Eppure in esso si enuncia qualcosa di essenziale, e precisamente in un attimo e in circostanze che a quanto è detto e domandato ancora non corrispondono affatto. Il grande errore di questo discorso sta certamente nel fatto che in esso si assume che nello spazio dell'università tedesca vi sia ancora una stirpe segreta di domandanti, nel fatto che in esso ancora si spera che costoro si facciano condurre al lavoro dell'interiore trasformazione. [..]

55. A proposito di Essere e tempo - Se io parlassi con il si impersonale degli eruditi dovrei dire: curare il libro in una nuova edizione significherebbe riscriverlo; ma per questo non c'è tempo; altri compiti.
Se questo fosse un errore! Altri compiti in filosofia, diversi dalla questione che là si era posta e, sia pure solo parzialmente, elaborata? La questione dell'essere. Non rimane altra scelta che tornare sempre continuamente a riscrivere questo libro e questo soltanto. Andando incontro al pericolo di rimanere un homo unius libri. Oltre questo unum non vi è affatto alcun aliud.
Occorre dunque elaborare con maggiore urganza solo questa questione e nient'altro; niente affatto la risposta. Il sopraggiungere della sua risposta alla fine come qualcosa di assolutamente proprio! Nella elaborazione in quanto apparente articolazione vi è l'unico plausibile e durevole potenziamento.

263. Chi sono quelli che istituiscono l'Essere e pensano la verità dell'Essere. Gli stranieri dell'ente, estranei a ciascuno e familiari solo a ciò che essi cercano; perché nel cercare è la più abissale vicinanza al ritrovamento, a ciò che soltanto nel nascondersi ci fa cenno.

[Addenda domenica 15 maggio 2016] Concludo con una citazione, che lascio senza commento e con un rimando → Leo Strauss.

Le affermazioni antisemite di Heidegger, inserite in un contesto filosofico, si trovano esclusivamente in manoscritti che il filosofo volle sottrarre il più a lungo possibile al pubblico. Tenne nascosto il proprio antisemitismo persino ai nazisti. 10 Perché mai? Perché riteneva che il suo antisemitismo fosse diverso da quello dei nazisti, cosa vera solo in parte. Ciò nonostante è necessario procedere con cautela: Heidegger non ha celato al pubblico soltanto il proprio antisemitismo, ma il proprio pensiero in generale. Il pensiero nell'altro inizio non è per il pubblico, 11 scrive già intorno al 1935. La decisione di nascondere il proprio antisemitismo si inserisce in un pensiero per il quale il pubblico non è altro che un perfetto crimine contro la filosofia.

[Addenda giovedì 23 giugno 2016] Ho letto oggi l'ottimo articolo di Andrea Zhok. Due annotazioni. La prima si può riassumere cosi: in Heidegger, l'ebreo è un'essenza estratta da un pregiudizio culturale, che fonda in modo del tutto generico differenza e alterità, con quel che segue.

I QN sono infatti letteralmente brulicanti di giudizi generali che hanno come soggetto l'essenza dell'essere tedesco, o russo, o inglese, o italiano ecc. E se mettiamo per un momento da parte la peculiarità storica della tragedia ebraica, troviamo come i commenti sugli ebrei non sono che una campionatura limitata di innumerevoli, reiterate generalizzazioni riguardanti svariate essenze nazionali [p. 3]

La seconda è che - detto con altre parole - nel metodo di Heidegger c'è qualcosa che gli impedisce di vedere l'errore, il che è rilevante ai fini della verità.

Heidegger ha creato una forma di "argomentazione" che è al tempo stesso ambiziosa, assertoria, eticamente sostanziale e però anche strutturalmente priva di ogni possibilità di determinare l'errore come tale, per se stesso e per gli altri. Ciò che Heidegger finisce per rivendicare di fatto non è una "libertà di errare", che nessuno metterebbe in discussione, ma un'esenzione dalla responsabilità di riconoscere l'errore come errore. [p. 8]

Come ho rilevato sopra, questo dipende dal mancato padroneggiamento dell'epoché. Non si può riconoscere come errore ciò che si presenta, a causa di questo mancato padroneggiamento, come la nostra stessa essenza. La conseguenza sarebbe la follia. Ma, Heidegger non era folle...

Sulla distopia del pensiero

[..]

Sullo sfondo della candidatura a Berlino e Monaco circolava una relazione scritta redatta dallo psicologo Jaensch, collega di Heidegger del periodo di Marburgo. In essa Heidegger veniva definito un «pericoloso schizofrenico», i cui scritti rappresentano in verità «documenti psicopatologici». Il pensiero di Heidegger sarebbe un forma di ebraismo «avvocatesco-talmudico», e proprio per questo motivo egli eserciterebbe una simile attrazione sugli ebrei.

[..]

È venuto il medico a "visitarmi". È stato da me almeno due ore. È uscito da poco dalla mia stanza. Annoto qualche osservazione sul nostro colloquia Sapeva chi sono: ha letto, dice, il mio libro. È probabile che abbia letto qualcosa di Binzwanger su di me, cioè qualcosa di oscuro, un'antropologia che si dice derivata dalla mia ontologia, ma non lo è, perché dalla mia ontologia, che non è un'ontologia, non può derivare un 'antropologia che non è un 'antropologia. Ma questo non ha davvero molta importanza. È un uomo decente, come solo uno pseudoscienziato può esserlo. Voleva sapere come mi sento. Abbiamo capito subito che era una pretesa assurda. Se io sapessi come mi sento, e se io potessi comunicare, a lui o altri, come mi sento, non sarebbe davvero necessatio costruire gli ospedali (per racchiudere questo "sentirsi") e le chiese (per dedicarlo a DIO). Anche lui, però, ha fatto riferimento a una sorta di cedimento improvviso, che si sarebbe verificato qualche giorno fa e di cui, come ho detto anche a lui, non sono del tutto consapevole. Mi ha confermato che è stata mia moglie Elfriede a farmi ricoverare.

MP

Bibliografia

Donatella Di Cesare
- Heidegger e gli ebrei. I Quaderni neri, Bollati Boringhieri, Torino, 2014
- Heidegger & Sons. Eredità e futuro di un filosofo, Bollati Boringhieri, Torino, 2015
Victor Farias
- Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1988
Martin Heidegger
- Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1938), GA 94, Klostermann, Frankfurt, 2014
- Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938-1939), GA 95, Klostermann, Frankfurt, 2014
- Überlegungen XII-XV (Schwarze Hefte 1939-1941), GA 96, Klostermann, Frankfurt, 2014
- Quaderni neri 1931-1938 [Riflessioni II-VI], tr. Alessandra Iadicicco, Bompiani, Milano, 2015
Marie-Anne Lescourret (éd.)
- La Dette et la Distance. De quelques élèves et lecteurs juifs de Heidegger, Éd. de l'éclat, Paris 2014
Jean-Claude Monod
- La double énigme des Cahiers noirs , Critique, décembre 2014, pp. 986-987
Michele Ranchetti
- Heidegger Tagebuch, (1995) in Scritti diversi, Volume 1, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1999
- Heidegger Tagebuch, “Il Manifesto” del 26 e 27 agosto 1995
- Heidegger al tempo delle svastiche, “Il Manifesto”, il 4 aprile 2000
- Il taccuino di Martin Heidegger, Franco Angeli, Psicoterapia e scienze umane, 4-1996
Rüdiger Safranski
- Heidegger e il suo tempo, Tr. Nicola Curcio, Longanesi, Milano, 1996
Peter Trawny
- Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, tr. Chiara Caradonna, Bompiani, Milano, 2015
Friedrich-Wilhelm von Herrmann Francesco Alfieri
- Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri, premessa di Arnulf Heidegger; con uno scritto di Leonardo Messinese; appendice di Claudia Gualdana, Morcelliana, Brescia, 2016
Marlène Zarader
- Il debito impensato. Heidegger e l'eredità ebraica, tr. Massimo Marazzi, Vita e Pensiero, Milano, 1995