Eraclito di Efeso

Le Maitre à qui appartient l'oracle, celui de Delphes,
il ne parle pas, il ne cache pas, il produit des signes
[B93]

È certamente difficile trovare bibliografie più vaste e interpretazioni più diversificate di quelle sugli scritti di Eraclito di Efeso che siano fondate su quasi nulla.

I frammenti che riguardano il logos nell'accezione forte sono tre: DK 1 - 2 - 114 - 50. Il frammento 114 viene da taluni, a partire da Bywater e Patin fino a Colli, interpolato tra i frammenti 1 e 2. Se prendiamo per buono l'inserimento del fr. 114 fra B1 e B1 il logos si concatena al nomos.

Tr. Giannantoni, È necessario che coloro che parlano adoperando la mente si basino su ciò che è comune a tutti, come la città sulla legge, ed in modo ancora più saldo. Tutte le leggi umane infatti traggono alimento dall'unica legge divina: giacché essa domina tanto quanto vuole e basta per tutte le cose e ne avanza di più [DK. 114 - Strobeo. Flor., III 1, 179]
Tr. Giannantoni, Il pensare è comune a tutti [DK. 113 - Strobeo. Flor., III 1, 179]
Eraclito dunque dice che il tutto è divisibile indivisibile, generato ingenerato, mortale immortale, eterno logos, padre figlio, dio giusto: Ascoltando non me, ma il logos, è saggio convenire che tutto è uno [DK 50 - Hippol. Ref., IX, 9]

1.

Riporto, nella traduzione piana di Rodolfo Mondolfo, [Eraclito. Testimonianze, III, 16] la citazione da Adversus mathematicos di Sesto Empirico nella quale sono riportate alcuni dei frammenti centrali del pensiero di Eraclito.

131. Appunto questa ragione comune e divina, per la cui partecipazione diventiamo razionali, Eraclito la dice criterio della verità, onde ciò che appare in comune a tutti, questo (dice) che è degno di fede (giacché appreso con la ragione comune e divina), e invece ciò che si presenta a uno soltanto non merita fede per l'opposto motivo.
132. Al principio dunque della sua opera sulla natura il suddetto uomo, indicando anche in un certo modo l'avvolgente (universale), dice: di questo logos che è pur reale, si fanno incomprensivi gli uomini, sia prima di udirne (parlare) sia dopo averne udito la prima volta; giacché di quanto accade secondo questo logos sembrano inesperti, per quanto abbiano esperienza di discorsi e di opere tali quali io spiego, distinguendo ogni cosa secondo la sua natura e dicendo come sta. Agli altri uomini invece resta occulto ciò che fan dormendo [B1 DK]
133. Con queste parole, infatti, avendo dimostrato esplicitamente che tutto facciamo e pensiamo per partecipazione alla ragion divina, proseguendo poco avanti, soggiunge: perciò si deve seguire ciò che è universale, cioè comune a tutti; giacché è universale ciò che è comune a tutti. Ma pur essendo il logos comune, vivono i più come se avessero una capacità di giudizio loro particolare [B2 DK] Questa non è altra cosa che spiegazione del modo dell'ordinamento del tutto. Perciò in quanto partecipiano della memoria di esso siamo nel vero, ma in quanto ce ne appartiamo stiamo nel falso.

Il testo greco del frammento B2 nella edizione del Colli [elide alcune parole (Bekker) ], che peraltro appaiono una ripetizione, dando incisività al testo.

διὸ δεῖ ἓπεσθαι τῶι ξυνῶι. [...] τοῦ λόγου δ’ ἐόντος ξυνοῦ ζώουσιν οἱ πολλοὶ ὡς ἰδίαν ἒχοντες φρόνησιν

Conseguentemente la traduzione - perciò bisogna seguire ciò che si concatena. E sebbene l'espressione si concateni, i più vivono come se ciascuno avesse un'esperienza separata - viene ad essere incentrata su sole tre parole, che fanno parte del vocabolario filosofico di Colli: concatenarsi (comune), espressione (logos) ed esperienza (capacità di giudizio), che danno una "interpretazione" forte del testo.

Per Eraclito - dice Nietzsche - l'uomo è in generale un essere irrazionale, né è in contrasto con ciò l'affermazione che in tutto il suo essere si realizzi la legge dell'onnipotente ragione [La filosofia nell'epoca tragica dei greci, III, 2, p. 302

Per chi ascolta non me, bensì l'espressione, sapienza è riconoscere che tutte le cose sono una sola. Ippolito, Conf. 9, 9, I
[Colli, A3, DK 50]
E riguardo a questa espressione che è vera, sempre gli uomini si mostrano privi di intendimento, sia prima di porgervi l'orecchio, sia una volta che l'hanno ascoltata.
Difatti, anche se tutte le cose sorgono in conformità di questa espressione, essi tuttavia assomigliano a chi è senza esperienza, quando si cimentano a sperimentare tali parole e opere, quali vado spiegando, io che scindo ciascuna cosa secondo il suo nascimento e la manifesto così come è.
Ma gli altri uomini non si accorgono di tutto quello che fanno, una volta desti, proprio come si dimenticano di tutto quello che fanno quando dormono.
Sesto empirico, Contro gli scienziati 7, 132; Aristotele, Retorica 1407b 16-17; Ippolito, Conf. 9, 9, 3; Clemente Stromata 5, III, 7
[Colli, A9; DK B1 ]
Coloro che parlano con l'aiuto dell'intuizione, bisogna che traggano forza da ciò in cui si concatenano tutte le cose, proprio come la città trae vigore dalla legge, e assai più fortemente ancora.
Tutte le leggi umane, invero, vengono nutrite da una sola legge, quella divina: essa prevale, difatti, tanto quanto vuole, e basta a tutto, e superfluamente emerge.
Strobeo, Florilegio 3, 1, 179
[Colli, A11; DK 114 ]
perciò bisogna seguire ciò che si concatena. E sebbene l'espressione si concateni, i più vivono come se ciascuno avesse un'esperienza separata
Sesto Empirico, Contro gli scienziati 7, 133
[Colli, p. ]
essendo la ragione della cosa, la legge costitutiva del loro essere e divenire, insieme anche la verità comune, il λόγος ξυνός, in cui debbono convenire tutti i pensanti, condotti invece dall'inesperienza a seguire le loro singole e divergenti opinioni: secondo l'uso che del termine logos fa il framm. 2 [...] il quale [B2] conferma quindi l'esistenza di quel valore intermedio del logos come pertinente alla sfera mentale della verità che nello stesso frammento iniziale [B1] si constatato implicito.
[Calogero, 1936 p. 199]
Eraclito si dimostra tipico rappresentante dell'indistinzione arcaica della sfera ontologica, logica e linguistica. tutti e tre i valori (signifcati) vengono attribuiti al logos [Calogero, 1936 p. 200 non letterale]
Quel che importa è vedere come Eraclito abbia concretamente recato in atto, nel suo modo di concepire e di enunciare la propria verità, l'innata attitudine mentale che lo portava a non distinguere, nella considerazione della verità stessa, l'aspetto visivo per cui questa si identificava con la realtà esistente da quello linguistico per cui essa faceva corpo con la sua asserzione verbale. Che questa sua attitudine mentale si manifesti in maniera tipica nel significato pregnante da lui attribuito al termine logos è infatti, certo, un sintomo decisivo: ma se la manifestazione fosse soltanto questa, Eraclito avrebbe sì testimoniato in modo eminente l'indistinzione arcaica della verità-realtà della parola, ma non avrebbe elevato tale indistinzione da presupposto consueto e inconsapevole a punto di partenza della storia di un problema. Si è già osservato che finché l'unita primitiva della verità e della parola si manifesta nelle parole stesse che designano ad un tempo l'una e l'altra di quelle due sfere, le parole che significano l'unità delle parole col vero sono diverse dalle parole di cui è con ciò significata l'unità col vero. Altra la parola logos in quanto designazione comune della verità contemplata ed enunciata, altre le parole in cui Eraclito pensa effettivamente enunciata o enunciabile tale verità. [...] deve apparire ovvio come Eraclito, il severo e sibillino Eraclito, che per la tradizione si cristallizza nella figura del filosofo piangente, non potesse divertirsi a escogitare calembours su quello ξυνόν che è una delle qualificazioni più tipiche ed auguste del logos universale.
[Calogero, 1936, p. 203]
Molti commentatori hanno notato che per Eraclito esiste un parallelismo, o un'identità di struttura, tra le operazioni della mente, che si manifestano nel pensiero o nel linguaggio, e quelle della realtà che essa coglie. Questo parallelismo implica che la comprensione di una parte qualunque della realtà sia analoga a quella del significato di un enunciato. [Hussey, p. 124]

Ramnoux

Clemence Ramnoux nella postfazione al suo libro su Eraclito, fa una osservazione degna di nota.

M. H. Fränkel a réussi [...] a tenté une analyse du fragment I, dans la transmission de Simplicius, en mettant en vedette un jeu de rebondissement sur les mêmes vocables, ou groupes de vocaboles, d'un membre de la phrase à un autre. Comme nous traduisions nous-mêmes le chapitre neuvième de la Réfutation des hérésies, attribué à Hippolyte, auquel on doit, comme on sait la transmission de 22 fragments, dans la succession approximative présentée par Hippolyte, se laissent enchaîner par le maillon d'un vocable significatif. La série des 22 fragments donné dans la numérotation de Diels:
DK 50 - 51 - 1 - 52 - 53 - 51bis - 54 - 55 - 56 - 54bis - 55bis - 57 - 58 - 59 - 60 - 61 - 62 - 63 - 64 - 65 - 66 - 67
[...] Nous voudrions ici attirer sur la suite de 50 a 56. Dans le contexte de la Réfutation, les formules sont présentées pour illustrer une table de couples, qui ne sont précisément pas des couples authenthiquement héraclitéens. Ce sont les couples d'une thèse gnostique, à laquelle Hippolyte assimile par artifice la thèse d'Héraclite. Car les gnostiques travaillent encore, à retardement, avec des procédes archaîques. Les formules susdites (sauf la seconde) ont toutes en commun de nommer le Logos, ou bien sous son nom de Logos, ou bien sous un symbole pris par la Gnose pour son équivalent. [Ramnoux, 1968, p. 417]
Jaeger (Praise of Law, 1947) segnala il frammento 114 come il primo documento filosofico in cui appaia il concetto di nomos, cioè la concezione - con la sola eccezione dei sofisti - per cui la legge della polis non può essere un decreto più o meno arbitrario, ma dev'essere il criterio di distinzione del lecito dall'illecito in vista del mantenimento dell'ordine della città. Come il cosmo ha bisogno di un'universale legge ordinatrice, così la città ha bisogno del nomos ordinatore, che è la ragione sua propria, la mente unitaria della cittadinanza, il logos comune, nello stesso modo che le legge del cosmo è nomos universale. [Zeller-Mondolfo, p. 138]
Gomperz (Philosophical Studies: Heraclitus, p. 88) scrive :il logos nel V secolo greco non significa mai ragione; signifca ogni specie di espressione linguistica, ed è usato in ogni caso in cui oggi vogliamo indicare il pensiero espresso dalle parole: quindi può stare per ogni discorso, così come per la dottrina espressa da esso [Zeller-Mondolfo, p. 155]
Kirk tra i significati in vigore all'epoca di Eraclito per logos è per lui fondamentale quello di regola, legge o formula delle cose. il logos è comprensione dell'unità fondamentale degli opposti [Zeller-Mondolfo, p. 159]
l'essenza del logos è discorso, ma discorso enigmatico, oracolare [Zeller-Mondolfo, p. 157]
Zeller vedeva nel logos congiuntamente il discorso, il suo contenuto, la verità che esso esprime e che tutto il cosmo manifesta e quindi anche l'intelligenza che tutto governa [Zeller-Mondolfo, p. 23]

Note

  1. Come è possibile comprendere le parole di Eraclito se il loro contenuto non è lo stesso per me e per lui. Se non è lo stesso come è possibile costruire e scambiare parole, cosa che evidentemente avviene da alcune migliaia di anni.
  2. Stupisce come parole dette in tempi e contesti completamente diversi possano essere pensate oggi dando loro una attualità per un individuo determinato. Questo fenomeno che si produce nell'intelletto è in grado, in qualche modo, di tenere fermo un oggetto mentale. Non è il fatto che il reale significato delle parole sia comune a tutti e che non si possa, come è stato immaginato, raggiungerlo in qualche modo. Quello che è lo stesso è ciò che è sottostante al significato delle parole - una generale struttura si potrebbe dire - e l'intelletto che è comune perché duplica, quando è attivo e quindi non in tutti, questa generale struttura.
  3. ξυνῶι vale a) comune, publico, che appartiene a tutti ma anche b) coesistente, mescolato
  4. Nell'interpretazione di Mondolfo, Eraclito farebbe derivare l'unicità del logos dall'unicità della legge.
  5. in A11 è esplicitata la considerazione di ξυνόν come legge suprema della rappresentazione [Colli, Eraclito, p. 186 - Colli, PHK, p. 150-154]
  6. Fronesi DK 2 e DK 112; Jaeger (Paideia, I 284) Eraclito è il primo filosofo che introduca il concetto di φρόνησις equiparandolo alla σοφία; la conoscenza cioè dell'Essere è per lui connessa all'intendimento dei valori e dell'indirizzo della vita umana, li comprende in sé consapevolmente
L'idea del conoscere come un fare si va delineando con Senofonte, ma la prima affermazione esplicita di un orientamento volontaristico in relazione al problema gnoseologico appare in Eraclito.
Si sa che per Eraclito la possibilità della conoscenza e della comprensione della verità è condizionata da una comunicazione della intelligenza individuale con il logos universale, di cui è parte. Allo stesso modo (ci riferisce Sesto Empirico) che i carboni, avvicinandosi al fuoco, per questa modificazione si fanno incandescenti, e, al contrario, se separati da esso, si spengono, così anche la parte (del logos universale) derivante dall'ambiente, che ha ricevuto ospitalità nei nostri corpi, con la separazione diventa quasi irrazionale, mentre con la coesione naturale, effettuata mediante la maggioranza dei pori, si fa simile al tutto [Adv. mathem. VII, 130] [Mondolfo, 1958, p. 150]

La volontà come condizione della conoscenza

Pur essendo questo logos sempre presente, gli uomini si rendono incapaci di comprenderlo... [fr. 1]
L'aspro tono di rimprovero, usato da Eraclito, mette in evidenza la sua convinzione che gli uomini siano responsabili della loro incapacità di conoscere e comprendere la verità; incapacità che non procede da una condizione obiettiva che gli uomini non possono modificare, cioè dalla natura, la quale invece offre a tutti la possibilità di conoscere se stessi e di essere saggi, aderendo al logos comune che appartiene a tutti; ma che procede da un atteggiamento soggettivo, cioè dalla cattiva volontà per la quale gli uomini si fanno incapaci di conoscere e comprendere, sottraendosi all'unione con la ragione universale... [Mondolfo, 1958, p. 152]

22 B 56 [47 n.]. H IPPOL. ref. IX 9 Gli uomini - dice Eraclito - si lasciano ingannare rispetto alla conoscenza delle cose visibili, come capitò ad Omero, che pure fu più sapiente di tutti i Greci. Fu infatti tratto in inganno con queste parole da alcuni fanciulli che uccidevano dei pidocchi: tutto quello che abbiamo visto e abbiamo preso, lo abbiamo perduto; tutto quello invece che né abbiamo visto né abbiamo preso, lo portiamo con noi.

22 B 56 [47 Anm.]. H IPPOL. Refut. IX 9 [I 163. 1 App.] ἐξηπάτηνται, φησίν, οἱ ἄνθρωποι πρὸς τὴν γνῶσιν τῶν φανερῶν παραπλησίως Ὁμήρωι, ὃς ἐγένετο τῶν Ἑλλήνων σοφώτερος πάντων. ἐκεῖνόν τε γὰρ παῖδες φθεῖρας κατακτείνοντες ἐξηπάτησαν εἰπόντες˙ [I 163. 5 App.] ὅσα εἴδομεν καὶ ἐλάβομεν, ταῦτα ἀπολείπομεν, ὅσα δὲ οὔτε εἴδομεν οὔτ' ἐλάβομεν, ταῦτα φέρομεν.

fr. DK 56

ἐξηπάτηνται οἱ ἄνθρωποι πρὸς τὴν γνῶσιν τῶν φανερῶν παραπλησίως Ὁμήρῳ,
ὃς ἐγένετο τῶν Ἑλλήνων σοφώτερος πάντων. ἐκεῖνόν τε γὰρ παῖδες φθεῖρας
κατακτείνοντες ἐξηπάτησαν εἰπόντες• ὅσα εἴδομεν καὶ ἐλάβομεν, ταῦτα
ἀπολείπομεν, ὅσα δὲ οὔτε εἴδομεν οὔτ᾽ ἐλάβομεν, ταῦτα φέρομεν.
Il est evident qu'il existe, en effet, un rapport étroit entre λόγοσ, ἁρμονίη,  πόλεμοσ - ἔρισ, θεόσ, πῦρ, et σοφόν chez Héraclite. Jusq'ici, le danger paraît avoir été l'identification sans discernement de toutes ou quelques - unes de ces choses, ou isolement d'un seul concept aux dépens des autres. [..]
Néanmoins, nous pouvons admettre que ὁ λόγοσ a eu droit à une importance spéciale. Ceci se voit nettement d'apres le fr. 1 (qu'on peut regarder comme la préface de l'exposé, quelle que soit sa forme, des idées d'Héraclite), d'après le fr. 2 et le fr. 50. Dans ce trois fragments, λόγοσ se voit accorder un sens particulier qui se rapporte à quelque chose dont Héraclite estimait la compréhension plus importante pour les hommes que toute autre chose. Le difficile, c'est que nous ne savons pas au juste ce que λόγοσ veut dire en ce sens. Il s'agit de quelque chose qu'on peut entendre ou dont on peut entendre parter (fr. 1) ou de quelque chose qu'on peut écouter (fr. 50), ou suivre, et à laquelle on obéit (fr. 2); toutes choses se passent selon elle (fr. 1); elle est commune (ce qui veut dire probablement, présente en toutes choses, donc saisissable par tous les hommes) (fr. 2); cette chose existe en dehors d'Héraclite, ou de ses mots en tant que mots (fr. 50); elle aboutit à l'affirmation que toutes choses ne font qu'une (fr. 50); il faut se fier à elle plus fermement que la cité ne fie à sa loi; et elle est, à ce qu'il paraît, analogue à une loi (fr. 114, si ce qui paraît probable, τῷ ξυνῷ πάντων représente le Logos; comparer fr. 2). D'après ces définitions indirectes ὁ λόγοσ semble être quelque chose comme la vérité sur les choses, mais quelque chose de plus actif, de plus objectif qu'une vérité, car c'est ce qui donne à toutes choses leur raison d'être - et ainsi peut-être, la constitution véritable de toutes choses, qu'on suppose être commune ou universelle; ou plutôt le plan structural (ou la formule) commun à toutes choses. [Kirk, 1957, p. 290]

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MP