La politica è una scienza?

Miguel Abensour
Per una filosofia politica critica
Jaka Book, Milano, 2011

Gli autori francesi del '900 sono situati, per me, all'interno di una cornice mitica. Sono miei contemporanei, ma appartengono ad un altro mondo, nel quale ho cercato di vivere ed ho vissuto almeno con la mente, ma non con il corpo perché, seppure miei contemporanei, appartengono, appunto, ad un mondo che mi è estraneo. Per questo non mi sono stupito quando leggendo Miguel Abensour ho avuto la sensazione di essermi perso qualcosa in questi anni.

In un'intervista a Le Monde, della quale viene data la traduzione nella raccolta di saggi Per una filosofia politica critica publicata pochi anni fa dalla Jaka Book, rispondendo alla domanda sul ruolo di Machiavelli e del suo pensiero nel Suo itinerario filosofico? Abensour dice:

Ho vissuto, come tutti quelli della mia generazione, due ritorni delle cose politiche: la critica dell'URSS e la guerra d'Algeria. E per chi scopre la questione politica, Machiavelli è un interlocutore necessario. È in gioco un nuovo pensiero dell'emancipazione: non più liberarsi dal politico, ma accettarlo come una dimensione essenziale della condizione umana.

Machiavelli è un educatore: egli invita ad abbandonare la rappresentazione classica di Roma, non sono le istituzioni stabili né la virtù repubblicana ad aver fatto la grandezza di Roma, ma il conflitto tra la plebe e il Senato, principio della libertà romana. Machiavelli inventava così una nuova immagine della libertà, nata dal fermento del popolo e dalle sue lotte ripetute contro i patrizi. Grazie al grande libro di Claude Lefort, Le Travail de l'œuvre. Machiavel (Gallimard, Paris 1972), e ai lavori di Pocock, abbiamo evitato le letture restrittive di Machiavelli, che riducono la politica al dominio.

Machiavelli come pensatore del disordine. Alla domanda Qual è il testo di Machiavelli, che l'ha maggiormente influenzata, e perché? Abensour risponde:

Spinoza diceva che Machiavelli amava la libertà. Perciò conviene dare la preferenza ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Libro straordinario, labirintico, in cui si afferma la determinazione a pensare il politico, attribuendo ad esso il conflitto come dimensione ontologica. Secondo questa tesi, in ogni città umana ci sono due partiti: quello dei «grandi», spinto dal desiderio di dominare, e quello del «popolo», spinto dal desiderio di non essere dominato. Innovazione essenziale: Machiavelli fa l'elogio del conflitto, che dà vita a una comunità politica e nutre l'esperienza della libertà. Egli attacca frontalmente il conservatorismo, che valorizza la concordia nella città. La disunione è condizione di possibilità della libertà, perché la negatività del popolo è la sola forza, che possa imbrigliare il desiderio dei grandi.

Machiavelli è originale, perché pensa la disunione come inerente al campo politico, irrevocabile, non suscettibile di soluzione, a differenza dei teorici, che intendono il conflitto come provvisorio, destinato a essere superato in una società riconciliata. Da parte di Machiavelli non c'è rassegnazione né pessimismo, ma una riflessione acuta sulle condizioni della libertà. Bisogna ammettere che la legge non è l'opera di un saggio legislatore, ma nasce dal seno stesso del conflitto. La disunione garantisce la qualità della legge. «Le buone leggi (nascono) da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano». Bisogna riconoscere come, nella genesi della legge, Machiavelli privilegi il desiderio di libertà del popolo, che ha il destino di porsi «per guardia della libertà» [1]. In rapporto alla filosofia politica, il gesto rivoluzionario di Machiavelli dissocia dunque legge e saggezza e respinge la distinzione tra quelli che sanno e quelli che non sanno. Certo, l'origine della legge è complessa, ma è comunque vero che Machiavelli mette al primo posto i tumulti, che la tradizione condanna. Egli inaugura così una nuova comprensione del disordine nella genesi della legge. Secondo Machiavelli, una repubblica libera è una repubblica piena di ardore. Piuttosto che reprimere i tumulti, essa deve suscitarli.

Nel saggio Hannah Arendt contre la philosophie politique? del 2001, anch'esso compreso nella raccolta sopra citata, Abensour imbastisce un rapido confronto fra Hannah Arendt e Leo Strauss.

Anche se [..] lo scopo [della Arendt] resta identico e consiste dunque nel criticare la tradizione, ora la Arendt procede del tutto diversamente. Ella valorizza anzitutto l'innovazione kantiana relativa all'uguaglianza, e, per contraccolpo, rivela i limiti della tradizione, o più esattamente il presupposto di disuguaglianza su cui essa poggiava. Ne consegue l'apertura di una nuova via, che contiene contemporaneamente la rottura con la tradizione e il superamento della filosofia politica. Per misurare pienamente la posta in gioco della questione, torniamo a quanto L. Strauss ha riconosciuto, a proposito del «cuore della posizione classica», nel suo articolo su Rousseau. Egli ritiene che «si possa dire che la premessa di base della filosofia politica classica è l'idea che l'ineguaglianza naturale delle capacità intellettuali è — o deve essere — di importanza politica decisiva. Conseguentemente, il potere illimitato dei saggi, per nulla responsabili dei loro sudditi, appare come la soluzione migliore nell'assoluto del problema politico» [21]. Evidentemente, fuori dall'assoluto è diverso. Secondo L. Strauss, la sproporzione fra le esigenze della scienza e quelle della società o della città trasforma l'immagine del miglior regime e, in qualche modo, la ammorbidisce: «L'ordine vero o naturale (il potere di coloro che sono saggi su quelli che non sono saggi) dev'essere sostituito dal suo equivalente o dalla sua imitazione politica: il potere, circoscritto dalla legge, dei patrizi su coloro che non sono patrizi» [22]. Ora, questa premessa di base della filosofia politica classica ha come effetti logici i dispositivi che la Arendt, da parte sua, non ha cessato di denunciare nella tradizione: cioè la concezione della politica come organizzazione elaborata da «quelli che sanno» per regolare e controllare la vita di «quelli che non sanno», ossia — in termini pascaliani la politica come regola per un manicomio. Ed anche l'idea che l'oggetto primario della filosofia politica non è la politica, l'azione, la vita politica, ma i rapporti difficili, eventualmente pericolosi fra il filosofo e la città, fra il corpo dei filosofi e la comunità dei cittadini. Nella prospettiva di disuguaglianza, il miglior regime è quello che pone i saggi al riparo degli stolti, dei loro sbalzi, della loro follia. Esso è pensato, definito, costituito nell'interesse dei filosofi, a distanza dalla città, cioè contro di essa.

Kant distrugge proprio la premessa di base della filosofia politica classica la divisione tra saggi e insensati — e, a ben vedere, in modo assai più radicale di quanto non abbia fatto Rousseau.

Quindi la conclusione dovrebbe essere questa: a meno che non si voglia scegliere la via della restaurazione della filosofia politica classica e dunque la ripresa della premessa inegualitaria nell'opzione kantiana della Arendt la politica cessa di essere una preoccupazione per i filosofi.

La premessa non detta è quella hobbesiana: la politica è una scienza? Se la risposta è affermativa e politica è una scienza allora la filosofia politica ha esaurito il suo interesse per i filosofi.

MP

Bibliografia

Miguel Abensour (1939-2017)
- Per una filosofia politica critica, tr. Mario Pezzella, Jaka Book, Milano, 2011
- Della compattezza. Architetture e totalitarismi, tr. Giacomo Raccis, Jaca Book, Milano, 2012
- Instructions pour une prise d'armes. L'éternité par les astres. Hypothèse astronomique et autres textes d'Auguste Blanqui établis et présentés par Miguel Abensour et Valentin Pelosse, Paris, Tête de Feuilles, 1973, puis réédité par Sens & Tonka en 2000
- La démocratie contre l’État, Paris, Presses Universitaires de France, 1997
- De la compacité: architecture et régimes totalitaires, Paris, Sens & Tonka, 1997
- L'Utopie de Thomas More à Walter Benjamin, Paris, Sens & Tonka, 2000
- Le Procès des maîtres rêveurs, Arles, Sulliver, 2000
- La Démocratie contre l'État: Marx et le moment machiavélien, Paris, Le Félin, 2004
- Rire des lois, du magistrat et des dieux: l'impulsion Saint-Just, Lyon, Horlieu, 2005
- Hannah Arendt contre la philosophie politique?, Paris, Sens & Tonka, 2006
- Maximilien Rubel, pour redécouvrir Marx, en collaboration avec Louis Janover, Paris, Sens & Tonka, 2008
- Pour une philosophie politique critique - Itinéraires, Paris, Sens & Tonka, 2009
- L’Homme est un animal utopique - Utopiques II, Arles, Les Editions de La Nuit, 2010
- Le Procès des maîtres rêveurs - Utopiques I , Arles, Les Editions de La Nuit, 2011
- La Communauté politique des «tous uns» : Entretien avec Michel Enaudeau, Les Belles Lettres, 2014
- L’histoire de l’utopie et le destin de sa critique - Utopiques IV, Paris, Sens & Tonka, Paris, 2016
- Spinoza et l’épineuse question de la servitude volontaire, Astérion [En ligne], 13 | 2015, mis en ligne le 04 juin 2015; URL
- Le Mal élémental, 1997 (Ressources documentaires sur le génocide nazi) URL
- L'Etat de la justice, in Magazine Littéraire, n. 419, aprile 2003
Miguel Abensour et Michel-Pierre Edmond
- Leo Strauss, Notice dans l'Encyclopædia Universalis
Manuel Cervera-Marzal
- Miguel Abensour, critique de la domination, pensée de l'émancipation, Paris, Sens & Tonka, 2013