La terra dei cachi

Mi sembra interessante commentare brevemente la notizia (riportata dai maggiori quotidiani e censita variamente sui social network) della sentenza n. 28730/2013 Corte di Cassazione, secondo la quale inveire in publico contro lo Stato costituisce reato, indipendentemente dalle motivazioni addotte.

I fatti

Per chi non abbia letto i giornali ecco la notizia:

[..] sfogarsi con il classico "Italia paese di merda", per quanto liberatorio, non può essere tollerato. E' reato, in quanto vilipendio alla nazione. Lo ha certificato la Cassazione, confermando la condanna inflitta a un 71enne che, fermato dai carabinieri perché a bordo di un'auto con un solo faro acceso, si era lasciato andare a quel repertorio di invettive contestando la contravvenzione che i militari gli stavano elevando. I giudici della prima sezione penale di 'Palazzaccio' sono intervenuti dopo che la Corte d'Appello di Campobasso aveva condannato l'anziano per quella frase, "in questo schifo di Italia di m....", al pagamento di una multa di mille euro, pena interamente coperta da indulto.

Del fatto si danno anche curiose varianti a sfondo letterario:

Accadde che un vigile, a Montagnano, provincia di Campobasso, nel lontano 2 novembre 2005 fermò un uomo di 70 anni: la sua auto viaggava con un solo faro acceso. Ne seguì una vivace discussione tra il prossimo multato e l'agente. Quando contravvenzione fu, il guidatore si lasciò andare al seguente sfogo: "Invece di andare ad arrestare i tossici a Campobasso, pensate a fare queste stronzate e poi si vedono i risultati. In questo schifo di Italia di merda...". Il vigile zelante prese nota di quella frase e lo denunciò.

Per completezza ecco la descrizione dei fatti riportata nella sentenza:

1. [Aldo Policastro] è stato imputato dei reati di cui agli artt. 290 e 291 cod. pen., per avere pubblicamente offeso la nazione italiana e l'arma dei carabinieri, in Montagnano, il 2 novembre 2005, dopo che i carabinieri lo avevano fermato per contestargli di viaggiare, a bordo della sua autovettura, con un solo faro acceso, affermando al loro indirizzo: "Invece di andare ad arrestare i tossici a Campobasso, pensate a fare queste stronzate, e poi si vedono i risultati. In questo schifo di Italia di merda invece di pensare alle cose serie pensate a fare la contravvenzione per le luci. Voi delle leggi non conoscete e non capite un cazzo."

Motivazioni della sentenza

A mio avviso le motivazioni della sentenza sono riassunte, nel loro nucleo concettuale, in questa citazione dal quotidiano La Stampa:

«Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo - si legge nella sentenza - non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva»: per integrare il reato, previsto dall’articolo 291 del codice penale, «è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente». Il reato in esame, spiega la Suprema Corte, «non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l’offesa alla nazione, cioè un’espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall’autore».

Ovvero, secondo la sentenza della Corte Costituzionale: la libertà di manifestare il proprio pensiero è limitata dall'espressività del linguaggio, a prescindere dai sentimenti nutriti dal parlante. Su questa interpretazione sarebbe utile ampliare il discorso. Qui non mi è possibile. Mi limito a trascrivere alcuni stralci delle motivazioni della sentenza:

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che il reato di vilipendio alla nazione italiana, previsto dall'art. 291 cod. pen., non è in contrasto con i principi della Costituzione della Repubblica e, in particolare, non si pone in contraddizione con l'art. 21 Cost., perché il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo, sancito da tale articolo, non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva (Cass. 7 aprile 1952, Battisti, Giustizia penale 52, II, 828; v., anche, con specifico riguardo all'art. 290 cp., Corte Cost. 30 gennaio 1974, n. 20, che ha ritenuto non fondate le questioni di illegittimità costituzionale del suddetto articolo, nella parte in cui prevede il reato di vilipendio del Governo, dell'ordine giudiziario e delle Forze armate dello Stato, in riferimento agli artt. 3 comma 1; 21 comma 1; e 25 comma 2 Cost.)
L'elemento oggettivo del delitto previsto dall'art 291 cp non richiede che la manifestazione di vilipendio sia specifica e che essa sia indirizzata a determinate persone, alle quali cagioni un certo turbamento psichico; per integrare il reato de quo è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione - da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura - effettuata pubblicamente (Cass., 11 ottobre 1954, Scompo, in Giustizia penale 55, II, 61)
In particolare, il reato in esame non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l'offesa alla nazione, cioè un'espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l'onore della collettività nazionale, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall'autore, mentre l'elemento psicologico consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di ledere il prestigio e l'onore della nazione italiana. (Cass., 26 febbraio 1959, Liebe, in Giustizia penale, 60, II, 69; Cass., sez 1, 8 ottobre 1963, Bosco, in Cassazione penale massimario annotato, 1964, 531)
Tanto premesso il comportamento del ... il quale in luogo pubblico, ha inveito contro la nazione», gridando: "In questo schifo di Italia di merda", sia pure nel contesto di un'accesa contestazione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un'autovettura con un solo faro funzionante, integra il delitto di vilipendio previsto dall'articolo 291 cp, sia nel profilo materiale, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l'onore della collettività nazionale; sia nel profilo psicologico, integrato dal dolo generico ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall'autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l'agente a compiere l'atto di vilipendio.
Tutte le censure mosse dal ricorrente, quindi, intese a contestare la legittimità della norma incriminatrice e la ricorrenza degli elementi costitutivi - oggettivo e soggettivo - del reato contestato, sono destituite di fondamento; mentre è inammissibile, perché involgente un giudizio di puro merito, la pur censurata entità della pena inflitta, peraltro corrispondente al minimo edittale.

Le reazioni

Inutile sottilineare come il caso abbia scatenato un immediato tam-tam sui social network, Twitter in particolare (proprio come quando la stessa frase fu rubata a Silvio Berlusconi, intercettato con Walter Lavitola e poi messo alla pubblica gogna con scarsi risultati). Anche in questo caso, più che di pubblica gogna, si può parlare di pubblica difesa. Il popolo dei cinguettii, pur con diverse eccezioni, nella stragrande maggioranza assolve l'uomo colpevole di "vilipendio".
Però, c'è un però. A leggere i giornali del mondo, sul reato di vilipendio e sulla stessa identica frase, sembrerebbe che in Italia il reato di vilipendio viene giudicato con due pesi e due misure. Badatae bene, ho detto probabilmente. Evidentemente si tratta di situazioni diverse, le parole del premier riportate sulla stampa del pianeta erano state dette nel corso di una telefonata, però sono finite in ogni angolo del mondo. Quelle dette dal 71enne le avevano udite solo i due carabinieri che lo multavano, e probabilmente una o due persone nelle vicinanze...

Un pò di storia

L'art. 291 del codice penale recita:

Art. 291 Vilipendio alla nazione italiana
Chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana e’ punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000

Originariamente l'art. 291 prevedeva per il reato di vilipendio della nazione la pena della reclusione da uno a tre anni. L'attuale formulazione risale alle modifiche introdotte con l'art. 11 della legge 24 febbraio 2006, n. 85

Si può notare come nella formulazione originale monarchica il reato di cui all'art 291 Cp fosse considerato un reato grave, punibile con la reclusione, come dovrebbe giustamente essere, se il reato di vilipendio comportasse un reale danno alla nazione.

La sostanziale derubricazione che ne ha fatto recentemente il Legislatore republicano, tramutandolo in sanzione amministrativa estende di fatto la punibilità del reato a forme di comportamento che non sarebbe più stato possibile considerare punibili in presenza di una sanzione così grave come la reclusione.

Si noti inoltre che la determinazione della sanzione pecuniaria, in misura fissa, si presta a due critiche sostanziali all'operato del Legislatore. Primo: per effetto dell'inflazione la sanzione si decurta automaticamente con il passare del tempo. L'art. 3 della Costituzione prescrive uguale pena per uguale reato!
Secondo: 1000 euri possono rappresentare una inezia o una pena grave in funzione della consistenza patrimoniale della persona che deve pagarli. Anche in questo caso siamo di fronte ad una interpretazione molto opinabile dell'art. 3 Cost. da parte del Legislatore.

La ragione occulta della derubricazione del reato è identificata dall'articolista di Repubblica nell'iter processuale che vedeva imputati alcuni esponenti della Lega Nord.

Il testo della legge 24 febbraio 2006, n 85, approvato in scadenza di legislatura dall'allora maggioranza di governo (Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega e Udc), che ha modificato gli articoli del codice penale che si riferiscono all'attentato contro l'integrità, la Costituzione e i simboli dello Stato. Nella "normativa precedente" compare (art. 241 del codice penale) ancora la dicitura originale "è punito con la morte", in realtà, ovviamente, la pena era stata già da tempo sostituita con l'ergastolo. Questi reati sono quelli per cui sono stati imputati a Verona Bossi, Maroni, Calderoli, Borghezio e altri dirigenti del partito. Il processo è ancora in corso ma loro, ormai, ne sono usciti

Conclusioni

Dopo al derubricazione del reato, come è facile constatare a qualsiasi persona in buona fede, il tutto si risolve in una questione di principio. Tutte le parti interessate dall'Arma, alla Magistratura, all'Imputato hanno agito per principio e non per ragionevolezza. Poiché la sanzione era coperta da indulto, e quindi non è stata pagata, la pervicacia delle istituzioni e dell'imputato ha avuto come unico e non irrilevante effetto un danno erariale.

Ma oltre al danno c'è la beffa. La beffa sta nel fatto che l'espressione di un concetto sostanzialmente identico a quello sanzionato dalla Corte di Cassazione attraverso la canzone La terra dei cachi cantata da Elio e le Storie tese è stata la più votata dagli italiani al Festival della canzone di Sanremo del 1996. Festival finanziato con denaro publico.

Perche' la terra dei cachi e' la terra dei cachi. No

È grande merito di Sigmund Freud aver mostrato come l'autorità non sia in grado di comprendere dove stia l'insulto.

Sua Altezza Serenissima fa un viaggio attraverso i suoi Stati e nota tra la folla un uomo che, nell'aspetto imponente, gli assomiglia in modo straordinario. Gli fa cenno di accostarsi e gli domanda: «Vostra madre è stata a servizio a Palazzo, vero?» - «No, Altezza - è la risposta - ma c'è stato mio padre.»

Ciò dovrebbe indurre a pensare.

MP