Eugenio Rignano

L'imposta di successione reiterata

Premessa ideologica

Nel 1869 in occasione del congresso di Basilea ci fu un confronto interno alla Prima Internazionale, in particolare fra Marx e Bakunin, sul diritto di eredità. Al Congresso di Basilea il dibattito sull'eredità si conclude con l'intervento di Bakunin (10 settembre 1869): Posta ai voti la proposta di abolizione del diritto di eredità ottenne 32 si, 23 no e 13 astenuti. Il rapporto al Consiglio generale presentato da Eccarin ottenne 19 si, 37 no e 6 astenuti.

L'alleanza democratica intende iniziare la rivoluzione sociale con l'abolizione del diritto di eredità. Ci si chiede: è una politica giusta? La proposta non è nuova. Saint Simon l'ha già avanzata nel 1830. Come misura economica non presenterebbe alcuna utilità. Susciterebbe una tale irritazione, incontrando sicuramente un'opposizione insormontabile. Se fosse proclamata nell'epoca di una rivoluzione [Marx] non ritiene che lo stato generale della coscienza sarebbe in grado di garantirgliene il sostegno.

Se venissero aboliti i testamenti, si aggirerebbe la norma per mezzo delle donazioni in vita, perciò sarebbe meglio tollerare i testamenti a certe condizioni, più che non peggiorare maggiormente le cose. In primo luogo si deve poter trasformare l'ordine esistente e in seguito il diritto d'eredità scomparirà da solo.

La scomparsa del diritto di eredità sarà il risultato naturale di un cambiamento sociale, che scaccerà la proprietà privata dei mezzi di produzione, ma l'abolizione del diritto di eredità non potrà mai essere il punto di partenza di una tale trasformazione.

Ginevra - C'è bisogno di mostrare come il diritto d'eredità generi tutti i privilegi economici, politici e sociali? È evidente che la differenza delle classi si conserva attraverso di esso. Attraverso il diritto d'eredità le differenze naturali così come quelle temporanee di fortuna o di benessere, che possono esistere tra gli individui e che dovrebbero sparire man mano che gli individui stessi scompaiono, si perpetuano, si fossilizzano per così dire e, risultando trasmesse per tradizione, creano i privilegi di nascita, fondano le classi e diventano una fonte permanente di sfruttamento di milioni di lavoratori da parte di migliaia di esseri agiati per nascita.
Finché il diritto d'eredità avrà efficacia, non ci potrà essere eguaglianza economica, sociale e politica nel mondo e, finché esisterà ineguaglianza ci sarà oppressione e sfruttamento. Dunque, in linea di principio, per quanto riguarda l'emancipazione del lavoro e dei lavoratori dobbiamo volere l'abolizione del diritto di eredità.

Bruxelles - È in genere comunemente riconosciuto ai giorni nostri che nella rivoluzione francese del secolo scorso si sono messe in risalto due grandi correnti, di cui una, molto individualista e che si rifaceva agli enciclopedisti, mirava soprattutto all'abolizione dei privilegi della nascita, mentre l'altra, essenzialmente comunista e che si rifaceva a Mably e a Morelly, mirava all'eguaglianza sociale più completa. Ma mentre quest'ultima non riuscì a raggiungere i suoi ideali, la prima ebbe la gloria di realizzare quasi completamente i suoi; ottenne la soppressione dei titoli di nobiltà, del diritto di primogenitura e dell'eredità delle cariche e delle funzioni publiche, e della stessa monarchia, che, una volta costituzionale, non si distingue più dalla republica che per l'ereditarietà del trono.
Uno solo di questi privilegi di nascita restò in piedi in mezzo al ciclone rivoluzionario che spazzò via il mondo feudale: il diritto di trovarsi nella ricchezza e nel benessere per il solo fatto che si è nati da un padre piuttosto che da un altro, perché, secondo l'espressione di Beaumarchais, ci si è dati la pena di nascere.
In piena reazione bonapartista, quando si era appena ridato vita al potere monarchico del medioevo, e mentre gli ex palafrenieri ricevevano per sè e per i propri discendenti maschi il titolo di duca o di conte, un figlio di prodi, un discendente di Carlo Magno, raccolse lo stendardo della rivolta e su questo stendardo scrisse come motto che poteva unificare le nuove generazioni: guerra all'eredità.
Era Saint-Simon, e si sa che la dottrina sansimoniana, benché molto incompleta, fu la prima forma di socialismo, scientifico ma poco popolare, che reclutava i suoi adepti tra le persone colte e non tra le masse, di cui più tardi fu successore il fourierismo e di cui il socialismo di Auguste Comte è la più recente espressione. Quello che il sansimonismo persegue non è l'uguaglianza delle condizioni: al contrario, essenzialmente gerarchico, classificando gli uomini secondo le loro facoltà, sancisce l'ineguaglianza sociale e, se attacca l'eredità, è unicamente perchè vule che la fortuna sia ammassata da colui che ne gode e non dai suoi antenati; nella società sansimoniana esistono classi, come ci sono capitalisti nel falansterio, come vi sono proletari e capi d'industria nel sistema di Auguste Comte.

Fra i collettivisti che giudicano inutile votare l'abolizione del diritto di eredità, e quelli che ritengono necessario votarla, si la la differenza che segue: i primi considerano come punto di partenza l'avvenire, vale a dire danno come già realizzata la proprietà collettiva della terra e degli strumenti di lavoro, mentre noi altri assumiamo come punto di partenza i presente, cioè la proprietà individuale ereditaria nella sua piena potenza. [...] Ma è in nome della pratica che io, soprattutto, vi raccomando d'abolire il diritto d'eredità. Si è parlato delle difficoltà che si incontrerebbero per spossessare i contadini, piccoli proprietari della terra: è sicuro che, che se si volessero privare della loro terra i contadini, li si getterebbe nella braccia della contro rivoluzione. E bisogna evitare questo. Dunque, essi per qualche tempo resteranno almeno i possessori di fatto di quelle particelle di terra, di cui oggi sono proprietari. Se invece il diritto d'eredità sarà conservato, costoro non saranno soltanto i possessori, ma i proprietari, e le lesceranno a questo titolo ai loro discendenti.

Basta dire che il suo programma [di Bakunin], proposto al congresso di Berna, contiene tali assurdità come l'«eguaglianza» delle «classi», « l'abolizione del diritto di eredità come inizio della rivoluzione, ecc. sociale»

L'imposta di successione reiterata

In questo contesto l'idea di abolire o quanto meno tassare fortemente le fortune accumulate in vita al momento della morte viene seriamente presa in considerazione ed elaborata concettualmente, suppongo per la prima volta nella storia.

Nel libro Di un socialismo in accordo colla dottrina economica liberale publicato da Bocca nel 1901 l'ingegner Eugenio Rignano propone di modificare l'imposta di successione con il fine di limitare le disuguaglianze sociali non giustificate dal proprio lavoro e rendere nello stesso tempo più omogenei i punti di partenza, secondo la classica teoria liberale.

1° È una delle contraddizioni più notevoli dello Spencer [...] l'aver riassunto il concetto di equità nella formula "che ciascun adulto raccolga i risultati della sua propria natura e degli atti che ne sono la conseguenza" [Justice, Paris, Guillaumin, 1893, p. 31] rafforzata dall'altra "che nessuno possa scaricare sugli altri le conseguenze cattive dei suoi atti" e l'aver poi ammesso in tutta la sua integrita e assolutezza il diritto di testare che fa sì che l'erede detentore, per nascita, degli strumenti di produzione e il lavoratore proletario che, per nascita, ne è invece privo non ricevono affatto ciascuno secondo le proprie opere, e che questi eredi, anche se del tutto oziosi, non raccolgono affatto i risultati della loro natura e dei loro atti, ma possano, invece, come lo dimostra il fatto che pur non lavorando essi vivono e vivon bene, scaricare le conseguenze di questo loro ozio e magari degli stessi loro vizi su coloro sul prodotto del lavoro dei quali essi vivono parassiti. [Rignano, 1901, p. 20]

2° Il diritto di testare costituisce il vero e unico ostacolo fondamentale a quella socializzazione di tutti gli strumenti di produzione e capitali in genere [...] una modificazione profonda del diritto di testare sì da permettere forti e fortissime prelevazioni rimane [...] all'atto pratico, l'unico mezzo veramente efficace onde attuare gradatamente ma rapidamente, ed effettivamente - cioè non soltanto in proporzioni derisorie - questa nazionalizzazione desiderata. Della qual cosa sarebbe necessario si rendesse ben compresa la classe proletaria, forse più di quello che adesso nol sia. [Rignano, 1901, p 21-23.]

3° Il diritto di testare, per quella continuità illimitata di azione che dà al processo di accumulazione automatica del capitale privato, rende possibile a queste singole accumulazioni private, e alle rispettive differenze che tra loro possono nascere, di sorpassare qualunque limite assegnabile, dando luogo, in tal modo, a tutte quelle conseguenze funeste che sopra abbiamo esaminato. [Rignano, 1901, p.]

Rignano elenca le condizioni alle quali dovrebbe sottostare il diritto di testare per soddisfare il punto di vista dell'utilitarismo ( massimo benessere per il maggior numero, interesse economico della classe proletaria, equità):

1° Soddisfare al principio d'equità di rendere, per quanto possibile col massimo benessere sociale, uguali le condizioni iniziali artificiali della lotta per la vita o la gara economica per la maggior intensità di vita.

2° Effettuare sollecitamente la nazionalizzazione su vastissima scala di tutti gli strumenti di produzione e capitali in genere.

3° Possedere un'adeguata velocità di scumulazione affine di impedire che possano venire a prodursi differenze troppo grandi nelle accumulazioni private di capitali, - quelle che ancora permarrebbero in attesa di essere anch'esse nazionalizzate e quelle nuove che di continuo verrebbero a formarsi e da nazionalizzarsi poi alla lor volta.

4° Garantire condizioni di vita sociale tali che la legge Darwiniana della sopravvivenza del più adatto possa venire ad essere soddisfatta.

5° Stimolare potentemente al lavoro, al risparmio, alla formazione di continui capitali nuovi. [Rignano, 1901, p.58] 

Il programma enunciato si presenta, in considerazione dei tempi, in termini socialisti, ma non si tratta di una proposta socialista.

Data l'impossibilità, causa la quinta, di soddisfare pienamente, col solo ordinamento della proprietà, alla prima di queste condizioni, è d'uopo soddisfare almeno alla seconda, che dal nostro punto di vista è la più importante di tutte. Ora, riguardo a questa, già vedemmo non potere essa venire soddisfatta col semplice limitare il trapasso dei beni del capitalista defunto agli eredi designati a una data frazione o percentuale dell'ammontare totale di questi beni: affinchè, infatti, essa venga soddisfatta completamente, cioè affinchè tutti gli strumenti di produzione e capitali in genere, oggi in proprietà privata, passino alla comunità, è giocoforza che un tale trapasso di questi beni in eredità dal capitalista defunto ad altri detentori privati venga abolito completamente: soltanto che se per una data frazione dei beni questa abolizione potrà avvenire all'atto stesso della morte del loro detentore attuale, per la parte restante dovrà venire rimandata, onde soddisfare alla solita condizione di non diminuire lo stimolo al lavoro e al risparmio, a dopo un dato periodo di tempo o anche dopo dati diversi periodi di tempo da che questa morte sarà avvenuta; e periodi di tempo tali che questo stimolo appunto al lavoro e al risparmio non venga menomato, quali sarebbero, ad es., quello estendentesi a tutta la durata della vita del figlio di questo figlio. Ora, non sarà possibile ottener ciò altro che dando a questi discendenti un potere testatorio (e quindi anche, naturalmente, di donazione in vita a titolo gratuito) sui beni ereditati differente da quello sui beni che essi stessi potranno accumulare col proprio lavoro e col proprio risparmio, e differente per questi beni ereditati stessi a seconda della provenienza loro più o meno remota; cioè dando loro il potere di disporre per testamento di una data frazione, magari anche abbastanza elevata, dei beni accumulati col proprio lavoro e col proprio risparmio, ma di una frazione molto minore dei beni ereditati, e tanto minore, fino ad arrivare magari ad essere nulla, quanto maggiore è il numero dei trapassi in proprietà privata che questi beni avranno dovuto subire per pervenire a questi eredi. (1) [Rignano, 1901, p. 59-60]

L'unica differenza con una normale imposta di successione, in questo caso del 33%, è l'indisponibilità per l'erede del restante 66%. Su questa parte all'erede rimarrebbero a disposizione solo gli interessi. In pratica l'erede sarebbe un semplice usufruttuario, ereditando solo gli interessi e restando il capitale vincolato al prelievo dello Stato che si esaurisce, in questo esempio, in tre generazioni.

Il principio liberale su cui si fonda imposta di successione reiterata è stato bene evidenziato dal giovane Mill. La formulazione data da Mill è diversa, non c'è un limite alla libertà di legare, ma un limite alla liberta di ricevere legati.

Se io dovessi formulare un codice di leggi senza tener conto delle opinioni e dei sentimenti attuali, io preferirei limitare non la porzione di ciò che un individuo potrebbe legare, ma quella che sarebbe permesso a ciascuno di acquistare per legati o per eredità. Ognuno avrebbe il potere di disporre per testamento di tutti i suoi beni, ma non dissiparli per arricchire uno o qualche individuo al di là di un certo massimo che sarebbe fissato in una proporzioni sufficiente per offrire i mezzi di vivere in una indipendenza confortabile. Le ineguaglianze di fortuna che nascono da una ineguaglianza d’industria, di economia, di perseveranza, di talento, e anche, in una certa misura, di occasioni favorevoli, sono inseparabili dal principio della proprietà privata e, se accettassimo il principio, dovremmo subirne le conseguenze; ma io non vedo niente di biasimevole nel fatto di voler fissare un limite a ciò che un individuo può acquistare in grazia del semplice favore dei suoi simili, senza aver fatto alcun impiego delle sue facoltà, e di esigere che questo individuo, se desidera aumentare la sua fortuna, lavori. [Stuart Mill, Principi di economia politica, p. 604]

La ricezione della proposta Rignano in Italia è stata limitata agli ambienti progressiti. Anche i liberali come Einaudi non ne hanno compreso il valore.

«Figuriamoci cavalli in procinto di cimentarsi in una corsa. Sono essi stati collocati in una linea di cui i punti siano equidistanti dalla meta? Se sì, hanno posizioni iniziali uguali, rispetto alla distanza dal punto di partenza alla meta. Questo genere di posizioni iniziali è in arbitrio dei giudici del campo, e degli ordinatori del giuoco. Una legge, un regolamento le forma e le trasforma. Il caso analogo a quello qui descritto si ha nel campo economico là dove si rinvengono posizioni di uguaglianza, rispetto ai mezzi con cui conseguire un fine economico, quando la uguaglianza è prettamente artificiale, creata dalla legge, o dai costumi» [Pantaleoni]

Dunque, una società totalmente cosciente tenderà a rendere uguali per tutti, per quanto possibile, le condizioni iniziali artificiali della lotta economica, e non già perché queste sono le condizioni più favorevoli al progresso, all’evoluzione ulteriore della specie umana, la qual cosa non le importa nulla, ma perché sono le condizioni più favorevoli alla massima felicità delle generazioni viventi. [Rignano, 1901, p. 461]

vi è stato inizialmente un generale disinteresse per il libro di Rignano, sia nel modo politico che in quello economico-accademico. Le uniche eccezioni sono quelle di Giovanni Vailati e Mario Calderoni, che appaiono i soli a essere attratti dalla proposta di sintesi tra socialismo e liberalismo. I due protagonisti del pragmatismo italiano dichiarano infatti apertamente il loro apprezzamento per le tesi di Rignano, sottolineando l’importanza che può avere nell’ambito delle stantie concezioni sociali ed economiche il tentativo di realizzare un «socialismo in accordo con la dottrina liberale». Al fondo della loro adesione sta il convincimento che la disuguale ripartizione della ricchezza si traduca in una condizione di privilegio economico che è insostenibile in un orizzonte liberale. Calderoni puntualizza che l’ordinamento liberale produce una speciale «disarmonia», dovuta all’assenza di equità nelle condizioni iniziali dei contraenti. Si tratta di un «ingiustizia» che ha un fondamento «evidente del nostro sistema ereditario», una cui riforma permetterebbe di introdurre una componente socialista nell’ordinamento liberale, come appunto prescrive Rignano al quale il filosofo pragmatista dichiara di sentirsi «aSne» per quanto riguarda l’obiettivo di coniugare ‘socialismo’ e ‘liberalismo’. o Solo limitando l’eredità, in sostanza, il mercato potrebbe porre in essere un meccanismo ‘retributivo’ conforme a criteri di equità, mentre le condizioni di disparità nella distribuzione iniziale dei diritti di proprietà nascondono diseguaglianze non giustificate «da alcuna loro efficacia come stimoli alla produzione». [Maccabelli, p. 97]

Interessanti appaiono le osservazioni di Gini. Rignano, sostanzialmente, propone di distinguere le aliquote successorie applicate sui beni accumulati col proprio lavoro da quelle applicate sui beni ricevuti in eredità o in donazione.

La discriminazione del reddito del lavoro e del reddito del capitale si giustificherebbero in base al principio dell'eguaglianza del sacrificio [Gini] Ora questo stesso principio , dice Gini, conduce ad ammettere un più ampio diritto a disporre del capitale che si è guadagnato che non del capitale ereditato, poiché l'abbandono del primo implica a parità di valore un sacrificio più grande [De Francisci, 1923b]

Ammessa nei riguardi dell'imposta sulle successioni l'eccellenza del principio della differenziazione dell'imposta secondo l'origine dell'imposta, il Gini pone il quesito se non si debba estendere questo principio alle imposte sui patrimoni dei vivi e sui redditi dei capitali.

E si dovrebbe pertanto esaminare secondo il Gini, l'opportunità di trattare egualmente, dal punto di vista tributario, il reddito del capitale risparmiato e il reddito del lavoro sostituendo così alla discriminazione tra reddito del capitale e reddito del lavoro la discriminazione tra reddito derivante da un capitale ereditato e reddito proveniente dall'attività personale, risparmio compreso.

Il dibattito sulla rivista «Critica Sociale»

La rivista «Critica Sociale» fondata da Filippo Turati il 15 gennaio 1891 - prese il posto di «Cuore e critica» di Arcangelo Ghisleri - e soppressa nel 1926 dal regime fascista, rappresenta la voce del socialismo riformista in Italia ed è quindi la sede naturale per un dibattito sulla proposta Rignano. La polemica inizia a partire da una lettera di Rignano a Turati (1-15 gennaio 1920) segue una prima risposta di Antoine Penier (n. 6 16-31 marzo) e un primo intervento di Benvenuto Griziotti (n. 7 1-15 aprile) poi una risposta di Rignano (n. 10 16-31 maggio) un articolo di Griziotti e Dupont sulla patrimoniale (n. 11) e l'intervento di Rodolfo Mondolfo con replica di Rignano(n. 15 1-15 agosto)

1) Proclamazione del diritto dello Stato ad una quota parte di eredità sui beni lasciati, alla loro morte, dai privati. Conseguentemente, istituzione di una prelevazione sulle successioni da parte dello Stato secondo le modalità seguenti.
2) Sopra una prima porzione del patrimonio lasciato dal defunto, quella dovuta al suo lavoro e al suo risparmio, cioè a dire del patrimonio lasciato dal defunto e l'ammontare torale dei diversi patrimoni a lui successuvamente pervenuti in vita per via ereditaria o donazione, lo Stato continuerebbe a prelevare la stessa quota che preleva oggi colle imposte di successione.
Sopra una seconda porzione del patrimonio stesso la quale sia pervenuta in vita al defunto per via di un solo trapasso di proprietà a partire dall'originario accumulatore lo Stato preleverebbe ad esempio il 50% del rispettivo ammontare.
Sulla porzione restante, cioè quella che abbia subito due trapassi per pervenire dall'originario accumulatore al defunto attuale lo Stato preleverebbe il 100%.
3) Le donazioni in vita sarebbero naturalmente equiparate alle successioni ereditarie ... [Rignano, p. 10]

Benvenuto Griziotti

Il disegno di riforma dell'imposta di successione proposto dall'ing. Rignano mira ad una graduale nazionalizzazione dei capitali privati: non già dunque collettivismo statale ma a un regime socialista liberale. [Griziotti, p. 104]

I patrimoni, al netto da passività, colpiti dall'imposta di successione in Italia nel 1914-1915:
Il 97.72% dei defunti lasciarono una sostanza inferiore a lire 50.000 per un valore posseduto totale del 48,18%. Mentre il 2,28 dei defunti avevano ben il 51,82% del valore ereditario. [Griziotti]

La risposta di Rignano

Se quando un ricco capitalista non lasciasse eredi in linea retta, il suo patrimonio passasse allo stato, questo potrebbe essere un argomento per diminuire l'importanza di una riforma tendente alla nazionalizzazione graduale dei beni privati, visto che gran parte di questi beni verrebbe già a cadere in proprietà dello Stato. [op.cit., p. 155]

Griziotti replica

la sola ragionevole applicazione possibile, sostenendo opportuna una riforma dell'imposta successoria, che inasprisca le aliquote, senza arrivare alla confisca, rispetto ai patrimoni, che hanno già subito parecchie trasmissini causa mortis. [Griziotti, Finanza..., p. 184]

Segue una risposta di Rodolfo Mondolfo e la discussione è chiusa così dalla direzione della rivista

Il Griziotti ha opposto - quasi pregiudizialmente - essere ormai acquisito alla scienza finanziaria che i tributi non si prestano a servire da strumenti per alterare l'attuale ordinamento economico e sociale e per mutare profondamente la distribuzione delle ricchezze che ne risulta.
[si puo dire che l'attuale distribuzione delle ricchezze è appunto l'effetto della attuale distribuzione dei tributi]
Il Rignano ha ribattuto che egli non considera la sua proposta come una riforma semplicemente fiscale, bensì come una modificazione sostanziale del diritto di proprietà.
In un regime in cui l'egoismo individuale è norma comune di condotta fra gli uomini, tutte quelle disposizioni le quali mirano a frenare gli impulsi egoistici o a togliere loro la meta a cui sono indirizzati, si convertono - come osserva anche Mondolfo - in altrettante forze che arrestano o indeboliscono l'attività produttiva. [vice, p. 234-235]

Contraddizioni

L’affondo di Einaudi era tanto più forte se si tiene conto che faceva leva non solo sugli aspetti economico-finananziari ma soprattutto su quelli morali e sociali. Si trattava in sostanza dell’attacco definitivo condotto contro la ‘filosofia sociale’ di Rignano più che contro gli aspetti tecnico-procedurali legati al suo progetto di riforma del diritto successorio. Ed in effetti da questo momento comincia a cadere l’oblìo sul socialismo liberale di Rignano. Solo in qualche testo di scienze delle finanze si continuerà ad accennare al suo schema di tassazione degli assi ereditari, ma più come curiositas che come progetto finalizzato a un ben preciso disegno economico-sociale. Problema non secondario [Maccabelli, p. 103]

Rignano muore nel 1930, e non si dà controprova, ma è eccessivo pensare che lo si sarebbe ritrovato al convegno di Ferrara in veste di nume tutelare del corporativismo?

È forse ironia della storia se negli stessi anni il governo Mussolini abrogava la debole imposta di successione allora esistente, uno dei pochi provvedimenti di politica economica dell’Italia fascista avallati da quegli economisti ‘liberali’ che avevano sempre osteggiato la filosofia sociale ispirata al principio dell’uguaglianza di condizioni.

Dopoguerra

In due articoli sulla rivista dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Cesare Brasca ripropone all'inizio degli anni cinquanta, e quindi con una visione di prospettiva, una disamina, pressoché completa, della letteratura sulla proposta Rignano. Le conclusioni non sono del tutto negative.

Noi concordiamo con quanti hanno ritenuto che l'applicazione del piano Rignano quale fu concepito dall'autore è assolutamente impensabile. È però forse possibile utilizzare a fini fiscali il principio nuovo e senza dubbio geniale del Rignano: la discriminazione dell'aliquota dell'imposta successoria a seconda che il patrimonio sia stato guadagnato dal de cujus o sia giunto a lui per via di eredità. In questo modo l'imposta successoria potrebbe agire come stimolo alla produzione. [Brasca, [1952], p. 51]

A parità di gettito e superate le difficoltà amministrative, Brasca ritiene in conclusione che un'imposta successoria ispirata al principio proposto da Rignano, con l'attenuazione delle aliquote sostenuta da Gini, sarebbe preferibile alle imposte successorie attuali, per due ragioni: l'equità e l'incentivo alla produzione.

Appunti sparsi

Recensione sul Giornale degli economisti. Carina la chiusa.

Rignano E. — Per una riforma del diritto successorio. Bologna, Zanichelli. L. 6,50. - Il Rignano pubblica in questo volumetto tre suoi articoli che già videro la luce in vari periodici, nei quali egli rinfresca, dandole forma completa e d'attualità, una sua vecchia idea intorno all'istituto dell'eredità.

L'idea, che apparve, suscitando commenti e discussioni, in un volumetto pubblicato fin dal 1901 intitolato Di un socialismo in accordo con la dottrina liberale, consiste, in breve, in un'imposta fortemente progressiva sulle diverse parti del patrimonio del defunto, a seconda del numero dei trapassi subiti da ciascuna di queste parti, trapassi che si ridurrebbero a 2 o al massimo a 3, oltre i quali la parte di patrimonio rimanente verrebbe assorbita completamente dallo Stato.

A questo progetto, che l'autore concreta in uno schema di disegno di legge, hanno opposto critiche vivaci parecchi competenti in materia, in articoli che vengono riportati nel volumetto, ai quali l'autore risponde diffusamente controbattendo gli argomenti portati dai suoi avversari.

L'istituto dell'eredità ha una importanza che sorpassa i limiti angusti nei quali vorrebbe chiuderlo il Rignano e il discuterlo con criteri esclusivamente economici e per fini di carattere contingente, significherebbe costringere le forze della tradizione a seguire vie in vivo contrasto con le necessità e lo spirito di un popolo, con danni forse più gravi dei benefici immediati conseguibili.

Citazione da Maccabelli (da confrontare) Contesto

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Ad alimentare la prospettiva sociale di matrice milliana che cerca di coniugare socialismo e liberalismo aveva contribuito pochi anni prima Eugenio Rignano pubblicando nel 1901 un libro significativamente intitolato Di un socialismo in accordo colla dottrina economica liberale. La breve descrizione della società capitalistica che apre il volume sembra in verità lasciare pochi spazi all'apologetica liberale. Lo sviluppo dell'economia di mercato ha prodotto una innaturale separazione tra chi produce e chi detiene gli strumenti di produzione, dalla quale è scaturito, in sostituzione delle antiche forme di sfruttamento, un nuovo rapporto di dominio, non meno drammatico nei suoi effetti sociali ed economici. Il rapporto asimmetrico tra capitale e lavoro viene naturalmente ricondotto all'attuale "ordinamento della proprietà", all'origine sia dello "sfruttamento del lavoro salariato", sia della "forte ineguaglianza" nella distribuzione della ricchezza e della conseguente disparità di "condizioni nella concorrenza economica" [82]

La diagnosi della società capitalistica proposta da Rignano, tutta orientata a enfatizzare l' "iniquità" dei rapporti economici in regime di "separazione del lavoratore dal suo strumento di produzione", risulta fortemente debitrice di numerose categorie concettuali di origine marxiana e loriana.

Ma, a differenza di Marx, e in parte dello stesso Loria, Rignano enfatizza l'aspetto etico e valutativo della disuguaglianza. Della teoria marxiana dello sfruttamento non c'è in effetti alcuna traccia, essendo questo descritto come un "fatto" concreto a cui nulla aggiunge la dimostrazione "analitica" dedotta dalla teoria del valore. Agli occhi di Rignano, l'iniquità sociale e l'asimmetria dei rapporti capitalistici manifestano il loro lato inumano semplicemente guardando alla disuguale distribuzione dei diritti di proprietà e degli strumenti di produzione. [83]

È in sostanza un ideale di giustizia a cui si appella Rignano nel prefigurare una nuova organizzazione sociale, che dovrebbe in particolare realizzare quel "concetto di equità sempre più dominante" nella sensibilità politica e sociale per il quale si deve garantire la "maggior possibile uguaglianza nelle condizioni iniziali artificiali della gara economica" [84]. Stessi concetti di Pantaleoni, come si vede, ma evidentemente prospettiva rovesciata. Anziché essere economicamente irrilevante, la differenza tra posizioni iniziali e posizioni terminali ha un'innegabile valenza sul piano economico, essendo la disparità nelle prime un fattore decisivo nel condizionare l'esito del mercato. La stessa "concorrenza, da emulazione benefica quale effettivamente sarebbe fra concorrenti a condizioni iniziali presso a poco uguali", diventa non solo iniqua, ma anche nociva quando opera in un sistema caratterizzato dalla "concentrazione sempre maggiore in pochi individui" delle risorse economiche [85].

La prospettiva liberale di Rignano si manifesta perciò nel giudizio positivo attribuito alla concorrenza, che si traduce in una critica senza appello alle ipotesi di gestione centralizzata della produzione. Richiamandosi alla autorità di Wagner, Walras e Schaffle — teorici ante litteram dell'impossibilità del collettivismo di garantire, in sostituzione al mercato, un'allocazione efficiente delle risorse —, Rignano avanza le proprie riserve sulla possibilità di demandare a un organo centrale il governo della produzione [86].

Lo stesso diritto di proprietà non viene contestato, anche se viene rovesciata, richiamando parte della vasta letteratura ottocentesca sulla possibilità di "altri modi di possedere" [87], la convinzione tradizionale che l'eredità ne sia elemento inestricabile. Muovendo da tale diagnosi, Rignano arriva dunque a formulare una proposta di riforma del diritto successorio che sappia salvaguardare nello stesso tempo l'istanza di giustizia (tramite la limitazione alla successione ereditaria), l'efficienza economica (garantita sul fronte della produzione dalla concorrenza) e lo stimolo al risparmio (che verrebbe salvaguardato anche all'interno della nuova concezione del diritto di proprietà) [88]. Si deve comunque sottolineare come attraverso la riforma del diritto successorio Rignano arrivi a prefigurare — pur mantenendo saldi i principi liberali della concorrenza e del mercato — una radicale trasformazione dell'assetto capitalistico. Egli è infatti convinto dell'esigenza di superare tale organizzazione economica, bollando come palliativi" le soluzioni che si propongono di agire esclusivamente sulla cosiddetta "legislazione sociale". La limitazione del diritto ereditario è in sostanza un passo ritenuto decisivo per avviare la transizione al "socialismo", senza che questo comporti un sacrificio della libertà di fronte all'onnipotenza del Moloch statale:

Quando i rapporti contrattuali fra i singoli individui venissero a stabilirsi sopra la base di una uguaglianza iniziale di condizioni e di effettiva libertà e effettiva indipendenza, allora sì che il massimo benessere sociale verrebbe effettivamente a raggiungersi restringendo al minimo possibile l'ingerenza dello Stato nei contratti privati [89].

Riepilogo

Eugenio Rignano aveva proposto una riforma del diritto successorio nel suo libro Di un socialismo in accordo colla dottrina economica (Torino, 1901) e l'aveva più tardi ripresa con l'articolo Per una maggiore democratizzazione economica («Il Secolo», 4 e 5 aprile 1919) e con la lettera aperta a Filippo Turati (Bisogna decidersi, «Critica sociale», XXX, 1920, pp. 9-12). Entrambi questi scritti vennero ristampati in E. Rignano, Per una riforma socialista del diritto successorio (Bologna, 1920, pp. 9-20 e 27-42), dov'è anche pubblicato lo Schema provvisorio d'un disegno di legge per la successione legittima dello Stato (pp. 157-165). Fin dall'anno precedente L. Einaudi aveva discusso la tesi del Rignano nel suo libro su Il problema della finanza postbellica (Milano, 1919), notando che essa è ricordata con simpatia dal Pigou e dal Fisher, e quelle pagine, con una replica del Rignano vennero riprodotte nel volume cit. (Per una riforma ecc., pp. 61-68). Subito dopo anche il Griziotti scese in campo, dando luogo a una vivace polemica (cfr. B. Griziotti, Per una riforma dell'imposta di successione, «Critica sociale», XXX, 1920, pp. 104-106; E. Rignano, Argomentazioni borghesi di un critico socialista, ivi, pp. 154-157; B. Griziotti, Finanza senza illusioni demagogiche, ivi, pp. 184-185; E. Rignano, Complici dell'inazione socialista, ivi, pp. 215-216; il tutto ristampato in Per una riforma ecc., pp. 81-119). Successivamente il dibattito venne continuato da un giovanissimo giurista, allievo del Griziotti, il prof. Mario Rotondi (Goria Minore, 9 settembre 1900), che tenne in proposito una lettura nell'Istituto giuridico-economico dell'Ateneo pavese (Di una proposta del Rignano per la riforma del diritto ereditario e dell'imposta successoria, «La Riforma sociale», XXXI, 1920, pp. 356-377, dove nell'esordio si richiama, senza preciso rinvio, l'interesse per la tesi del Rignano mostrata dall'economista americano Irving Fisher). Seguirono altre battute polemiche: E. Rignano, Risposta alle critiche del Rotondi, ivi, pp. 378-383; M. Rotondi, Riforme, discussioni e proposte in materia d'imposte sulle successioni, ivi, XXXII, 1921, pp. 265-305. La tesi del Rignano ebbe anche eco in Parlamento, nel corso della discussione di quella che sarebbe stata la Legge 1300 del 24 settembre 1920 sull'imposta di successione; scrisse in proposito L. Einaudi (La guerra e il sistema ecc. cit., p. 396), che un_emendamento socialista non accolto: sottraeva alla disponibilità ed alla successione legittima del defunto il valore dei beni, che a lui stesso fossero pervenuti per eredità, donazione o dote, allorché fossero trascorsi venti anni da quando il defunto od il de cuius del defunto li avessero per tali cause ricevuti. Se dalla originaria eredità, donazione o dote fossero trascorsi meno di venti anni, la quota sottratta alla disponibilità ed alla successione legittima era di tanti ventesimi quanti gli anni trascorsi. La quota non disponibile andava a favore dello Stato, dei comuni e delle province. L'emendamento si ispirava alle dottrine divulgate dal prof. Eugenio Rignano ecc.

MP

Bibliografia

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