Questione di parole

Premesso che: tutti i leader dei maggiori partiti oggi presenti in parlamento in Italia sono uomini di spettacolo, e come tali abituati a considerare la parola solamente come uno strumento di lavoro, capace di emozionare e di persuadere.

L'intervista rilasciata da Beppe Grillo al Corriere della sera alcuni giorni or sono, e di cui trascrivo i passaggi relativi al reddito di cittadinanza, mi consente di fare alcuni rilievi sul corretto uso delle parole nel confronto politico.

Ora la vostra battaglia è il reddito di cittadinanza, in commissione Lavoro al Senato.
«Sì, il reddito di cittadinanza è vedere il mondo del lavoro in un altro modo, è un diritto civile. Ed è anche uno dei nostri due punti cruciali in economia insieme al referendum sull’euro. Si tratta di dare una occasione alla gente».
La vostra proposta costa 15,5 miliardi. In tempi di crisi e di tagli dove pensa possiate trovare le coperture? Chi ne potrà usufruire?
«È destinato a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a secondo del numero dei componenti familiari. Penso a una coppia con figli, lei casalinga: gli si potrà garantire 1.200-1.300 euro. Nel frattempo chi ne usufruisce segue un percorso con lo Stato. Gli si offrono due-tre lavori, se non li accetta, perde il reddito. Cambierà anche il rapporto con lo Stato, i sindacati, le imprese: un conto è che puoi licenziare con il Jobs act che si abbatte come una scure con alle spalle il reddito di cittadinanza, un altro conto senza. Dobbiamo tenere presente una cosa: in Italia solo il 40% delle persone ha un reddito da lavoro, il 30% sono figli, persone a carico, il 20% vive da reddito indiretto - con le pensioni - e il 10% con i sussidi».
E per le coperture?
«I soldi li troviamo. Spendiamo 45 miliardi per gli armamenti, 20 per la formazione professionale. Poi c’è il gioco d’azzardo e le persone che hanno 2-3 milioni di euro di reddito. Se gli prendi lo 0,5-l’1% a questo scopo non credo siano contrari. Discuteremo anche con la Cei...».
In commissione avrete una audizione. Voi proponete di ritoccare l’otto per mille. Quale crede sarà la posizione della Chiesa?
«Ne discuteremo, ma credo che papa Francesco sarà sulla nostra stessa lunghezza d’onda».
Sul «Corriere» Tito Boeri (Inps) ha parlato di reddito minimo, Libera di Don Ciotti è in sintonia con l’idea, Sel ha presentato una proposta che ha dei punti di contatto con voi, la minoranza pd si è mostrata sensibile all’argomento: pensa che ci possano essere convergenze?
«Sono contento che se ne parli. Io auspico tutte le convergenze del mondo. Bisogna capire che la povertà va affrontata come una malattia, non come un reato. Se ci sono proposte, siamo aperti a qualsiasi discussione. Noi il reddito di cittadinanza vogliamo farlo e vogliamo che sia chiaro che il merito è del M5S».

La parola chiave è reddito di cittadinanza

Nell'intervista Beppe Grillo si riferisce al disegno di legge n. 1148, presentato in Senato dal Movimento 5 Stelle a prima firma Catalfo, che prevede l'elargizione di un sussidio ai disoccupati con un reddito inferiore ad un minimo stabilito per legge denominato appunto reddito di cittadinanza.

Ci si deve chiedere allora: è sufficiente chiamare reddito di cittadinanza un sussidio di disoccupazione perché si trasformi in un vero e proprio reddito di cittadinanza? Sembrerebbe di si, poiché nessuno, non i giornalisti, non i politici, non gli addetti ai lavori, solleva obiezioni. Eppure, leggendo la proposta di legge risulta chiaramente che si tratta di un reddito minimo condizionato.

A dire la verità anche il reddito di cittadinanza è un reddito condizionato, ma ha altre due caratteristiche: 1) essere universale, anche se solo in un ambito delimitato; 2) non essere un reddito minimo, cioè non essere legato ad una soglia.

Se è così, allora che differenza esiste tra reddito di cittadinanza e reddito minimo condizionato? La differenza è nelle condizioni: il reddito di cittadinanza ha un'unica condizione, essere cittadini di una nazione, di una regione, di un comune. Il reddito proposto nel disegno di legge del M5S è invece sottoposto a tre diverse condizioni: a) la cittadinanza; b) la prova dei mezzi; c) la disponibilità ad accettare qualsiasi lavoro, e correttamente dovrebbe essere definito reddito minimo condizionato.

Si tratta cioè di un sussidio elargito solo quando tutte e tre le condizioni previste dalla legge siano soddisfatte. In buona sostanza nulla di nuovo, si tratta del modello di welfare post tacheriano, introdotto in Gran Bretagna da Tony Blair e perfezionato da David Cameron.

Naturalmente il buon funzionamento della legge richiederà un efficiente apparato burocratico che accerti l'esistenza di queste condizioni e di un ulteriore apparato che provveda a smistare efficacemente le occasioni di lavoro.

Ne segue logicamente che una parte consistente dei fondi necessari per l'attuazione della legge dovrà essere impiegata non direttamente per le erogazioni, ma per creare lavoro improduttivo necessario ad espletare le pratiche burocratiche e di controllo. Le famose buche keynesiane che si svuotano e si riempono.

Ne segue, inoltre, che la complessità della proposta di legge, sia nella sua formulazione che nella sua attuazione pratica, lasci ampi margini per inefficienze di sistema e, poiché non siamo in Inghilterra ma in Italia, anche corruzione e clientelismo.

Insomma questa proposta di legge è un vero e proprio pasticcio, ma ciò che dovrebbe preoccupare maggiormente i cittadini è l'uso scorretto delle parole. Ci si può fidare di parlamentari ed esponenti politici che utilizzano, per ignoranza o per malafede, le parole in modo così impreciso?

MP