Una teoria della giustizia senza invidia

John Rawls al capitolo 25 de Una teoria della giustizia assume che gli individui nella posizione originaria siano razionali, secondo il concetto di razionalità in uso nella corrente teoria sociale, con una sola limitazione:

L'unica assunzione speciale che faccio è che un individuo razionale non soffre di invidia.

e, poco dopo, aggiunge:

L'assunzione che le parti non sono soggette a invidia è problematica.

Per evitare complicazioni - dice Rawls - sebbene una discussione soddisfacente della giustizia debba necessariamente occuparsi anche dell'invidia, l'argomento verrà posposto ad una trattazione apposita nella quale cercherò di dimostrare che la concezione della giustizia proposta conduce ad assetti sociali in cui l'invidia e gli altri sentimenti distruttivi non hanno possibilità di affermarsi.

Il ragionamento di Rawls riprende al capitolo 80 esattamente dal punto in cui è stato interrotto, dalla necessità di tener conto dell'invidia nell'elaborazione di una teoria della società giusta.

queste inclinazioni [l'invidia e le altre inclinazioni psicologiche] esistono e bisogna in qualche modo tenerne conto.

L'invidia fa problema quando raggiunge un livello socialmente pericoloso.

Inizierò con il notare la ragione per cui l'invidia pone un problema, cioè il fatto che le ineguaglianze sanzionate dal principio di differenza possono essere tanto grandi da stimolare l'invidia a un livello socialmente pericoloso.

Sembra chiaro che l'invidia sia giustificata quando le ineguaglianze sono così grandi da provocare la perdita del rispetto di sé, che deve essere considerato il più importante bene primario dell'individuo.

talvolta, le circostanze che provocano l'invidia sono così forti che, dati gli uomini così come sono, non si può chiedere ad alcuno di superare i propri stati d'animo di rancore. La posizione inferiore di una persona, misurata secondo l'indice dei beni primari oggettivi, può essere tanto rilevante da ferire il suo rispetto di sé; e, data la sua situazione, possiamo solidarizzare con il suo senso di perdita. In realtà possiamo offenderci di essere stati resi invidiosi, poiché la società può permettere disparità di questi beni tanto ampie che, nelle condizioni sociali esistenti, queste differenze non possono favorirci ma causano una perdita dell'autostima. Per coloro che soffrono questo danno, l'invidia non è irrazionale; il soddisfacimento del loro rancore li farebbe star meglio. Poiché il rispetto di sé è il più importante dei beni primari, suppongo che le parti non sarebbero d'accordo nel considerare irrilevante questo genere di perdita soggettiva.

Rawls e Freud

La parte più interessante delle pagine dedicate all'invidia è il confronto con Freud.

Numerosi autori conservatori hanno sostenuto che la tendenza all'eguaglianza dei movimenti sociali dell'epoca moderna è un'espressione di invidia

Una spiegazione analoga ci viene data da Freud. Il sentimento sociale e ciò che ne segue - dice Freud - nasce come reazione all'astio con cui il bambino più grande accoglie il più piccolo.

Il bambino più grande, per gelosia, vorrebbe senza dubbio cacciare via quello venuto dopo, tenerlo lontano dai genitori e privarlo di tutti i diritti, ma, di fronte al fatto che anche questo bambino - come tutti i successivi - viene amato allo stesso modo dai genitori, e data l'impossibilità di mantenere il proprio atteggiamento ostile senza danni per sé, il maggiore è costretto a identificarsi con gli altri bambini e nello stuolo di bambini si forma un sentimento collettivo o comunitario che si sviluppa ulteriormente nella scuola. La prima esigenza di questa formazione reattiva è un'esigenza di giustizia, di trattamento uguale per tutti. [..] Data l'impossibilità di essere di per sé il preferito, che almeno nessuno degli altri lo sia. [..] "Giustizia sociale" significa che non consentiamo a noi stessi molte cose affinché anche gli altri debbano rinunciarvi [..] Quest'esigenza di uguaglianza è la radice della coscienza sociale e del sentimento del dovere. [..] Il senso sociale poggia quindi sul volgersi di un sentimento inizialmente ostile in un attaccamento caratterizzato in senso positivo, la cui natura è quella dell'identificazione. [..] tale rovesciamento appare compiersi sotto l'influsso di un comune legame di tenerezza istituito con una persona estranea alla massa.

Il capo, l'uomo illustre, oggetto dell'identificazione degli individui appartenenti alla massa, sono esenti da invidia, ma non da odio.

i successi supremi e le azioni illustri sovente spengono l'invidia. Non è verosimile infatti che qualcuno invidii Alessandro o Ciro per il fatto che conquistarono il potere e divennero padroni di tutto il mondo. [..] Alessandro non aveva nessuno che lo invidiasse, ma molti che lo odiavano, e, alla fine, vittima di un complotto ordito da questi ultimi, morì.

Ma la concezione di Freud non è: il senso di giustizia è originato dall'invidia. Bensì: il senso di giustizia è originato da una ben precisa invidia, quella che nasce nel bambino dal constatare l'esistenza di rivali nell'amore della madre. Questo sentimento originario, si trasforma, attraverso un percorso, nel desiderio di essere trattati allo stesso modo degli altri oggetti d'amore della madre e da qui, attraverso una nuova torsione delle pulsioni, la genesi del senso di giustizia e dell'idea di uguaglianza.

A ciò Rawls oppone semplicemente che la posizione originaria è analoga alla situazione descritta da Freud.

Le caratteristiche di fondo dell'esempio da lui [Freud] descritto corrispondono, con pochi cambiamenti, a quelle della posizione originaria.

Ma, immediatamente dopo la posizione di Rawls diventa oscillante e confusa. Nella frase seguente l'attezione viene bruscamente spostata dalla gelosia alla competizione. Il bambino freudiano, secondo Rawls, non è invidioso, ma competitivo.

Il fatto che le persone possiedano interessi opposti e tentino di promuovere la propria concezione del bene non è per nulla identico al fatto che sono mosse da invidia o dalla gelosia.

Qui Rawls sembra concordare con Freud.

Questo genere di opposizione [di interessi] dà luogo alle circostanze di giustizia.

Ma subito si contraddice.

Perciò, se i bambini competono l'uno con l'altro per l'attenzione e l'affetto dei propri genitori verso cui si potrebbe dire che hanno giustamente eguali pretese, non si può affermare [come fa Freud] che il loro senso di giustizia abbia origine dall'invidia o dalla gelosia.

Però i bambini sono anche gelosi

È certo che spesso i bambini sono gelosi e invidiosi; e le loro nozioni morali sono senza dubbio tanto primitive che essi non afferrano le distizioni necessarie.

Il ragionamento du Rawls continua, sempre torcendosi, senza dare al lettore l'idea di risolversi in una posizione definita, concludendosi poi in una immedesimazione.

Credo che Freud intenda asserire qualcosa di più del fatto che spesso l'invidia si maschera di risentimento. Egli vuole affermare che l'energia che motiva il senso di giustizia viene attinta da quella dell'invidia e della gelosia, e che senza di essa vi sarebbe un desiderio molto minore (o inesistente) di rendere giustizia.

Ma il riferimento all'invidia, come energia che motiva il senso di giustizia, attinge una specifica motivazione psicologica, che rende impossibile ogni giustificazione etica.

Exit

Di fatto, la teoria della giustizia non offre una vera e propria soluzione al problema dell'invidia. Rawls si limita, seguendo Aristotele, a proporre di mitigare le conseguenze dell'invidia, distinguendo l'invidia distruttiva dall'indignazione.

La giusta indignazione è medietà tra l'invidia e la malevolenza: queste si riferiscono al dolore e al piacere che nascono in noi per tutto ciò che capita al prossimo; infatti, chi si indigna si addolora per coloro che hanno successo senza merito, l'invidioso invece va al di là e di addolora per tutti i successi, il malevolo infine, è tanto lontano dall'addolorarsi che gioisce del male altrui.

Poiché il fine ultimo, e nascosto, della teoria della giustizia di Rawls sembra essere quello di giustificare la necessità dell'ineguaglianza sociale per il mantenimento di una società regolata e bene-ordinata, l'invidia propriamente detta ne rimane esclusa e necessariamente il suo trattamento ricade nell'ambito psicologico o psichiatrico se preferite.

La riprova che la concezione della giustizia di Rawls non supera il test dell'invidia è, a mio parere, il fatto che Rawls sia contrario ad ogni forma di reddito minimo universale.

MP

Bibliografia

Alessandra Dragone
- Invidia e giustizia. Alcune argomentazioni a partire da «Una teoria della giustizia» di John Rawls, sta in Francesco D'Agostino (ed.), Materiali sul neocontrattualismo, Milano, Jaca book, 1988
Girolamo Cotroneo
- L' invidia nella Teoria della giustizia di John Rawls, sta in Giuseppe Bentivegna, Santo Burgio, Giancarlo Magnano San Lio (a cura di), Filosofia scienza cultura : studi in onore di Corrado Dollo, Rubettino, 2002, pp. 219-237
Jean-Pierre Dupuy
- Il sacrificio e l'invidia. Liberalismo e giustizia sociale, tr. Elisabetta Nebiolo Repetti, Ecig, Genova, 1997
John Rawls
- Una teoria della giustizia, tr. Ugo Santini, pref. Sebastiano Maffettone, Feltrinelli, 2008
Helmut Schoeck
- L'invidia e la società, tr. Aldo Audisio, Rusconi, 1974