Equità e sostenibilità dei sistemi pensionistici

Utilizzerò come traccia del ragionamento che desidero proporre il saggio di Giorgio Rampa, Tra passato e futuro: sistemi pensionistici sostenibili publicato nella raccolta di scritti in ricordo di Luciano Stella, già professore di Politica economica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Genova.

Poste le seguenti condizioni inerziali:

  • (a) la popolazione cresce stabilmente nel tempo
  • (b) durata dell'attività lavorativa e vita attesa sono stabili
  • (c) la produttività cresce ad un tasso stabile
  • (d) l'inflazione è stabile
  • (e) pensioni e redditi da lavoro crescono uniformemente

si può facimente dimostrare che i sistemi pensionistici retributivo a ripartizione e contributivo a capitalizzazione sono matematicamente equivalenti.

Poiché le condizioni suddette sterilizzano il sistema, ne segue che, ogni variazione, anche minima, di queste condizioni contribuirà in modo rilevante a determinare i successivi esiti dello stesso.

Indichiamo con:

  • α rapporto tra numero pensionati e popolazione attiva
  • β coefficiente di sostituzione, rapporto tra pensione e precedente reddito da lavoro
  • γ aliquota contributiva, percentuale del proprio reddito che un lavoratore attivo deve versare a titolo di contributi
  • W reddito annuo di un lavoratore attivo
  • L anni di lavoro
  • P anni attesi di pensione

Seguiamo ora il ragionamento proposto nel saggio di Rampa.

Sistema retributivo a ripartizione

Nelle condizioni sopra elencate la condizione di equilibrio di un sistema retributivo a ripartizione è la seguente:

γW = αβW e dunque γ = αβ
Che significato ha la condizione di equilibrio γ = αβ ? Si noti che α è un dato di natura demografica, ed è indipendente dalle scelte di breve periodo della collettività. Il coefficiente di sostituzione β, invece, è una scelta di tipo 'politico': esso dipende da quanto potere d'acquisto la società ha deciso di garantire ai pensionati relativamente ai lavoratori. Una volta noti α e β l'aliquota contributiva deve assumere un ben determinato valore, quello stabilito dalla condizione di equilibrio.

Sistema contributivo a capitalizzazione

Alle stesse condizioni affinché un piano pensionistico contributivo a capitalizzazione sia finanziariamente sostenibile occorre che il montante contributivo sia uguale al valore attuale delle rate pensionistiche future e cioè valga l'eguaglianza:

LγW = PβW e semplificando γ = (P/L)•β
In altri termini, per aversi equilibrio finanziario occorre che sussista una ben precisa relazione tra l'aliquota contributiva e il coefficiente di sostituzione, date le durate del lavoro e della pensione.

Equivalenza dei due sistemi

Dalle formule di cui sopra si ottiene l'equivalenza dei due sistemi dal punto di vista della sostenibilità.

Queste formule sono state ottenute sulla base di ipotesi semplificatrici, sostanzialmente relative alla stabilità di certi tassi di crescita nel lungo periodo. Ma quelle stesse ipotesi implicano che il rapporto fra il numero dei pensionati e dei lavoratori attivi è uguale al rapporto fra la durata della pensione di un singolo individuo e quella della sua vita lavorativa: abbiamo cioé αβ = (P/L). Ciò deriva dalle ipotesi (a) e (b). Ne segue che la condizione di sostenibilità è la medesima per entrambi i sistemi.

I sistemi pensionistici a ripartizione scaricano l'alea sulla collettività, vuoi come contributi sociali, vuoi come fiscalità generale. I sistemi a capitalizzazione la scaricano sull'individuo e solo di riflesso sulla collettività, che si dovrà far carico dell'individuo sul quale il rischio ha prodotto i suoi effetti. Da un punto di vista macroeconomico non vi è nessuna differenza negli esiti finali dei due sistemi.

Approssimazioni alla realtà

Queste formule danno dei ben precisi limiti oltre i quali la sostenibilità dei sistemi previdenziali non è garantita.

Ovviamente in una società dinamica ed evolutiva la struttura settoriale e quella della popolazione variano nel tempo. Ciò implica che i parametri del sistema pensionistico (aliquota contributiva e/o coefficiente di sostituzione) si devono modificare affinché esso resti sostenibile. Se per esempio il numero dei pensionati aumenta in relazione a quello dei lavoratori, oppure la durata della pensione si allunga a parità di periodo lavorativo, allora il coefficiente di sostituzione deve diminuire o l'aliquota contributiva aumentare. Se d'altra parte la forza lavoro si sposta dall'agricoltura all'industria il fondo pensione degli agricoltori, se separato, perderà molti contributi rimanendo però obbligato a pagare le pensioni in essere o prossime alla maturazione: il rimedio deve essere lo stesso. In entrambi i casi i lavoratori oggi attivi, futuri pensionati, si trovano trattati peggio dei loro predecessori: una società 'equa' vorrebbe evitare tale differenziazione di trattamento.

Per ovviare a queste contraddizioni una classe politica avveduta potrebbe porre in essere dei rimedi ad hoc, come questo:

Si potrebbe architettare il sistema pensionistico in modo tale che il debito iniziale, dovuto alle pensioni della prima generazione, venga assorbito nel lungo periodo. Ciò richiederebbe di accordare a tutti i pensionati futuri una pensione lievemente inferiore a quella corrispondente al criterio di sostenibilità. [..] A cosa potrebbero servire, di fatto, queste riserve? Forse a pagare le pensioni di un'ipotetica 'ultima generazione' di anziani, quando non si saranno più lavoratori attivi a pagare contributi!

Ovvero, tali accantonamenti potrebbero servire ad ammortizzare gli effetti negativi (sull'equità intergenerazionale) delle trasformazioni del sistema nel caso sia necessario, come è avvenuto, adeguarle alle nuove condizioni di sostenibilità. Ma non è qui il punto. I sistemi pensionistici, così come sono attualmente hanno un difetto strutturale ineliminabile.

Cosa non funziona nella previdenza?

Proviamo ora a chiederci che cosa non funziona nei sistemi pensionistici così come sono stati presentati sopra, ovvero come sono attualmente progettati.

Come risulta evidente dalla schematizzazione del ragionamento proposto, tutti i sistemi pensionistici tendono, concettualmente, a riprodurre tra i pensionati lo stesso divario di reddito preesistente tra i lavoratori.

Si tratta di un'osservazione, banale nella sua semplicità, che ha delle implicazioni tutt'altro che scontate perché in realtà significa:

Con l'attuale sistema previdenziale lo Stato si assume il compito (che non gli appartiene) di mantenere invariato il divario di reddito esistente tra i lavoratori anche dopo il pensionamento.

Ne segue che: poiché i sistemi pensionistici non sono in grado di mantenere l'equilibrio autonomamente, se non nelle accademiche ipotesi newtoniane sopradette, il loro equilibrio può essere ripristinato: dall'esterno del sistema, cioè dallo Stato attraverso la fiscalità generale, oppure a spese dell'equità del sistema, attraverso lo spostamento del debito alle generazioni future (sostanzialmente ai poveri delle generazioni future).

Quale compito per lo Stato?

Originariamente attraverso i sistemi pensionistici lo Stato si proponeva di garantire il trasferimento nel tempo di un potere d'acquisto e non di un semplice valore monetario. Ciò, evidentemente, costituisce un problema.

Risolvere questo problema per un insieme non stabile di individui con redditi diversi, senza violare le condizioni di equità ed eguaglianza, non è, matematicamente, possibile.

Ci si deve allora chiedere: "chi l'ha detto che lo Stato debba garantire a chi ha un reddito elevato di avere una pensione proporzionalmente elevata ponendola a carico della collettività e delle generazioni future?" Nessuno io credo.

Quindi non è compito dello Stato e non può essere compito di un sistema pensionistico publico mantenere ad un livello alto il rapporto tra reddito in età lavorativa e pensione anche per i redditi più elevati.

Compito dello Stato, hobbesianamente inteso, è quello di garantire a tutti i cittadini la possibilità di accantonare una uguale quota del proprio reddito a condizioni più favorevoli di quelle del mercato e tali da trasferire integralmente il potere d'acquisto nel tempo.

Questo è il reale significato della pensione di base, di cui il modello inglese è sempre più una brutta copia.

Ipotesi per un nuovo modello previdenziale

Affinché ne sia consentita la sostenibilità e l'equità, anche intergenerazionale nel lungo periodo, un sistema previdenziale publico dovrebbe limitarsi a garantire il trasferimento nel tempo del potere d'acquisto di quella parte di reddito che è necessaria al mantenimento dei livelli essenziali alla vita.

Ciò che eccede questa quota non può e non deve essere garantito dallo Stato, se non come controllo dell'attività previdenziale e assicurativa privata nelle quali sarà possibile investire la quota non più assorbita dal sistema previdenziale publico.

Naturalmente un welfare hobbesiano non può non prevedere accanto ad una previdenza minima (Universal Basic Security) anche un livello minimo di reddito, garantito dallo Stato (Universal Basic Income).

MP

Bibliografia

Giorgio Rampa
- Tra passato e futuro: sistemi pensionistici sostenibili, in G. Barberis, I. Lavanda, G. Rampa, B. Soro (a cura di), La politica economica fra norme e mercati. Studi in ricordo di Luciano Stella Rubbettino, 2005, pagg. 331-352