Una sentenza dagli esiti imprevedibili

Corte Costituzionale numero 70 del 2015

Tutti i media hanno riportato con risalto la notizia dei devastanti effetti sui conti publici della sentenza numero 70 della Corte Costituzionale publicata a ridosso della festività del primo maggio che dispone la nullità dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Una buona notizia per i pensionati, una bomba per le casse dello Stato. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la mancata rivalutazione delle pensioni al di sopra di tre volte il trattamento minimo Inps, per gli anni 2012 e 2013. [..] Toccherà ora al governo decidere in che forme ed in che tempi provvedere al rimborso degli aumenti non erogati ed al proporzionale incremento delle pensioni anche per gli anni futuri. Già fino ad oggi, includendo 2 miliardi circa per il 2012 e poi oltre 9 per i tre anni trascorsi si arriva ad un conto di oltre 10 miliardi.

Le reazioni a caldo dei rappresentanti del Governo sono state molto caute.

Enrico Morando segnala che nella sentenza non c’è «un bilanciamento con l’articolo 81 della Costituzione» sull’obbligo del pareggio di bilancio. La Corte, due mesi fa, pronunciandosi sull’illegittimità della Robin Tax sancì la non retroattività della sentenza, qui, invece, «l’onere si scarica sui conti pubblici»

Viceversa, i sindacati, compattamente, attraverso le dichiarazioni dei loro esponenti, non hanno perso l'occasione per esprimere tutta la loro soddisfazione.

La bocciature della norma Fornero da parte della Consulta fa esultare i sindacati [..] È una sentenza che finalmente fa giustizia. Adesso il Governo Renzi restituisca il maltolto a milioni di pensionati dicono il segretario confederale Uil, Domenico Proietti e il segretario generale Uilpensionati, Romano Bellissima.

Personalmente trovo stupido e irresponsabile l'atteggiamento di chi dovendo istituzionalmente rappresentare gli interessi dei lavoratori plaude al verificarsi di una maggiore spesa, che ricadrà, inevitabilmente, sui contributi previdenziali e quindi sulla retribuzione e sul costo del lavoro e quindi sul tasso di disoccupazione e quindi sulla sostenibilità del sistema pensionistico.

Solo Oscar Giannino, sul Messaggero, e Francesco Riccardi, su Avvenire, hanno espresso dubbi sull'equità sostanziale della sentenza. Giannino ribadendo i noti problemi di equità intergenerazionale del sistema previdenziale italiano nel suo complesso, problemi di fronte ai quali il quesito al quale i giudici della Corte erano chiamati a decidere appare costituzionalmente irrilevante.

Sta davvero alla Corte costituzionale, stabilire quale sia la soglia della “prestazione previdenziale adeguata”? Se così fosse, in base a quali criteri di calcolo e di comparazione col resto dei redditi medi italiani è fissata quella soglia, visto che si interveniva su una media superiore e non inferiore al reddito medio di quell’anno? E perché a questo punto adottare una decisione simile sullo stop a tempo alla perequazione degli assegni previdenziali, quando da anni e ancor oggi tutti i dipendenti pubblici subiscono il blocco degli scatti contrattuali? E soprattutto: è possibile alla Corte adottare decisioni simili, senza assumere un giusto criterio di equità?

Direte voi: è tutto il contrario, è proprio in nome dell’equità che la Corte interviene. E invece no, se pensate a come funziona in concreto il nostro attuale sistema previdenziale. Pur passando gradualmente nel tempo da retributivo a contributivo, cioè un sistema in cui l’assegno è parametrato non agli ultimi anni di retribuzione conseguita ma ai contributi versati, moltiplicati per coefficienti che comprendono l’andamento del Pil e l’attesa di vita, il nostro resta comunque come prima un sistema a ripartizione. Cioè le pensioni in essere vengono pagate da chi lavora oggi. Vengono pagate da chi non solo non avrà pensioni retributive, in molti casi multiple di 5 o 6 e persino 8 volte rispetto ai contributi versati, ma in molti casi non avrà neanche i requisiti minimi delle minori pensioni contributive [..]

Da parte sua l'articolista del quotidiano cattolico ha rilevato invece come la sentenza, seppure in apparenza formalmente ineccepibile, colpisca, di fatto, i più poveri ai quali toglierà risorse da destinare ad una fascia di popolazione più abbiente.

E questo pone una seria ipoteca sui progetti di nuovi prelievi o di revisione dei trattamenti pensionistici – magari anche non corrispondenti ai contributi versati – che pure sono stati più o meno evocati nelle ultime settimane dal nuovo presidente dell’Inps. [..] Ma la sentenza rischia di far esplodere nell’immediato i conti pubblici, minando il già fragile quadro disegnato con il Def [..] Il rischio è allora che saltino per l’ennesima volta gli interventi a favore dei più poveri, degli incapienti e delle famiglie che – pur non ancora concretizzati – sembravano però finalmente essere qualcosa più di un semplice slogan, di una mera ipotesi. Il rischio, come scrivevamo all’inizio, è che per sanare un’iniquità nei confronti dei pensionati a medio reddito se ne compia un’altra più dolorosa ai danni dei più poveri e dei più trascurati, negando loro per l’ennesima volta l’attenzione che meritano. Perciò è necessario badare a schivare le mine nascoste nel terreno da questa sentenza, leggendone correttamente la "mappa dei valori" che la sostanzia. Quella che indica come siano da preservare i principi di eguaglianza sostanziale e di solidarietà.

Problemi

La sentenza della Consulta pone almeno cinque ordini di problemi.

  • il primo problema è l'incompetenza tecnica del governo che ha decretato una norma che si è rivelata incostituzionale e del parlamento che l'ha successivamente approvata.
  • il secondo problema riguarda i tempi che separano l'approvazione della norma dalla sentenza che la annulla. Nel caso specifico tre anni.
  • il terzo problema, più generale, è la reale equità del sistema pensionistico italiano
  • il quarto problema è la normativa costituzionale che regola la formazione ed il lavoro della Corte. Ad esempio come potrà decidere in modo equo Giuliano Amato sulle leggi che ha votato come parlamentare o fatto approvare come presidente del consiglio?
  • il quinto problema infine riguarda l'argomentazione posta a base della sentenza.

Analisi

Poiché la norma contestata ha numerosi precedenti è utile ripercorrere la sua genesi per comprendere in quale ambito ideologico abbia avuto origine. La sua prima applicazione sembra essere stata quella approvata dal Governo Prodi, ministro del lavoro Cesare Damiano e dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa.

19. Per l'anno 2008, ai trattamenti pensionistici superiori a otto volte il trattamento minimo INPS, la rivalutazione automatica delle pensioni, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non e' concessa. Per le pensioni di importo superiore a otto volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica, l'aumento di rivalutazione per l'anno 2008 e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.

Successivamente la norma viene ripresentata per decreto dall'ultimo governo Berlusconi, ministro dell'economia, Giulio Tremonti.

3. A titolo di concorso per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, per il biennio 2012-2013, alla fascia di importo dei trattamenti pensionistici superiore a cinque volte il trattamento minimo di pensione Inps la rivalutazione automatica, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non e' concessa. Per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il predetto trattamento minimo Inps, l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni e' applicato, per il periodo di cui al comma 1, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nella misura del 45 per cento.

La formulazione della norma viene modificata in sede di conversione in legge. Si noti come, dopo la sentenza della Consulta, questo testo dovrebbe essere attualmente in vigore.

All'articolo 18: il comma 3 e' sostituito dal seguente: «3. A titolo di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, per il biennio 2012-2013, ai trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS, la rivalutazione automatica delle pensioni, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non e' concessa, con esclusione della fascia di importo inferiore a tre volte il predetto trattamento minimo INPS con riferimento alla quale l'indice di rivalutazione automatica delle pensioni e' applicato, per il predetto biennio, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nella misura del 70 per cento. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base della normativa vigente, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.»;

Con la caduta del governo Berlusconi e la nomina di Mario Monti a presidente del consiglio la norma, peraltro già in vigore, viene riformulata e ripresentata all'interno del cosiddetto Decreto salva Italia.

25. In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 per il biennio 2012 e 2013 e' riconosciuta esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a due volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento. L'articolo 18, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni e integrazioni, e' soppresso. Per le pensioni di importo superiore a due volte trattamento minimo Inps e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.

Si può notare come la formulazione del testo approvato dal Governo Monti sia più dura di quella approvata dal Governo Berlusconi e colpisca la popolazione dei pensionati sostanzialmente fino al limite dell'indigenza.

In sede di conversione in legge il rigore della norma veniva pertanto alleviato portando da due a tre volte il trattamento minimo INPS la quota di pensione rivalutata al 100%. Il comma 25 veniva così sostituito nella formulazione definitiva della legge:

il comma 25 e' sostituito dal seguente: «25. In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3 dell'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e' abrogato»;

In senso assoluto, questa formulazione della norma non appare viziata rispetto all'art. 3 Cost. a condizione che la quota contributiva effettivamente versata non ecceda l'importo della pensione erogata. Ovvero, applicando il metodo contributivo la frazione dell'importo della pensione calcolata che eccede tre volte il trattamento minimo INPS non sia rivalutata secondo un criterio stabilito per legge.

Ovvero esprimendo il concetto precedente in forma diretta. Se la norma prevista dal predetto comma 25 stabilisse la rivalutazione secondo i criteri di legge della quota dei versamenti corrispondente all'eccedenza contributiva sarebbe rispettato l'art. 3 Cost.

Si noti però che il criterio stabilito dalla legge è sottoposto a due condizioni variabili: il valore dell'inflazione e il valore della ricchezza prodotta in proporzione alla popolazione, ed è quindi per sua natura relativo. Nulla può vietare al legislatore di fissare a propria discrezione il livello di rivalutazione del reddito eccedente il minimo vitale. Per assurdo il Legislatore potrebbe anche fissarlo a zero. In questo caso, però, affinché la norma sia legittima, l'adesione alla contribuzione eccedente il minimo vitale, tutelato costituzionalmente, dovrebbe essere libera, non imposta per legge, e soggetta al mercato.

Viceversa, nel rispetto dell'art. 3 Cost., alle pensioni i cui contributi versati siano inferiori alla prestazione erogata, calcolata secondo il metodo contributivo, non può essere concessa nessuna rivalutazione dovendosi ritenere che il maggior già importo elargito sia comprensivo di ogni rivalutazione fino al limite di tre volte il trattamento minimo INPS.

Retroscena

Il resoconto dei retroscena della votazione è offerto dal Giornale

Ecco com'è andata, secondo le indiscrezioni. Nella discussione di pochi giorni fa nel palazzo sul colle del Quirinale ha cominciato a parlare la relatrice Silvana Sciarra, che si è schierata subito per la bocciatura del taglio alle pensioni, dovuto al blocco della rivalutazione legata all'aumento dell'inflazione, secondo il decreto «Salva-Italia» del 2011 voluto dal governo Monti. E sulla sua linea si sono cominciati ad allineare anche altri giudici. L'altro gruppo, da Amato a ai vicepresidenti Giorgio Lattanzi e Marta Cartabia, a Daria De Pretis, si è opposto con decisione. Voleva che il ricorso fosse respinto a tutti i costi e contava di imporre la sua posizione anche agli altri. Un po' il «metodo Renzi»: tutto e subito, malgrado le critiche, rischiando e senza mediazioni. Così, quando una possibile scappatoia si è manifestata, è stata respinta senza troppi approfondimenti. La possibilità era quella di accogliere solo uno dei due quesiti del ricorso: quello che contestava il fatto che gli effetti del provvedimento diventassero «permanenti», mettendo uno stop dal 2015. Si sarebbe invece respinto l'altro, che imponeva la restituzione degli arretrati dal 2012. In questo modo, si sarebbe salvato il rispetto degli articoli 36 e 38 della Costituzione (sulla «retribuzione proporzionata» e sul «criterio di adeguatezza» delle pensioni»), ma senza provocare una voragine nei conti pubblici. È stato a questo punto che Amato&Co, raccontano fonti ben informate, hanno deciso che no, bisognava andare al voto solo sul sì o il no, senza lasciar spazio all'ipotesi numero 3. La situazione si è radicalizzata e alla fine la decisione si è rivelata un boomerang. Tra l'altro, in tutta la discussione i giudici costituzionali non avevano ben chiaro l'impatto economico della loro decisione, a quanto sembra. I calcoli e le cifre presentate dall'Ufficio studi erano diversi e dominava l'incertezza. Ma certo, che una sentenza a favore del ricorso avrebbe messo nei guai il governo Renzi, alle prese con un fantomatico tesoretto che sarebbe andato in fumo con un risarcimento medio di 1.800 euro per i 6 milioni di pensionati interessati, era evidente. E per fargli da scudo il gruppo dei renziani alla Consulta ha fatto autogol. ?

Esiti

È molto probabile che dagli esiti della decisione della Consulta ci perderemo tutti. Infatti è quanto meno ingenuo il ragionamento che ha condotto un manager palermitano a ricorrere al tribunale per vedersi riconosciuto il diritto ad un trattamento uguale a quello di chi ha una pensione inferiore alla sua quando la Costituzione prescrive la progressività delle imposte.

Per un governo decisionista che non ha più Berlusconi nella maggioranza, dover affrontare le conseguenze della decisione della Corte è un'occasione per mostrare se c'è, in termini di equità, un "cambio di verso": anziché colpire solo chi percepisce dallo Stato o dall'INPS, si potrebbe imporre un'aliquota IRPEF più alta su tutti i redditi particolarmente elevati, di qualunque provenienza. Certo ciò può apparire "impopolare": ma ogni scelta di politica economica va a vantaggio di alcuni e a danno di altri, e occorre scegliere.

E, qualora il Governo presieduto da Matteo Renzi per rispondere alla sentenza della Consulta prendesse in considerazione anche il ricalcolo delle pensioni per ottemperare, finalmente, al dettato dell'articolo 3 Cost., come richiede Oscar Giannino, al danno potrebbe aggiungersi la beffa.

Quanto all’alternativa seria per trovare rimedio ai 5 miliardi di buco, c’è eccome. Invece di porre mano al rimborso, il governo sfrutti l’occasione per un ricalcolo contributivo ragionato di tutte le pensioni retributive eccessivamente generose. Sarebbe un modo ancor più concreto per pensare ai diritti dei giovani, sulle cui spalle ammassiamo sempre maggiori oneri.

Non è finita qui. Poiché la decisione della Consulta contrasta con l'applicazione dei trattati europei è teoricamente possibile un conflitto di interpretazioni.

Ciò che per la legge sembra ovvio, per il bilancio pubblico è quasi impossibile e per l'area euro è qualcosa di già vissuto in passato. Un anno e mezzo fa la Corte costituzionale portoghese bloccò alcune misure del piano di salvataggio del Paese. E venerdì scorso la Consulta di Roma ha annullato una norma approvata a larga maggioranza in parlamento per permettere all'Italia di rispettare un trattato sottoscritto dal Paese: quello sulla partecipazione all'euro e il rispetto delle sue regole. [..] Ma il conflitto fra interpretazione della Costituzione italiana, regole europee e risorse è più acuto che mai. Lo è al tal punto che, in ambienti del governo, sta emergendo una tentazione: chiedere un rinvio del caso alla Corte di giustizia europea, per chiarire se la sentenza della Consulta italiana sia coerente con gli impegni di bilancio firmati a Bruxelles. Il nuovo Patto di stabilità (il "Six Pack" e il "Two Pack") sono inclusi nel Trattato, dunque hanno rango costituzionale e il diritto europeo fa premio su quello nazionale. Il governo italiano potrebbe chiedere alla Corte di Lussemburgo se la sentenza dei giudici di Roma sia compatibile con essi.

Ma è anche possibile che l'errore del Legislatore e l'errore della Consulta siano l'occasione propizia per ripensare il ruolo di entrambi. In questo caso, ne sono certo, tutti i cittadini, indistintamente, ne avrebbero a guadagnare.

MP