Le illusioni del 'mercato sociale'

Paola Tubaro
Critica della ragion Nonprofit
DeriveApprodi, 1999
Il volontariato è una delle grandi "scoperte" dell'epoca postfordista.

Seguendo i principi ideologici del conservatorismo compassionevole si tende sempre di più a legare la soluzione dei problemi di patologia sociale all'azione volontaria. Con una serie di deleghe improprie si tenta di affidare alla beneficenza ed al volontario un ruolo che non appartiene loro: la garanzia dei diritti dei cittadini, specie di quelli in maggiori difficoltà, che spetta invece istituzionalmente alla comunità ovvero allo Stato

"nonprofit" è la traduzione in economichese di quello che in italiano corrente, fino a qualche anno fa, si chiamava semplicemente beneficenza o elemosina o solidarietà. L'economia moderna, a ben vedere, ruota tutta intorno alla ricerca del profitto, che ne costituisce il principio fondamentale. [...] In questo quadro la carità non è che una comparsa nella grandiosa messa in scena di cui il protagonista è il profitto.

Non è dalla solidarietà dei volontari, dalla benevolenza delle ONG, delle ONLUS, delle Charities ... che ci aspettiamo di essere aiutati a soddisfare i nostri bisogni, ma dal loro interesse e dal loro egoismo. Per questo dobbiamo cercare di capire quando ci stanno derubando e quando quello che riceviamo ci costa molto di più del dovuto.

Il libro è diviso in sei capitoli in ognuno dei quali si affronta un argomento attraverso la storia di un personaggio fittizio. Luigi è un funzionario di una Cassa di Risparmio alle prese con la realizzazione di un conto etico. Stefano è un praticante in un prestigioso studio notarile che deve occuparsi, per lavoro, di associazioni, fondazioni e organizzazioni di volontariato. Katia è una studentessa di scienze politiche che studia lo spostamento del lavoro dalla produzione profit ai servizi nonprofit. Clara si occupa di economia delle contesse, Giorgio e Silvia di ONG ed infine Luisa, casalinga annoiata, è una volontaria dell'assistenza. Eccone alcuni frammenti.

Il caso del Fondo sociale europeo

La promozione dello sviluppo economico e sociale è una classica giustificazione della spesa publica. Quindi è naturale che sia stata utilizzata per attribuire ad un organo politico-brurocratico, l'Unione Europea, ogni sorta di competenza in materia di spesa.

Non è facile accedervi (le procedure burocratiche sono complicatissime) ma, una volta ottenuto il finanziamento, le erogazioni sono piuttosto cospicue. Per questo motivo, negli ultimi anni, è cresciuta esponenzialmente l'offerta di corsi di formazione professionale di tutti i tipi: ... [...] alcune di queste iniziative sono indubbiamente utili, altre sono più dubbie.

Nei fatti la gestione dei fondi dell'Unione Europea destinati allo sviluppo ha un solo reale obiettivo: giustificare l'esistenza delle strutture che gestiscono i fondi stessi e mantenere le nuove professionalità ad esse collegate.

Il problema è che i corsi Fse, inadeguati per trovare una sistemazione professionale per gli studenti, sono invece una manna per gli organizzatori.

Ma, se l'utilità dei corsi è già discutibile in situazioni normali, lo diventa ancora di più quando, come la cronaca giudiziaria dimostra, la disponibilità di denaro publico gestito politicamente è fonte di corruzione ed arricchimento illecito.

Etica bancaria

L'anno scorso è nata la pretenziosa Banca popolare etica. L'obiettivo non è quello di canalizzare risorse verso il nonprofit (offrendo : anticipazioni a fronte di crediti da enti publici, mutui, finanziamenti di liquidità, garanzie per fideiussioni) ma, più in generale, quello di contribuire a introdurre criteri di eticità nel mondo della finanza. [...] Il controllo di fatto della nuova banca è nelle mani delle due più grosse associazioni italiane, Acli e Arci [...] ciò che preoccupa è la dichiarata volontà di monopolizzare sia l'intera intermediazione finanziaria nel confronti del terzo settore, sia la raccolta di risparmio "etico"... garantendosi rendite di monopolio...

Il nonprofit è un'astuzia del profitto

Si potrebbe indicare una data precisa, alla fine del XX secolo, per individuare il momento in cui gli scienziati sociali hanno riconosciuto il fatto che la beneficienza privata stava diventando un'impresa economica come tutte le altre attraverso la sua trasformazione in nonprofit.

Il nonprofit è un'impresa come tutte le altre
- i ricavi devono (e non semplicemente, possono) superare i costi
- Vale a dire, bisogna ottenere profitti
Ma la nonprofit è un tipo particolare di impresa
- Perciò la legge la obbliga a reinvestire tutti i profitti
in questa prospettiva sembra di ritrovare i precetti che i padri fondatori dell'economia politica prescrivevano a tutt'altro genere di imprese. [...] la reimmissione di ogni eccedenza nel ciclo produttivo, perché potesse rendere un "di più" ancora maggiore nel periodo successivo.

Se è così, dobbiamo chiederci allora se l'astuzia del profitto si sia veramente impadronita dell'altruismo o non ne abbia semplicemente svelato l'essenza.

Dalla donazione alla speculazione

Bastano pochi accorgimenti, poche leggi ad hoc, per trasformare un atto di generosità, il dono senza contropartita, in un investimento finanziario vero e proprio.

Negli Stati Uniti le agevolazioni fiscali sulle donazioni si possono combinare con l'esenzione degli entri nonprofit dall'imposizione sul capital gains. Manovre di questo tipo consentono alle organizzazioni nonprofit delle sofisticatissime - e molto redditizie - operazioni finanziarie. [..] La maggior parte delle grosse organizzazioni predispone dei complessi schemi, in cui si riescono a ottenere delle rendite per il donatore a partire dal duplice beneficio fiscale di cui sopra
  1. Il donatore cede un capitale a un ente nonprofit
  2. Di conseguenza, il donatore risparmia sull'imposta sul reddito e non paga la tassa sul capital gains
  3. L'ente investe il capitale ricevuto sul mercato finanziario: acquista azioni, obbligazioni, buoni del tesoro, senza pagare tasse su queste operazioni
  4. Dal capitale investito, l'ente ottiene ogni anno un rendimento su cui non paga imposte
  5. L'ente cede, per alcuni anni, il rendimento ottenuto annualmente al donatore originario: né l'ente, né il donatore pagano tasse su questa transazione

In Italia l'esempio è quello delle fondazioni bancarie, la cui storia, dopo le vicende giudiziarie degli ultimi anni, merita di essere riscritta.

Non è difficile rinvenire ulteriori esempi di abuso del favore fiscale. Uno dei più eclatanti è dato dalle fondazioni bancarie italiane, che godono di un trattamento fiscale estremamente favorevole, in quanto tenute ad attuare politiche di finanziamento del terzo settore. [...] A tutt'oggi, però, le fondazioni hanno devoluto al terzo settore molto meno rispetto alle loro entrate, dovute ai grossi investimenti che hanno effettuato sui mercati finanziari. Finora, di fatto, quello a cui si è assistito è stata una capitalizzazione degli sgravi fiscali.

Una società di volontari e di disoccupati assistiti

Il modello sociale proposto dai sostenitori del terzo settore è una società composta da volontari non pagati e disoccupati da assistere.

Secondo un recente studio dell'Irs (maggio 1998) commissionato dalla Camera di Commercio di Milano, nel capoluogo lombardo e dintorni, sarebbero attivi circa 220 mila volontari, equivalenti, secondo i calcoli degli autori, a 18 mila lavoratori a tempo pieno, Cifra indubbiamente enorme, specie se confrontata con il dato relativo al personale dipendente: 25 mila, inclusi religiosi e gli irregolari di ogni tipo. A questa forza-lavoro gratuita si aggiunge un'altra miniera d'oro per il nonprofit: gli obiettori di coscienza. Sono 2117 attualmente a Milano [...] gli obiettori sostituiscono lavoratori che non verranno mai assunti. Per l'ente sono convenientissimi. Stanno lì a tempo pieno, sono anche qualificati: sono studenti o laureati. E soprattutto sono a spese del Ministero della Difesa.
La presenza incombente di questa folla di volontari e obiettori, pronti a prestare la propria opera nel nonprofit per nulla, serve a tener buoni i lavoratori retribuiti, a schiacciarli tra la prospettiva di essere buttati sul lastrico, da un lato, e salari da fame assieme a condizioni di precarietà e insicurezza, dall'altro.

Il terzo settore sopperisce con il volontariato al lavoro che manca, alle relazioni sociali, al welfare state, alla partecipazione politica, ma lo fa togliendo opportunità di lavoro retribuito e riconosciuto come lavoro alle classi sociali più povere.

Il terzo settore funge da tappabuchi. [...] Il boom attuale di associazioni e fondazioni ha una precisa utilità socio economica: serve a evitare l'esplosione del sistema. [...] Se il settore nonprofit si accolla il compito di porsi quale datore di senso della vita delle persone [...] le aziende avranno la coscienza più tranquilla quando ingaggeranno massicce campagne di licenziamenti, casse integrazioni, prepensionamenti. Se la gente vuole sentirsi appagata e realizzata potrà rivolgersi alle associazioni. Allo stesso modo i politici non esiteranno a smantellare ulteriormente il welfare. Tanto, a svolgere le funzioni assistenziali ci penseranno i volontari.

L'economia delle contesse

Lo sviluppo del capitalismo è stato accompagnato dall'istituzionalizzazione dell'assistenza publica, ma anche dalla crescita della beneficenza privata, che ha raggiunto il suo massimo splendore alla fine del XIX secolo.

Andrew Carnegie, noto industriale americano, scriveva nel 1889 che i ricchi hanno una sorta di dovere morale nei confronti della collettività: devono ripagarla della posizione privilegiata che ha concesso loro donando parte della loro fortune a chi è stato meno assistito dalla buona sorte. Il sospetto qui è che non si tratti di dare qualcosa agli altri per "sdebitarsi" [...] ma per estendere la propria influenza ad altri ambiti ancora.

L'altruismo privato, il passatempo delle 'contesse' annoiate, (Le cene di beneficenza non sono quelle serate in cui si va a pasteggiare a caviale e champagne per pagare i piatti di minestra "e tutte quelle schifezze" che mangiano i poveri?) non svolge solo un ruolo sussidiario rispetto al welfare publico ma tende a

divenire un potente mezzo di controllo sociale [...] Il beneficiario [...] deve nostrarsi riconoscente, accettare il suo ruolo sociale subordinato, e ammettere che senza l'intervento dell'illuminato benefattore non sarebbe riuscito a risolvere i suoi problemi. Quest'ultimo, a sua volta, è compensato dalla soddisfazione "di aver fatto del bene", oltre che dal veder rafforzato il proprio prestigio sociale.

Ma non può mai sostituire il welfare publico.

L'azione altruistica del privato è caratterizzata da particolarismo e specializzazione (spesso elevata). È poi, per sua natura, un'attività altamente discrezionale. [...] Dunque: affidarsi al terzo settore non garantisce affatto la copertura universalistica dell'offerta, né tanto meno la tutela dei diritti di cittadinanza.

L'Internazionale filantropica

L'equonomia cioè l'idea di praticare "attività commerciali senza scopo di lucro" è in sé stessa contraddittoria. Il Commercio Equo, così com'è, non è sostenibile. La sua trasformazione in senso professionale è inevitabile. Eccone l'esempio.

Ci sono in Europa alcune centrali di importazione, che trattano direttamente con i produttori del Sud. La più grande in Italia è la Ctm (Cooperazione Terzo Mondo) di Bolzano. [..] La Ctm impone ai fornitori del Sud del mondo l'esclusiva per la distribuzione dei loro prodotti in Italia. [...] La stessa politica viene poi seguita nei confronti delle botteghe: queste ultime sono costrette ad acquistare soltanto prodotti Ctm e ad applicare i prezzi e le condizioni decise da Ctm.

Succede così che buon vecchio monopolio venga applicato a tutta la catena produttiva e non solo, anche a quella di controllo. Con buona pace dell'etica capitalistica.

è nato negli anni scorsi un marchio europeo del Commercio Equo, "Transfair", con l'obiettivo di dare al consumatore una garanzia di qualità etica oltre che merceologica. Un marchio concepito, dunque, al fine di controllare gli operatori. Invece è finito, almeno per quanto riguarda l'Italia, per via dei soliti intrallazzi, nelle mani della Ctm stessa, vale a dire di quella che doveva essere controllata.

L'economia solidale è una truffa?

Dopo quanto abbiamo detto siamo condotti istintivamente a chiederci se l'economia solidale non sia in molti casi una vera e propria truffa? Finché il nonprofit consente di attuare in modo legale una concorrenza sleale verso chi pratica la stessa attività ma è costretto ad una normativa più severa i motivi per pensarlo sono molti.

Come distinguere un circolo sociale da un bar? Come distinguere la clinica privata meritevole di aiuti publici da quella fatta per spillar quattrini a pazienti facoltosi?. Come distinguere una Onlus che si occupa di assistenza agli animali da un gattile privato? E così via...

Affiché l'economia solidale non diventi una truffa è necessario che sia soggetta alle stesse regole valide per tutte le altre attività, lucrative e non.

MP

Bibliografia

Paola Tubaro
- Critica della ragion Nonprofit. L'economia solidale è una truffa?, Roma, DeriveApprodi, 1999
- Volontariato, sta in Adelmo Zanini & Ubaldo Fadini (a cura di), Lessico postfordista. Dizionario di idee della mutazione, Feltrinelli, Milano, 2001