Lettera sul non profit

al Presidente del Consiglio
in occasione della consultazione sul terzo settore

Occorre partire dalla constatazione che: i poveri sono poveri perché meno dotati intellettualmente. Per questo possono essere ingannati da chi può articolare in modo più efficiente il proprio interesse personale attraverso l'uso più sofisticato della parola.

L'elaborazione di una categoria concettuale, il non profit, che innovando il concetto di beneficenza lo strumentalizza a vantaggio di alcuni soggetti, offre un brillante esempio di questo stravolgimento del senso delle cose operato attraverso la manipolazione della parola.

L'idea, non detta, che sottende alla trasformazione della beneficenza in non profit è: chi impiega il proprio denaro o la propria opera a vantaggio della comunità deve essere ricompensato con una esenzione fiscale. Ma questo ragionamento è privo di senso.

Qualcuno, evidentemente ricco e intelligente, ha elaborato, e fatto valere attraverso la parola, l'idea che la comunità debba favorire economicamente i ricchi che fanno beneficenza distribuendo loro quel denaro publico che invece agli altri contribuenti viene esatto coattivamente dallo Stato in nome dei poveri e che ai poveri lo Stato dichiara di distribuire in modo non discriminante.

Mettiamo tra parentesi, per ora, la discussione sull'efficienza redistributiva dello Stato, e diamo per buono che operi equamente. Che motivo c'è per non tassare la beneficenza? Nessuno. Se la tassazione è una redistribuzione operata secondo una scelta che spetta alle strutture dello Stato, una mancata tassazione è una redistribuzione la cui scelta viene lasciata a chi usufruisce della esenzione fiscale. Cioè lo Stato rinuncia ad operare secondo equità.

Anche al fondo del ragionamento portato avanti dai sostenitori della trasformazione della beneficenza in non profit c'è la convizione, molto antica, che i poveri non siano in grado gestirsi da soli, ma debbano essere gestiti dalla élite dominante.

Le motivazioni dell'azione non profit

Al di là di ogni affabulazione intellettuale tutte le reali motivazioni dell'azione non profit, dal lato dell'offerta, sono sostanzialmente riconducibili a tre:

  • il proprio divertimento. Quando un'azione sia realmente disinteressata la sua motivazione non può che essere, per definizione, il proprio piacere o quanto meno la soddisfazione di un desiderio, conscio o inconscio che sia.
  • il guadagno personale. Non tutto il non profit ricade nel campo dell'azione disinteressata, ma può essere, come ogni altra azione umana, guidato dalla ricerca dell'utilità (sociale od economica) personale.
  • il clientelismo, sia esso politico o religioso. Qui sta la forza nascosta del non profit. Proprio questa terza motivazione ha fatto sì che le agevolazioni riservate al non profit si estendessero a innumerevoli categorie che non svolgono alcuna funzione di beneficenza.

Dal lato della domanda, nessuna di queste motivazioni mi sembra così utile alla comunità da giustificare un trattamento fiscale di favore rispetto alle ordinarie attività economiche.

Le criticità

Sulle numerose criticità indotte dagli aiuti publici al terzo settore un cenno soltanto:

  • alterano la concorrenza e distorcono il mercato
  • riducono l'offerta di lavoro e creano occupazione marginale
  • determinano clientelismo e corruzione
  • sono è contrari all'art. 3 della Costituzione

La proposta

Trasformare il settore non profit, che attualmente opera solo dal lato dell'offerta ed ha come unico interlocutore lo Stato, in un normale mercato operante sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta ed ha come interlocutori, attivi e passivi, tutti i cittadini.

Come fare? Attribuendo direttamente e singolarmente a tutti i cittadini, anziché alle organizzazioni non profit, quelle agevolazioni fiscali che consentano l'acquisto dei beni e dei servizi oggi prodotti dal terzo settore.

In questo modo le organizzazioni non profit sarebbero necessariamente in concorrenza con le imprese del mercato e si ovvierebbero immediatamente molte delle criticità elencate.

Immaginando le obiezioni che potrebbero essere sollevate su questo punto dico subito che non mi sembra sostenibile la tesi secondo la quale senza agevolazioni fiscali le organizzazioni non profit non sarebbero in grado di competere con le imprese rivolte al profitto.

Dal lato delle motivazioni nel primo caso, poiché qualsiasi azione disinteressata ha nel suo compimento il suo premio, non ci sarebbero ricadute negative. Nel secondo caso semplicemente si ristabilirebbe una situazione di indifferenza, mentre nel terzo caso, qui si, ci sarebbero problemi: ogni motivazione clientelare verrebbe meno.

MP