Due ragioni per sostenere l'idea della giustizia sociale

Tony Honoré
Giustizia sociale, in L'ideale di giustizia
Egea, Milano, 2010

La raccolta di saggi L'ideale di giustizia publicato a cura di Mario Ricciardi comprende anche un articolo di Tony Honoré riporta due argomentazioni a sostegno dell'idea di giustizia sociale. La prima quella hobbesiana la dò per scontata. La seconda, che coinvolge Hayek, richiede, invece, qualche commento.

Ci sono due ragioni per cui è naturale sostenere l'idea della giustizia sociale. Una considera la comunità come se fosse semplicemente un gruppo di individui, l'altra prende in considerazione le istituzioni sociali e, in particolare, di governo. In una società senza struttura o con una struttura debole, sembra plausibile assumere, con Hobbes [33] che le persone siano in generale più o meno uguali per quanto riguarda i loro poteri fisici e mentali. Dunque è naturale (nel senso che consente la transizione più agevole possibile dal fatto alla norma) basare gli assetti sociali sull'idea che ciascun membro della società abbia una pretesa all'uguale vantaggio. A non sarà soddisfatto di pretendere meno di B, rispetto al quale è più o meno uguale per quanto riguarda la forza fisica e mentale. A sua volta B non sarà soddisfatto di pretendere meno di A. A avrà paura che, a meno di non concedere l'uguaglianza a B, B lo attaccherà, e viceversa. La formula dell'uguale pretesa è quella che ha maggiori probabilità di realizzare la pace sociale. Ma in pratica, l'uguaglianza umana è lontana dall'essere esatta; le ineguaglianze tra le persone sono spesso molto più notevoli delle somiglianze [34]. Inoltre, le ineguaglianze naturali, in generale, non sono abbastanza grandi da invalidare la formula delle pretese all'uguale vantaggio, che è quella che con più probabilità otterrà l'accettazione generale.

L'argomento a sostegno dell'uguaglianza naturale approssimativa ha dunque un peso, ma non è irresistibile. Viene rafforzato quando prendiamo in considerazione la struttura delle società politiche moderne come gli Stati sovrani. Attraverso le risorse che essi controllano e la giurisdizione che rivendicano sui cittadini, tali società si trovano nei loro confronti in un posizione simile a quella dei genitori con i figli, e di conseguenza i cittadini si trovano tra loro in una posizione simile a quella dei membri di una famiglia. Chiunque sia colpito da questo parallelo ha una buona ragione per condividere il principio della giustizia sociale.

Hayek, rendendosi conto che il parallelo ha un certo fascino, sostiene che c'è una differenza fondamentale tra la posizione dei genitori e quella dello Stato. I nostri compatrioti non sono come i membri della nostra famiglia. Infatti, in un piccolo gruppo come la famiglia, i cui membri si conoscono personalmente, ognuno può avere davvero un dovere di cooperare con gli altri e di aiutare chi ha bisogno. Ma la situazione è totalmente differente nella Società Grande o Aperta [35] Qui le persone non conoscono le conseguenze delle proprie azioni. Nel processo dello scambio di mercato, che è un tratto della Società Aperta, alcuni vincono e altri perdono, ma nessuno pianifica che i perdenti perderanno. Essi perdono perché le regole sono quelle che sono e perché essi giocano come fanno con le risorse che si ritrovano. Non perdono perché qualcuno li ha trattati in modo iniquo [unfair]. Secondo Hayek, solo le azioni possono essere giuste [just] o ingiuste [unjust]. Quindi, nella misura in cui i partecipanti al mercato economico si conformano alle regole, i perdenti non possono lamentarsi dell'ingiustizia. Un'ingiustizia anonima non è un'ingiustizia. La mano invisibile è sempre onesta [upright]. Come avrebbe potuto metterla Rousseau, le marché est toujours droit.

Prima ho argomentato contro l'idea che solo le azioni possano essere giuste o ingiuste. Anche se venisse accettata la posizione di Hayek su questo punto, non ne seguirebbe che un'azione che producesse risultati cattivi ma inattesi non possa far nascere un dovere di raddrizzare la situazione [a duty to put the matter right] o almeno di aiutare. Supponiamo che io guidi la mia auto con tutta la cautela dovuta [due care] e sfortunatamente ti investa. Non sono tenuto a chiamare un'ambulanza e la polizia, a tenerti al riparo finché arriva aiuto, e a mettere un segnale sulla strada? Le auto private sono un'invenzione eccellente, e la diffusione della proprietà delle automobili dà un grande contributo all'ideale dell'uguale vantaggio. Ma chi guida sa che, nonostante la cautela, le auto causano incidenti. Di conseguenza, i guidatori hanno un dovere morale, e in alcuni paesi anche giuridico, di assicurarsi che quelli che hanno investito ricevano soccorso. Perché lo stesso non sarebbe vero per le vittime di imprese private e del mercato? Il mercato è un'istituzione eccellente e, per molti scopi economici, più efficiente di ogni altra alternativa. L'economia di mercato, come la proprietà delle automobili, promuove l'ideale dell'uguale vantaggio. Ma ha anche le sue vittime.

La ragione per cui essa ha vittime è che, nonostante i prezzi di mercato siano prima facie equi [fair], l'esito di un gran numero di operazioni che, prese singolarmente, sono eque, non è necessariamente equo. L'equità non è additiva in questo modo ingenuo. Chi crede che lo sia commette lo stesso tipo di errore che fanno Kelsen e Nozick quando suppongono che il diritto [right] al potere legislativo o alla proprietà sia determinato semplicemente dal pedigree [37]. Non c'è ragione di supporre che il risultato di diecimila transazioni di mercato eque sarà esso stesso equo.

Ovvero: l'equità è una qualità sensibile alla quantità. I 25 cent dati a Wilt Chamberlain milioni di volte in transazioni eque modificano i rapporti di forza all'interno della società anche per chi non è interessato allo scambio con Wilt Chamberlain. Lo scontro di due atomi modifica tutto l'universo, non solo i due atomi.

Ci si deve quindi porre la domanda a quali condizioni sia legittimo considerare neutrale lo scontro di due atomi o il ripetersi di milioni di transazioni eque.

Ne segue che, se l'economia di mercato causa delle vittime, dovute al mutamento di qualità delle condizioni del mercato al ripetersi indefinito delle transazioni, non c'è motivo per cui non ci si debba comportare come avviene con gli incidenti stradali, cioè non sia valida la prima condizione hobbesiana anche in questo caso.

MP

Bibliografia

Tony Honoré
- Social Justice, in «McGill Law Journal», vol. LX XVIII (1962), pp. 77-105 [id. Making Law Bind, Clarendon Press, Oxford 1987, pp. 193-214]
- Giustizia sociale, tr. Carolina Gasparoli in L'ideale di giustizia. Da Rawls a oggi, ed. Mario Ricciardi, Egea, Milano, 2010