La lobby delle grandi opere affonda l'Italia

Giorgio Barbieri, Francesco Giavazzi
Corruzione a norma di legge
Rizzoli, Milano, 2014

Il libro di Barbieri e Giavazzi, Corruzione a norma di legge, che ripercorre le vicende che hanno portato alla costruzione del MoSE è inquietante.

Tutto inizia il 4 novembre 1966 quando l'acqua alta raggiunge i 194 centimetri sopra il livello del mare e Venezia è completamente allagata. Il 16 aprile 1973 viene promulgata la prima Legge Speciale per Venezia e nel 1980 il ministero del Lavori publici incarica una commissione di sette esperti - Jan Agema, Roberto Frassetto, Augusto Ghetti, Enrico Marchi, Pietro Matildi, Roberto Passino, Giannantonio Pezzoli - di redigere un progetto di regolazione dei flussi di marea. Nel 1982 il "Progettone" viene approvato da tutti gli organi competenti e nello stesso anno nasce il Consorzio Venezia Nuova costituito dalle maggiori imprese di costruzione italiane, publiche e private: Fiat-Impresit, Iri-Italstat, Mazzi, Lodigiani, Maltauro e alcuni consorzi cooperativi.

Tra i primi presidenti c'è Luigi Zanda (dal 1986 al 1995), un manager che viene dall'industria di Stato, già portavoce di Francesco Cossiga, che diventerà dopo il 2008 figura di spicco nel Partito democratico. Il direttore è Giovanni Mazzacurati, ingegnere idraulico con un passato professionale alla Furlanis, noto gruppo di costruzioni di Portogruaro anch'esso entrato a far parte del Venezia Nuova.

Già nel 1982 il Magistrato delle Acque - braccio operativo del ministero dei Lavori publici - comincia a dare in concessione a trattativa privata al Consorzio i primi lavori per realizzare lo sbarramento fisso alla bocca di porto del Lido incontando i rilievi della Corte dei Conti. Così il 29 novembre 1984 il governo presieduto da Bettino Craxi, su impulso del ministro Gianni De Michelis, approva la Seconda Legge Speciale per Venezia nella quale in deroga alla legislazione vigente viene creato il monopolio delle opere relative alla salvaguardia della laguna. La legge autorizza il ministero dei Lavori publici a:

a procedere mediante ricorso ad una concessione da accordarsi in forma unitaria a trattativa privata, anche in deroga alle disposizioni vigenti, a società, imprese di costruzione, anche cooperative, o loro consorzi, ritenute idonee dal punto di vista imprenditoriale e tecnico-scientifico, nell'attuazione degli interventi di cui alle precedenti lettere a), c), d) ed l), nonche' a procedere mediante ricorso a concessione anche per gli altri interventi previsti dal presente articolo, sentito, in relazione alle connesse convenzioni, il Comitato di cui all'articolo 4. Con proprio decreto, il Ministro dei lavori pubblici, sulla base delle convenzioni, definisce le modalita' e le forme di controllo sull'attuazione delle opere affidate in concessione

La formulazione quanto meno equivoca della legge viene giustificata con la necessità di fare e di fare in fretta. Significative a questo proposito sono alcune dichiarazioni di Gianni De Michelis.

All'intervistatore preoccupato che il fare rapidamente potesse ostacolare il fare bene, rispondeva: Smettiamola con questa storia. L'alluvione è del 1966: siamo nel 1984. Un ventennio di analisi. Abbiamo imparato quanto basta perché una classe dirigente degna di questo nome sia in grado di operare. [12]

Il Consorzio Venezia Nuova l'ho inventato io e me ne assumo la responsabilità spiega De Michelis nel 1984 è un'idea politica, un progetto nato in sede politica. In questa dialettica pubblico-privato se chi ha la responsabilità dei pubblici poteri non è all'altezza di gestire le proprie idee, e fa solo l'apprendista stregone, può solo essere travolto. C'è questo rischio, ma a Venezia c'è anche il rischio maggiore di andare a picco senza fare nulla. D'altra parte, nelle scelte di questi anni non ho visto nulla che ci debba far temere di essere travolti. Semmai gli interessi privati a Venezia sono stati per troppo tempo latitanti.

Trent'anni dopo, e alla luce degli arresti in laguna, l'ex ministro sarà costretto ad ammettere: All'inizio degli anni Ottanta il concessionario unico si giustificava per la necessità di compiere un'operazione rapida e in qualche modo coordinata. Evidentemente il fatto che ci fosse un Consorzio dominus di tutte le operazioni e un soggetto in qualche modo membro del Consorzio, una società privata, di fatto dominus dell'intera vicenda, ha creato una situazione in qualche maniera di cortocircuito.

Se l'idea che si debbano corrompere le leggi per accelerare l'esecuzione delle opere pubbliche è il vizio d'origine del MoSE una seconda e forse ben più grave anomalia è rappresentata dalle modalità con le quali vengono superate le resistenze di coloro che si oppongono all'attività del Consorzio, sia attraverso l'approvazione di legislazione ad hoc, sia con la rimozione dal loro incarico delle persone che rappresentano un ostacolo. Ecco alcuni esempi.

Nel 1990 i primi rilievi della Corte dei Conti che boccia la terza convenzione stipulata tra il Magistrato delle acque e Venezia Nuova.

A finire nel mirino della Corte dei Conti è soprattutto l'entità del compenso al Consorzio Venezia Nuova, che percepisce il 24% dell'ammontare complessivo dei lavori (in realtà è il 12%, che poi si raddoppia calcolando le attività di progettazione e direzione dei lavori che vengono pagate secondo tariffe professionali). [..] La seconda contestazione è di natura politica [..] In sostanza il Comitatone avrebbe disatteso le osservazioni del Consiglio superiore dei Lavori publici che, soprattutto in materia di dighe mobili aveva suggerito una maggiore ponderazione e una pausa di riflessione.

L'interruzione dei lavori ordinata dai magistrati contabili di Venezia verrà aggirata pochi mesi dopo dalla sentenza della Corte dei Conti di Roma.

Nel gennaio del 1994 il governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi emana un decreto legislativo nel quale la figura del concessionario unico è superata, sostituita da «un'apposita società per azioni costituita, d'intesa tra lo Stato-ministero dei Lavori pubblici e la Regione Veneto». [..] Trascorre un anno e il decreto Ciampi viene neutralizzato dal successivo governo guidato da Lamberto Dini. La legge del 31 maggio 1995 [16] è un capolavoro perché non abroga il decreto legislativo di Ciampi [..] ma blinda gli accordi già stipulati tra Stato e Consorzio. Un paio di righe sufficienti a vanificare tutto: «Restano validi gli atti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti».

Dopo le tergiversazioni dei governi Prodi - D'Alema l'impulso decisivo alla prosecuzione dei lavori viene dato dall'accoppiata Berlusconi-Lunardi, sotto l'occhio vigile di Gianni Letta con la Legge 443 del 21 dicembre 2001. Da quel momento

quando un ingranaggio smette di girare come dovrebbe viene immediatamente espulso e sostituito. È quel che accade nel 2008 con l'allora presidente del Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva, cacciata dalla laguna perché ha osato mettersi di traverso a una decisione del Consorzio in merito alle cerniere che consentono il movimento delle paratoie del MoSE. «Le cerniere chiusero la mia esperienza lavora- tiva su Venezia» ha detto Maria Giovanna Piva davanti alle telecamere della trasmissione Off the Report andata in onda il 27 maggio 2012. Le cerniere sono il cuore del sistema MoSE: nel progetto definitivo si era previsto di utilizzare la tecnica della fusione, ma con l'andare degli anni il Consorzio ha cambiato idea decidendo di usare lamiere saldate. «I soldi dello Stato devono essere spesi in maniera oculata» aggiunge la Piva. «Ho così deciso di chiedere un parere a un esperto, secondo cui le cerniere scelte dal Consorzio sono a rischio "grippaggio", per evitare il quale sarà necessario prendere precauzioni molto costose. Poi è arrivato l'inaspettato trasferimento a Bologna» spiega «me lo ha comunicato il ministero con una telefonata affermando che il ministro Altero Matteoli riteneva di anticipare la scadenza naturale del contratto.»

Sorte analoga tocca all'assessore leghista alle Attività produttive della Provincia di Venezia Massimiliano Malaspina che, forse non del tutto innocentemente, aveva messo in dubbio la correttezza dell'attività del Consorzio.

«Vi sono legami tra MoSE e offshore che mi lasciano perplesso. Come mai il terminal inizierà a essere costruito proprio alla fine della realizzazione del MoSE? È una tempistica alquanto strana. Sembra quasi che con questo progetto si voglia dare nuovo lavoro a chi oggi sta realizzando la barriera mobile alle bocche di porto che altrimenti tra tre anni non avrebbe altro che opere di minor rilievo. Fosse così, gridare allo scandalo sarebbe riduttivo dato che non si capiscono le garanzie di successo di un'opera come questa, quali certezze di nuovi traffici portuali ci siano per investire così tanti soldi. Sarebbe curioso sapere come mai il Consorzio Venezia Nuova abbia acquistato una cava di sassi in Croazia dalla quale ha prelevato le pietre per il MoSE. Sarebbe interessante sapere quanti sassi sono stati gettati in mare, magari con un'apposita commissione d'inchiesta. Dato che anche l'offshore sarà composto di dighe che dovranno emergere dall'acqua per chilometri, mi viene il dubbio che la cava fornitrice sia la stessa.» [10] Una critica che non piace ai vertici del Consorzio che si attivano immediatamente. Il presidente del Venezia Nuova Mazzacurati dice alla responsabile delle relazioni esterne del Consorzio, Flavia Faccioli (evidentemente senza sapere di essere intercettato dalla Guardia di Finanza): «Bisogna fare in modo che quelli che sono associati con lui non piglino neanche un lavoro». [11] Malaspina, stando alla ricostruzione delle Fiamme Gialle, aveva infatti cercato di spingere una ditta di Chioggia per farle ottenere dei lavori per il MoSE. Di lì a pochi mesi perderà la delega di assessore provinciale.

I fatti che ho riportato a titolo esemplificativo, ma ve ne sono altri descritti nel libro di Barbieri e Giavazzi, fanno supporre l'intervento volontario di più persone unite da un unico intento, cioè l'esistenza di una vera e propria organizzazione che attraversa tutti i partiti e comprende anche esponenti della società civile.

Come bene si comprende non si tratta di un singolo atto di corruzione di una singola persona, ma delle azioni coordinate di un gruppo che, partendo dai livelli più alti, il parlamento, e scendendo via via ai livelli inferiori, agisce secondo un unico piano d'azione volto all'interesse personale.

Naturalmente non sto dicendo che il socialista (si fa per dire) De Michelis si era accordato con il missino (si fa per dire) Matteoli, o con il liberale (si fa sempre per dire) Dini per costruire un sistema grassatorio ai danni dell'erario. Quello che intendo è che questo accordo esiste a livello politico senza essere stato concordato dalle singole persone e chi non agisce in funzione di questo accordo viene spontaneamente espulso dal sistema.

La vicenda giudiziaria

Che cosa ha tradito un così perfetto sistema di estrazione di rendite dagli appalti publici? Probabilmente la sensazione di impunità acquisita, che, con trascorrere del tempo, ha fatto perdere il senso del limite o forse qualche sgarro fra le stesse imprese del Consorzio. In ogni caso accade che il castello di carte di colpo si sgretola.

All'inizio del 2013 arriva il momento più buio per il Consorzio Venezia Nuova, quando a mettersi di traverso non sono i politici, ma i magistrati che indagano su un immenso giro di fatture false lungo l'asse Padova-San Marino. Piergiorgio Baita, diventato nel frattempo il re delle gare d'appalto, finisce in carcere. È alla guida della Mantovani di Padova, società di maggioranza del Consorzio. Trascorrono solo pochi mesi e i magistrati alzano il tiro: viene arrestato anche Giovanni Mazzacurati, presidente e storico direttore del Consorzio. L'accusa è di turbativa d'asta.

Anche i politici - da Altiero Matteoli a Giancarlo Galan - sono coinvolti. Al libro manca un finale, la conclusione dei processi, che sono in corso. Ma questo è un altro discorso.

Note per una teoria della corruzione politica

Il libro di Barbieri e Giavazzi contiene anche degli spunti interessanti dal punto di vista teorico per comprendere come la corruzione sia un fenomeno non semplice da definire.

Ci sono due tipi di corruzione: la corruzione per infrazione delle regole e la corruzione delle regole stesse. Della prima si occupano i procuratori della Repubblica e i giudici. [..] Il secondo tipo di corruzione è più ambiguo perché nessuna legge viene violata: sono le leggi stesse a essere state corrotte, cioè scritte e approvate per il tornaconto dei privati contro l'interesse dello Stato, o per alcuni privati a svantaggio di altri. Di fronte a questo tipo di corruzione la giustizia non possiede armi. Nel momento in cui la regola corrotta viene applicata nessuno commette alcun reato; i reati semmai sono stati compiuti quando il Parlamento ha approvato le leggi, ma sono più difficili da dimostrare e sanzionare.

Se il solo modo per ottenere favori da un politico o da un amministratore fosse quello di violare la legge, non avrei scritto questo libro. Se la sola forma di corruzione fosse quella regolata dalle leggi che la rendono illegale, sarei il primo a sostenere che il nostro Congresso non è corrotto scrive Lawrence Lessig, professore alla Harvard Law School. Episodi di corruzione in cui vengono violate le leggi sono rari. I lobbisti di Washington non violano le regole. Uno le violò, Jack Abramoff, e fu immediatamente messo all'indice dalla corporazione dei lobbisti. [1] I lobbisti moderni, almeno a Washington, non cercano di influenzare i singoli voti di deputati e senatori: quanto piuttosto di agire sull'agenda politica del Congresso, non convincendo i suoi membri a cambiare idea, bensì aiutandoli, in modo che entrambi, il parlamentare e il lobbista, raggiungano un obiettivo comune.

Il deputato o il senatore promuove leggi che interessano al lobbista, non perché costui lo paghi, ma perché nel tempo ha assimilato il punto di vista dell'industria e si è convinto che quella legge sia nell'interesse generale.

Peccato che poi lo stesso deputato, senatore o presidente della Commissione europea (ogni allusione a Barroso è voluta) passi nel libro paga dell'industria o delle banche. Anche in questo caso la giustificazione è che la sua competenza favorendo J.P. Morgan promuoverà l'interesse generale. Non fatemi ridere.

Cosa ben diversa dall'economia delle mazzette è il caso, altrettanto spinoso, al quale il libro di Barbieri e Giavazzi allude ironicamente, come felice esempio di collusione publico-privato, quello di Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti durante l'amministrazione di George W. Bush già amministratore delegato di Halliburton, al quale si deve la responsabilità della guerra in Iraq per puro dis-interesse personale.

Scrive Jane Mayer sul New Yorker: Poco dopo aver lasciato gli incarichi a Washington, Cheney andò a pescare in Canadà con un gruppo di amministratori di grandi aziende americane. Una sera, dopo che Cheney si era ritirato, gli altri cominciarono a parlare della scelta del nuovo amministratore delegato di Halliburton. Perché non Dick? È vero che non ha alcuna esperienza aziendale, ma ha relazioni personali con individui potenti, soprattutto nei Paesi del Golfo, una regione cruciale per le attività della società [che vende armi]. Ad esempio Cheney e sua moglie Lynne, osservò Lawrence Eagleburger, segretario di Stato dell'amministrazione Bush, sono amici personali del principe Bandar, ambasciatore saudita a Washington [..] Non prendete queste informazioni come una valutazione negativa di Cheney, sono relazioni personali più che legittime, che potrebbero essere importanti per Halliburton. [3] E così Dick Cheney fu scelto come ceo della società.

Questa la commovente descrizione del modo in cui viene scelto il ceo di una grande società privata americana pescando tra i funzionari publici che si sono distinti per avere ben operato a favore della comunità

«Infrazione delle regole e corruzione delle regole» [4] non sono tuttavia fenomeni indipendenti l'uno dall'altro. La vicenda del MoSE è interessante perché ci consente di capire il collegamento tra le due forme di corruzione, e ci offre inoltre una chiave di lettura per un passaggio importante nella storia italiana degli ultimi vent'anni, quello che collega la Tangentopoli degli anni Novanta al «sistema MoSE».

Alla radice dello spreco di denaro pubblico c'è infatti la corruzione delle regole, cioè quelle leggi che hanno concesso a un piccolo numero di imprese il monopolio dei lavori.

Per capirlo è utile partire da un saggio del 1993 di Andrei Shleifer e Robert W. Vishny [..] Se il potere di concedere una licenza, come un permesso di costruzione, è nelle mani di un solo politico, e molti imprenditori concorrono per ottenere quel permesso, il valore monetario della corruzione sarà molto elevato in quanto quel politico farà pagare a chi ottiene la licenza una tangente uguale all'intero beneficio che ne ricaverà, ad esempio, dalla vendita delle case costruite grazie a quel permesso. [5]

Se invece le licenze si possono «comprare» da molti politici — perché ad esempio l'imprenditore può scegliere in quale comune costruire — il valore monetario della corruzione sarà basso, perché l'imprenditore si rivolgerà al politico che costa meno. [..] Per tenere alto il valore monetario della corruzione, i funzionari o i politici devono colludere proprio come fa un cartello di imprese che vuole tenere alto il prezzo dei propri prodotti. Ma per sostenere la collusione è necessario avere la forza di individuare e punire chi sgarra e di imporre a tutti il prezzo che massimizza la rendita che il cartello dei politici può estrarre dalla vendita dei permessi.

In questo senso la creazione dell'Agenzia anticorruzione, da parte del governo Renzi, è il primo passo di un'operazione che ha lo scopo di ricondurre il controllo degli appalti sotto un unico ambito politico. Ottenuto il controllo della situazione verosimilmente il secondo passo sarà quello di sostituire Cantone con una persona in grado di estrarre le rendite.

Osserva Piergiorgio Baita nel giugno 2014: «Dopo Tangentopoli, il Consorzio ha avuto il merito di sollevare i politici dal rapporto diretto con gli imprenditori». [6] Non a caso nel Consorzio Venezia Nuova ritroviamo gli stessi imprenditori attivi al tempo di Tangentopoli, in primis lo stesso Piergiorgio Baita. Avevano capito la lezione e il MoSE offriva l'opportunità di mettere in pratica il nuovo modello.

Trattando da una posizione di forza si può anche fare in modo che i benefici ottenuti non siano sanzionati dalla legge, e così evitare il rischio della prigione. I politici sono pagati per ottenere non solo una parte della rendita, ma anche leggi che la rendano legale [7]

Il sistema MoSE rappresenta oggettivamente un salto di qualità rispetto a Tangentopoli.

Oggi la situazione a Venezia qual'è?

Per concludere viene spontaneo domandarsi quale sia la situazione di Venezia oggi. Per rispondere alla domanda ho scelto due articoli che non richiedono commenti.

Sorpresa: le paratoie del Mose non si alzano. Dopo oltre due anni di inattività detriti e sedimenti hanno bloccato il meccanismo. E al primo test di sollevamento il sistema ha fatto flop. [..] Due paratoie non hanno funzionato, non si sono nemmeno alzate. Poi per tornare sott’acqua la presenza dei detriti ha provocato un danneggiamento delle due alette in acciaio. Insomma, un disastro. Incidente che si somma ai tanti dell’annus horribilis 2015, con lo scoppio del cassone, l’allagamento, la rottura della porta della conca di Malamocco. Che pone inquietanti interrogativi sul funzionamento dell’opera e in particolare sulla manutenzione futura.

Una perturbazione con forti venti di scirocco sovrappone centimetri alla già sostenuta marea astronomica (74 centimetri) in fase di plenilunio. Almeno 30 centimetri di «contributo meteo» potrebbero quindi portare di nuovo l’acqua alta in città, dopo una pausa che durava dal marzo scorso. 120 centimetri significa che in piazza San Marco, il punto più basso della città, ci saranno per qualche ora 40 centimetri d’acqua.

Niente di drammatico, se non fosse che negli ultimi decenni la frequenza delle acque alte e medio alte è andata aumentando. Il progetto Mose, in corso di ultimazione, non risolverà tutti i problemi legati all’acqua alta. Le barriere si potranno chiudere a partire da 100-110 centimetri. Ma La Piazza, in assenza di interventi, andrà ugualmente sott’acqua con le maree medio alte.

Sorprendente non è vero?

MP

Bibliografia

Giorgio Barbieri, Francesco Giavazzi
- Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l'Italia, Rizzoli, Milano, 2014