Le ragioni del fisco

1.01L'importanza di una corretta e coerente teoria dell'imposizione fiscale, che giustifichi e consenta l'introduzione di una pratica virtuosa, appare sempre più evidente a chiunque si occupi dei meccanismi di funzionamento delle comunità umane. Non è più lecito argomentare in maniera aprossimativa su questa materia. Si richiede uno sforzo di chiarificazione, per questo dirò subito che del libro di Franco Gallo apprezzo lo spirito che lo ispira, non le conclusioni.

1.02L'ondata neoliberista che ha attraversato i cinque continenti alla fine del XX secolo ha minato alle fondamenta le certezze ideologiche su cui si fondava la pratica dell'imposizione fiscale nei paesi occidentali e quindi anche in Italia. Prendendo a pretesto, giustamente diciamo noi, le incongruenze di un welfare statale inefficiente e costoso, che non tiene conto dei principi di libertà e uguaglianza, il pensiero neoliberista ha avuto buon gioco, anche in Italia, nell'ottenere il consenso politico necessario per capovolgere, o tentare di capovolgere, i principi della legislazione fiscale. Gallo cita come esempio significativo questo passo della dotta relazione governativa che accompagna la legge delega n. 80 del 7 aprile 2003 sulla riforma fiscale.

Per alcuni non c’è un limite all’imposizione, se non quello «democraticamente» stabilito dallo Stato. Alias, stabilito da quella degenerazione prima dogmatica e metafisica, poi politica e burocratica, che viene legittimata con la finzione organicistica: «lo Stato siamo noi». Ma la persona, nella sua dignità universale e nella sua naturale capacità di rapporto sociale, sta sopra lo Stato, che non è un fine, ma un mezzo. In questa visione, se politicamente prima dello Stato vengono le persone, economicamente prima dello Stato vengono il lavoro e la proprietà. È per questo che nella nostra visione, il limite naturale, fondamentale e costituzionale dell’imposizione fiscale è rappresentato dal lavoro e dalla proprietà privata, basi fondamentali della libertà della persona e della ricchezza della nazione. Il diritto ai frutti del lavoro e della proprietà è dunque un diritto originale e primario (...) Se il presupposto del prelievo non è quanto serve allo Stato, ma quanto può dare il privato; se non si ha una visione autoritaria dello Stato, che può imporre quanto vuole; se insomma si accetta il principio del limite dell’imposizione, costituito dal rispetto del lavoro, della proprietà, e dei frutti che ne derivano, è evidente che la misura della giusta imposta dipende unicamente dal consenso dei cittadini. Da quanto i cittadini sentono giusto di dover pagare allo Stato a titolo di imposta sui frutti del loro lavoro e della loro proprietà.

1.03A questa visione neoliberista Gallo contrappone una definizione di tributo che lega circolarmente tributi e diritti proprietari, in un sistema dove la giustizia della tassazione sarebbe effetto indiretto dello stesso regime di tassazione.

I tributi dovrebbero invece considerarsi parte inestricabile di un moderno sistema complessivo (rule of law) di diritti proprietari, che le stesse norme tributarie concorrono a creare, limitare o, a seconda dei casi, a espandere, tutelare e proteggere: sul piano etico, giustizia o ingiustizia nella tassazione dovrebbe solo significare giustizia o ingiustizia in quel sistema dei diritti proprietari e di mercato che risulta (anche) dal regime di tassazione.

1.04Questo è un terreno ambiguo e teoreticamente scivoloso sul quale non desidero soffermarmi, anche perché il capitolo quarto del libro, Giustizia fiscale e giustizia sociale, affronta due temi, quello dell'imposta progressiva e quello del reddito di cittadinanza, che offrono la rara opportunità di verificare le affermazioni teoriche direttamente nel concreto. Per quanto rigarda la progressività dell'imposta le conclusioni di Gallo meritano un commento.

pur nella perdurante crisi dell'imposta personale, la progressività andrebbe non accantonata e sostituita sistematicamente da imposte cedolari, ma recuperata e ricercata con maggiore sofisticatezza e attenzione tecnica, in attuazione dell'art. 53, comma 2, Cost. e in associazione con misure selettive di workfare fondate anche sulla spesa sociale. Essa andrebbe in estrema sintesi costruita in riferimento sia al sistema fiscale nel suo complesso [..] sia al più ampio ambito del sistema finanziario e di quello assistenziale e, quindi, con riguardo al variegato mix costituito da differenziazioni di aliquote, detrazioni, deduzioni e crediti fiscali, da un lato, e da trasferimenti monetari, provvidenze e contributi dall'altro.

1.05Sono semplicemente sbigottito da queste proposte, che, se attuate, non rappresenterebbero un'innovazione, bensì il perfezionamento del sistema bizantino attualmente in uso. La carenza di spirito matematico che perseguita il Legislatore italiano dai tempi della Costituente * lo rende del tutto incapace di concepire correttamente l'eguaglianza fra i cittadini. Come non capire che ogni complicazione, ogni bizantinismo della legge fiscale, per quanto sofisticato esso sia, non otterrà mai lo scopo di rendere i cittadini più uguali, ma trasformerà una disuguaglianza in un'altra disuguaglianza, quella voluta dal mercato, questa voluta dal Legislatore e fonte di corruzione e di clientelismo.

1.06A margine una nota sulle nuove debolezze dei sistemi impositivi dovute agli effetti fiscali della globalizzazione. Sull'analisi mi trovo in accordo con Gallo, non sulle conclusioni. Un cittadino dotato di un certo reddito, pur godendo o avendo goduto nella formazione del reddito dei benefici della spesa publica di un paese può scegliere di pagare almeno una parte dei tributi in un altro paese meno esoso. In questa situazione diventa evidente che la tutela della proprietà in un paese dovrebbe comportare un onere fiscale che ricada direttamente sul possessore del bene, prima della formazione del reddito e che nulla ha a che fare con la capacità contributiva del possessore.

1.07Veniamo ora al reddito di cittadinanza o dividendo sociale o negative income tax o qualsiasi altro sinonimo si voglia usare per indicare un reddito minimo universale e incondizionato.

Impraticabilità di sistemi di «dividendo sociale» abbinati alla «flat rate tax». Né nella presente congiuntura può considerarsi una valida alternativa al recupero degli elementi di progressività complessiva, secondo lo schema empirico sopra indicato, una riforma radicale dell'IRPEF realizzata inserendo tale imposta in un sistema di dividendo sociale di tipo universalistico. Una siffatta riforma ci sembra utopica, mal collocabile nel contesto dell'attuale realtà economica e sociale del paese e, perciò, difficilmente realizzabile nel breve e medio termine.

1.08Qui comincia la confusione. Prima si afferma che l'universalismo è un difetto.

La caratteristica - e, insieme il difetto - di proposte di questo genere è il loro carattere strettamente universalistico.

1.09Poi si descrivono malamente negative income tax e dividendo sociale, facendo delle distinzioni che inducono a pensare che non ne sia stato compreso il funzionamento reale.

il modello negative income tax e dei crediti d'imposta si riferisce ai soli occupati, limitandosi a fissare un reddito soglia al di sotto del quale il lavoratore dipendente entra in un regime di povertà e riceve, di conseguenza, un sussidio o un credito d'imposta, il modello del dividendo sociale applica lo stesso meccanismo a ogni cittadino, occupato e non (qualunque reddito produca) e investe direttamente la riforma generale dell'IRPEF nell'ottica impegnativa di una flat tax. Quest'ultimo modello presuppone, in altri termini, l'abbandono di quelle misure selettive di workfare di cui si è detto *

1.10Il giudizio sulla proposta Atkinson - in realtà ritengo sulla proposta Rizzi-Rossi - è piuttosto duro. Si tratterebbe, secondo l'opinione di Gallo:

di costruire ex novo un complesso, oneroso e deresponsabilizzante sistema che investe ogni cittadino fin dalla nascita. E ciò senza che sia mai stato dimostrato in linea teorica né che l'uniformità dei trasferimenti monetari a titolo di assistenza sia eticamente sempre preferibile a politiche strutturali selettive né che tutti i cittadini abbiano diritto indiscriminatamente a un identico ammontare di risorse che assicuri loro la parità formale dei punti di partenza e non anche un'uguaglianza coniugata con le differenze e con le capacità.

1.11Forse Gallo non ha capito che lo Stato italiano, di cui è rappresentante autorevole, non è riuscito neppure ad assicurare l'uguaglianza formale minima e quindi la vagheggiata tutela differenziata dei bisogni diventa un argomento improponibile. Ovvero, la tutela differenziata dei bisogni esiste già, ma in negativo, come clientelismo.

1.12Sulle altre critiche non mi soffermo per la loro banalità. Il cittadino che oggi evade, forse, con l'introduzione del reddito di cittadinanza acquisterà maggiore fiducia nello Stato ed evaderà meno. Alla trita osservazione che il reddito di cittadinanza indurrebbe alla disoccupazione si può rispondere, che nell'attuale situazione economica dominata da una mancanza di lavoro, un disoccupato volontario in più significa un lavoro disponibile in più per chi è disoccupato involontario. Mi sembra che basti.

Giuseppe Giovanni Battista Cattaneo

MP

Bibliografia

Franco Gallo
- Etica e giustizia nella «nuova» riforma tributaria, in Politica del diritto, XXXIV, n. 4, dicembre 2003, pp. 501-552 - vedi astrid-online.it visitato il 10 ottobre 2012
- Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, Il Mulino, Bologna, 2007
- Proprietà e imposizione fiscale, 2009 - vedi ... visitato il 10 ottobre 2012