Paul Groarke
Dividere lo Stato
Conclusione - Riforma istituzionale
Il punto di partenza del presente libro è abbastanza chiaro: abbiamo disperatamente bisogno di un mezzo pacifico per risolvere i conflitti che sorgono quando una minoranza all'interno di un determinato Stato rivendica il diritto alla secessione. Questi conflitti rappresentano una grave minaccia per la stabilità e la pace mondiale.
La tesi centrale del libro è che un governo che non rispetta i diritti fondamentali di una minoranza non è più giuridicamente legittimo. Di conseguenza, una minoranza può contestare la validità del suo titolo al potere sovrano. Ciò non è possibile senza estendere la nozione di legalità interna all'ambito internazionale. Allo stato attuale dell'ordinamento giuridico, gli Stati sono liberi agenti e non esiste alcuna fonte di diritto da cui un ente giuridico possa trarre l'autorità di ordinare la divisione di uno Stato in entità politiche separate.
Il problema principale di qualsiasi tentativo di sviluppare un diritto giuridico di secessione è quindi il più semplice. È che la secessione, come è stata tradizionalmente concepita, si verifica al di fuori dell'ordinamento giuridico. Sebbene i tribunali di diritto comune abbiano esercitato un potere residuo per determinare se il potere sovrano ha cambiato le mani, questo è solo il potere di determinare come materia di fatto chi detiene il diritto di governo. Nonostante i numerosi sviluppi del diritto internazionale, i singoli Stati sono ancora immuni dai normali vincoli giuridici.
L'argomento westfaliano secondo il quale gli Stati dovrebbero ignorare l'oppressione all'interno degli altri Stati non è più sostenibile. Indipendentemente dai perfezionamenti, ci sono solo due argomenti contro un diritto internazionale vincolante. Il primo è semplicemente che i leader politici non sono obbligati a seguire le prescrizioni morali più fondamentali. Il secondo è che non c'è modo di costringerli a farlo. C'è una sorta di intenzionalità in entrambe le posizioni che suggerisce come l'attrazione per il potere si trova alla radice di entrambi gli argomenti.
La caratteristica cardine del sistema statale westfaliano è stata la non interferenza nelle vicende interne dei singoli Stati. Si tratta di una negazione del diritto e delle esigenze morali che lo sottendono, che rappresentano la vera risposta al tipo di realismo politico che ha governato le relazioni internazionali. La legge, tuttavia, non può funzionare senza un'adeguata struttura istituzionale. Non ci si può aspettare che una Corte risolva i conflitti intrattabili che sorgono in un caso come quello della secessione, a meno che la sua giurisdizione non sia obbligatoria.
Il diritto internazionale è già carico di impegni morali inopponibili e il fatto brutale è che è impossibile sviluppare un diritto significativo di secessione senza dare autorità giudiziaria agli Stati sovrani. Ci saranno sempre casi di malafede e casi che vanno male, ma gli standard di giustizia ed equità sono privi di significato se non hanno forza giuridica. Non vi è alcun motivo per cui ciò debba privare gli Stati sovrani dell'autorità amministrativa e legislativa di governare.
Nulla di tutto ciò esclude il ruolo di un organismo come il Consiglio di sicurezza nel controllare le decisioni internazionali. E' già stato riconosciuto che qualsiasi soluzione internazionale alla violenza dei conflitti etnici interni deve essere sottoscritta dalla minaccia della forza. Esiste un numero illimitato di possibilità in merito a chi dovrebbe avere l'autorità di fornire tale forza e a come potrebbe essere schierata. Il presente modus vivendi non è tuttavia sufficiente. Vi è una certa protezione dei diritti umani nel sistema esistente e nella dottrina dell'intervento umanitario. Ma ciò giustifica semplicemente la guerra e l'invasione come mezzo per risolvere le controversie interne all'interno degli Stati e offre un'alternativa piuttosto sconsiderata allo Stato di diritto. Semplicemente non è possibile formulare una teoria giuridica della secessione senza modificare il concetto di sovranità per includere l'esistenza di un ordinamento giuridico vincolante al di sopra dello Stato.
Cambiamenti nel sistema internazionale
Ci sono molti sviluppi nelle relazioni e nelle pratiche degli Stati che suggeriscono che l'ordine internazionale sta cambiando. Questo è in linea con il lavoro di filosofia e teoria politica che fa un confronto tra stati e individui. Questo lavoro suggerisce, almeno implicitamente, che ora è più appropriato parlare di autonomia degli Stati che di sovranità in senso tradizionale.
Molti scienziati politici sostengono che il concetto tradizionale di sovranità non riesce a catturare lo sviluppo del capitalismo e dei sistemi di produzione internazionali. Joseph Camilleri scrive che l'idea
... di sovranità nazionale in un contesto internazionale è stata fortemente erosa da una rete di dipendenze e interdipendenze che si rafforzano reciprocamente ... Ovunque la coesione delle società nazionali sembra destinata a diminuire, così come l'effetto mobilitante dei governi nazionali. Storicamente la sovranità dello Stato può rivelarsi un ponte tra il capitalismo nazionale e il mondo in una fase in cui il processo evolutivo si sta ancora svolgendo.
Vi sono ragioni economiche, politiche, sociali e tecnologiche per cui l'ordine internazionale è cambiato.
Cassese suggerisce che gli Stati stanno sperimentando una maggiore integrazione a livello economico e politico, anche se le differenze etniche e culturali tra le minoranze diventano più marcate. La costituzione di associazioni economiche regionali e l'autorità di organizzazioni come la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio lo attestano. Ci sono sempre più Stati che attengono volentieri alle politiche e alle pratiche delle varie agenzie delle Nazioni Unite. [2] Esistono anche forti fonti religiose ed etniche di identità, come il fondamentalismo islamico o il panarabismo, che sembrano costituire una sfida alla sovranità di alcuni Stati.
Vi sono sviluppi giuridici corrispondenti. Lo jus cogens è in aumento. La Corte internazionale di giustizia ha stabilito che gli Stati sono giuridicamente obbligati a rispettare i diritti fondamentali delle loro popolazioni. Daniel Philpott sostiene che il concetto di sovranità è stato modificato dallo sviluppo dei diritti delle minoranze e dal principio di autodeterminazione nazionale. La creazione dell'Unione economica europea ha generato un ordinamento giuridico al di fuori dello Stato, con una giurisdizione di vigilanza sui diritti umani.
I sistemi giuridici del mondo stanno convergendo in un modo che ha portato ad una maggiore integrazione del diritto interno e internazionale. L'approvazione di una Costituzione europea intaccherà inevitabilmente i poteri dei singoli Stati e conferirà ai tribunali europei una crescente autorità sui governi degli Stati. Gli attuali sviluppi del diritto penale internazionale dimostrano che sta emergendo un sistema globale di giustizia, con una giurisdizione morale indipendente. A lungo termine, i tentativi degli Stati Uniti di limitare la portata del Tribunale penale internazionale sembrano poco probabili.
Ci sono tuttavia impulsi contrari nel regno internazionale. Anne Bayefsky ha sostenuto che gli argomenti a favore della "sovranità culturale" sulla scena internazionale fanno parte di una reazione più vasta e relativamente riuscita al concetto di diritti umani universali. Il problema filosofico si può riscontrare nel positivismo giuridico, che ha minato i fondamenti morali del diritto internazionale, e che "non aiuta a costruire standard esterni di valutazione", Bayefsky descrive il principio di non intervento come "la vecchia strategia di mantenimento", che si limita a riaffermare la dottrina storica della sovranità e consente agli Stati di ignorare le convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani (pag. 49).
I principi storici del sistema statale rimangono in vigore. Di conseguenza, il diritto internazionale ha poche risorse per gestire i sistemi interni che violano i diritti umani, tanto meno gli stessi Stati. Antonio Cassese può avere ragione nel sostenere che non siamo giunti al punto in cui sia possibile spostare la società umana oltre il pregiudizio a favore della sovranità dello Stato. Ma è giunto il momento di affrontare i fallimenti del diritto internazionale. E' impossibile superare le infinite e retoriche tutele che il diritto internazionale ha offerto ai diritti umani senza subordinare giuridicamente la dottrina della sovranità e il principio dell'integrità territoriale al principio della giustizia.
Istituzione di un tribunale
Alcuni fatti sono chiari. Il concetto westfaliano di sovranità statale ha iniziato a disgregarsi e la comunità internazionale ha riconosciuto di avere l'obbligo di proteggere i diritti e gli interessi degli individui che vivono in Stati oppressivi e inospitali. Fintantoché tali obblighi saranno onorati in modo coerente e non selettivo, ciò va accolto con favore. Tuttavia, non disponiamo dei mezzi giuridici per far fronte agli obblighi giuridici derivanti da tali sviluppi. Non esiste un foro giuridico in cui una minoranza possa contestare seriamente la titolarità da parte dello Stato del diritto di governare
Ciò richiede l'istituzione di un tribunale sovraordinato alla costituzione, con giurisdizione universale, per affrontare le questioni relative alla legittimità interna dello Stato. La questione più profonda sta nella separazione tra processo giuridico e processo politico. Non si può sfuggire al fatto che una dottrina giuridica della secessione metterebbe il fatto politico più fondamentale all'interno dello Stato sotto il controllo di un organo giudicante, al di fuori dello Stato. Questo può essere un anatema per coloro che si trovano in posizioni di potere all' interno del sistema statale esistente. Ma non esistono alternative reali.
Anche se l'istituzione di un tribunale extracostituzionale è piena di difficoltà, la maggior parte di queste differenze è di natura politica. Riguardano questioni quali la composizione di un tribunale, la nomina dei giudici e i tentativi di considerare il processo decisionale come un forum per le argomentazioni politiche. L'ordinamento giuridico è soggetto a molte forme di ingerenza politica: ciò è spesso difforme dal discernimento e si afferma nell'esercizio del potere discrezionale della procura, nella nomina dei collegi o nel trattenere le prove.
Tuttavia, questo tipo di carenze sono una parte inevitabile di qualsiasi apparato giuridico, e la questione è relativa. Sono gli Stati stessi a dover fornire le risorse pratiche e istituzionali necessarie per creare la struttura giudiziaria necessaria per disciplinare una questione come la secessione. Ciò non è possibile senza il riconoscimento da parte degli Stati e dei loro leader che le loro azioni sono soggette a restrizioni morali obbligatorie. Questo è solo un modo per dire che occorre il consenso generale di coloro che rientrano nella sua giurisdizione.
Se questo sembra improbabile, è perché il sistema internazionale favorisce i singoli Stati, che non ritengono che sia nel loro interesse accettare tali modifiche sostanziali del sistema. La sfortunata realtà psicologica è che gli Stati hanno un interesse personale a mantenere un sistema che almeno teoricamente dia loro piena autorità nei propri affari. La volontà politica di introdurre i necessari cambiamenti nell'ordine internazionale esistente si può trovare in definitiva nei parlamenti e nelle assemblee interstatali, come il Parlamento europeo o il parlamento mondiale proposto, che non sono così facilmente dominati dagli interessi degli Stati.
Ciò può sembrare suscitare idee vaghe di governo mondiale. Si tratta tuttavia di un'altra discussione, che è meglio lasciare ad altri. Questi sviluppi presentano un aspetto giudiziario, indispensabile per ridefinire il ruolo degli organi giuridici intemazionali. Una parte dell'impulso per un nuovo ordinamento giuridico dovrà provenire dal sistema giudiziario, che sarebbe responsabile dello sviluppo delle legalità di qualsiasi azione contro lo Stato. Non è ancora chiaro se i tribunali internazionali abbiano fiducia in un compito così importante.
Separazione dei processi giuridici e politici
Sul piano teorico, la realtà è che i cambiamenti sulla scena internazionale hanno superato le nostre capacità teoriche. L'apparato concettuale che è stato tradizionalmente utilizzato per spiegare la natura giuridica degli eventi sulla scena internazionale non è più in grado di affrontare le realtà di un nuovo ordine mondiale.
C'è una necessità teorica di separare i processi giuridici e politici in ambito internazionale. La confusione esistente è evidente nell'idea che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sia la sede adeguata per affrontare gli aspetti giuridici di questioni come la secessione. Si tratta però di poco più di un'affermazione del primato politico sulla scena internazionale. Il Consiglio di sicurezza ha poche, se non nessuna, delle proprietà di un tribunale e non è in grado di pronunciarsi su questioni di diritto. Né è in grado di pronunciarsi sulla legittimità delle proprie azioni.
Le azioni ad hoc del Consiglio sono motivate dagli interessi politici degli Stati membri, come dovrebbero essere, piuttosto che da principi giuridici consolidati. Non ha alcun obbligo reale di giustificare le sue azioni, rispettare i precedenti o anche mantenere la coerenza delle sue sentenze. Ciò interferirebbe probabilmente con la sua funzione, che è quella di fornire un forum per l'espressione della volontà politica degli Stati più potenti.
I tribunali sono organi consultivi. Il processo giudiziario è un processo riflessivo, che ci fornisce una serie di motivi per cui un tribunale è costretto, in un certo senso rigoroso, a raggiungere una certa conclusione. I procedimenti giudiziari sono principalmente giustificati. L'azione di un giudice, con tutte le sue imperfezioni, si basa sul principio e non sulla volontà delle parti. Il processo politico tende a subordinare le regole generali ai fatti di casi specifici. La legge subordina i fatti alle regole.
Le differenze tra i processi giuridici e politici sono in ultima analisi una questione professionale e psicologica. La formazione e lo status degli attori giudiziari, insieme all'esercizio delle funzioni, collocano i giudici in una posizione più neutrale rispetto agli attori politici. Vi sono molte politiche relative alla nomina e all'istituzione del potere giudiziario che possono incidere in un modo o nell'altro. Il processo politico è per sua natura parziale e non si presta a un esame imparziale di questioni come la secessione.
E' lo sviluppo di un diritto penale internazionale che più probabilmente cambierà la nostra comprensione del diritto internazionale e intaccherà il principio del primato politico. Questo perché il diritto penale è il più profondamente morale di tutte le giurisdizioni giuridiche ed è intrinsecamente obbligatorio. L'autorità dei tribunali penali deriva in ultima analisi dai principi morali piuttosto che dal consenso politico. [4] Ciò è evidente nello sviluppo del diritto penale inglese, sviluppato dalla magistratura. Come il diritto penale, anche quello dei diritti umani deriva da un ordine morale che prevale sull'accordo.
Qualsiasi tribunale che decida una questione come la secessione ha bisogno di una qualche forma di giurisdizione intrinseca, che gli conferisca la capacità di agire indipendentemente da qualsiasi soggetto politico, è un'indipendenza morale, che fornisce una fonte separata di legittimità rispetto all'autorità politica. Il compito giudiziario è più allineato con la virtù aristotelica della prudenza, e la phronesis, che con il processo decisionale etico. Riguarda il processo e i parametri in cui il potere può essere legittimamente esercitato, piuttosto che la rettitudine morale o politica delle singole decisioni.
I limiti di tale processo devono essere riconosciuti. Lo sviluppo di un diritto giuridico di secessione in ambito internazionale non escluderebbe la questione dal campo politico, ma introdurrebbe semplicemente un rimedio giuridico e fornirebbe i mezzi per esercitare il diritto politico di autodeterminazione in situazioni in cui uno Stato opprime una minoranza. La questione è più complicata di una teoria correttiva o di una teoria basata sull'autodeterminazione, poiché una minoranza può avere un diritto politico di secessione al di fuori dei diritti legali. Ciò può ancora richiedere l'intervento di un organo giuridico imparziale su questioni quali i termini di un plebiscito o la ripartizione del debito nazionale.
Ulteriori informazioni
La discussione esposta in questo libro è precorritrice. Abbiamo bisogno di un dibattito più approfondito sui limiti della legittimità e su ciò che rende uno Stato illegittimo. È necessario sviluppare criteri specifici per determinare in quale momento uno Stato non possiede più una legittima pretesa di autorità morale, politica o legale. Non è del tutto chiaro che il mondo contemporaneo voglia sviluppare istituzioni giuridiche che possano affrontare tali questioni, ma il futuro è relativamente chiaro. C'è già un tentativo costante di creare "un'etica globale" basata sulle principali tradizioni religiose, e un lavoro comparabile deve essere svolto in campo giuridico. I principi applicati dalle istituzioni con giurisdizione internazionale devono rispettare i valori morali, giuridici e politici di una comunità transnazionale e interstatale di popoli. Forse è importante riconoscere che i tribunali nazionali hanno iniziato a lavorare su un tale corpus di principi, riconoscendo il carattere universale dei diritti della persona.
Se si vuole istituire una nuova Corte di giustizia interessata, con una competenza giurisdizionale indipendente e intrinseca, è importante determinare quali principi interpretativi disciplineranno l'esercizio delle sue competenze. Il primo e il più importante di questi principi è probabilmente un principio di interpretazione restrittiva, in base al quale un tribunale mondiale eserciterebbe la propria competenza solo in circostanze in cui il giusto processo e la necessaria soluzione non sono disponibili in altri organi giurisdizionali. C'è un carattere di appello al ruolo di tale tribunale che deve essere preso in considerazione. È importante integrare i sistemi nazionali in un sistema globale, senza privare i tribunali statali della loro giurisdizione sulla maggior parte delle questioni che li riguardano.
Tutto ciò solleva problemi giuridici pratici. Un esempio è dato dal fatto che le controversie relative alla secessione sorgono tra Stati e tra Stati etnici o religiosi all'interno dello Stato, che non hanno uno status giuridico internazionale. Ciò richiede attenzione. L'argomentazione secondo cui gli Stati sono gli unici attori legittimi sulla scena internazionale non è più convincente. C'è anche la questione già ampiamente discussa delle sanzioni che dovrebbero essere disponibili, ovvero se lo Stato si allontana dai parametri legittimi della sua autorità.
In conclusione, è importante considerare le questioni politiche che stanno alla base di tali questioni. I confini tra i singoli Stati si stanno dissolvendo e non è chiaro se gli Stati alla fine sopravviveranno nella loro forma attuale. Il futuro del Parlamento europeo indebolirà inevitabilmente l'autorità dei governi nazionali ed è impossibile prevedere il modo in cui il sistema statale sopravviverà all'integrazione economica che si sta realizzando nel mondo. In queste circostanze, è importante esaminare l'istituzione dello Stato stesso e, più in generale, le forme di governo.
Non vi è dubbio che gli Stati abbiano goduto di un posto privilegiato nella storia e nella scienza politica. Hanno dimostrato una notevole resilienza nel corso del tempo. Non è affatto chiaro, tuttavia, che gli Stati sono metafisicamente necessari. Ciò non influisce sulla posizione che ho esposto. A prescindere dai mezzi di associazione politica che adotteremo, le questioni che sorgeranno nel contesto della secessione saranno presenti, in una forma o nell'altra. L'argomento essenziale del presente libro è che esistono strumenti legali per risolvere tali conflitti, che evitano il terrore e lo spargimento di sangue dei conflitti civili. Tali mezzi devono essere sviluppati e perseguiti.
Conclusion - Institutional Reform
The starting point of the present book is clear enough: we are in dire need of a peaceful means of resolving the conflicts that have arisen when a minority within a particular state claims the right to secede. These conflicts present a serious threat to global stability and peace.
The central thesis of the book is that a government which fails to respect the fundamental rights of a minority is no longer legally legitimate. It is accordingly open to a minority to challenge the validity of its title to the sovereign power. This is not possible without extending the domestic notion of legality into the international realm. As the legal order stands, states are free agents and there is no source oflaw from which a legal body can draw the authority to order the division of a state into separate political entities.
The overriding problem with any attempt to develop a legal right of secession is accordingly the simplest. It is that secession, as it has been traditionally conceived, occurs outside the legal order. Although common law courts have exercised a residual power to determine whether the sovereign power has changed hands, this is merely the power to determine as a factual matter who holds the right of government. In spite ofthe many developments in international law, individual states are still immune from ordinary legal constraints.
The Westphalian argument that states should ignore the oppression within other states is no longer tenable. Whatever the refinements, there are only two arguments against a compulsory international law. The first is simply that political leaders are not obliged to follow the most fundamental moral prescriptions. The second is that there is no way of compelling them to do so. There is a kind of wilfulness in both stances that suggests that the attractions of power lie at the root of such arguments.
The cardinal feature of the Westphalian state system has been that individual states Will not interfere in each other's affairs. This is a denial of law and the moral requirements behind it, which present the real answer to the kind Of political realism that has governed international relations. The law cannot function, however, without an appropriate institutional structure. A Court cannot be expected to resolve the intractable conflicts that arise in the instance of an issue like secession unless its jurisdiction is compulsory. The international law is already full of unenforceable moral commitments and the brute fact is that it is impossible to develop a meaningful right of secession without giving a court authority over sovereign states. There Will always be instances of bad faith and cases that go amiss, but standards of 189 190 justice and fairness are meaningless if [hey have no legal force. There is no reason why this needs to deprive sovereign states of the administrative and legislative authority to govern.
None of this rules out the role of a body like the Security Council in policing international rulings. It has already been accepted that any international solution to the violence of internal ethnic conflicts must be underwritten by the threat of force. There arc any number of possibilities as to who should have the authority to supply that force and how it might be deployed. The present modus vivendi is not enough, however. There is some protection for human rights under the existing system and the doctrine of humanitarian intervention. But this merely justifies war and invasion as a means of resolving internal disputes within states and offers a rather reckless alternative to the rule of law. It is simply not possible to formulate a legal theory of secession without altering the concept of sovereignty to encompass the existence of a binding legal order above the state.
Changes in the International System
There are many developments in the relations and practices of states that suggest the international order is changing. This is in keeping with the work in philosophy and political theory that makes a comparison between states and individuals. This work at least implicitly suggests that it is now more appropriate to speak of the autonomy of states than of sovereignty in the traditional sense.
Many political scientists take the position that the traditional concept of sovereignty fails to capture the development of capitalism and international systems of production. Joseph Camilleri writes that the idea of national sovereignty in an international context has been greatly eroded by a web of mutually reinforcing dependencies and interdependencies Everywhere the cohesion of national societies seems likely to diminish, and so too the mobilizing efflcacy of national govemments. Historically state sovereignty may turn out to have been a bridge between national capitalism and world a phase in an evolutionary process that is still unfolding.
There are economic, political, social and technological reasons why the international order has changed. Cassese suggests that states are experiencing greater integration on an economic and political level, even while the ethnic and cultural differences between minorities become more pronounced. The formation of regional economic associations and the authority of organizations like the World Bank and the World Trade Organization attest to this. There are an increasing number of states that willingly attorn to the policies and practices of the various agencies of the United Nations.2 There are also strong religious and ethnic sources of identity, such as Islamic fundamentalism or 'pan-Arabism', which seem to raise a challenge to the sovereignty of certain states.
There are corresponding legal developments. ThejtLs cogens is ascendant. The International Court or Justice has held that states are legally obliged to respect the basic rights of their populations. Daniel Philpott goes so far as to argue that the concept of sovereignty has itself been modified by the development of minority rights and the principle of national self-determination. The creation of the European Economic Union has created a legal order outside the state, with a supervisory jurisdiction in human rights. The legal systems of the world are converging in a manner that has led to a greater integration of the domestic and international law. The passage of a European constitution Will inevitably erode the powers of individual states and give European courts increasing authority over state governments. The current developments in the international criminal law demonstrate that a global system of justice is emerging, with an independent moral jurisdiction. In the long term, the attempts of the USA to restrict the reach of the International Criminal Court seem unlikely to prevail.
There are contrary impulses in the international realm, however. Anne Bayefsky has argued that arguments for 'cultural sovereignty' in the international arena are part of a larger and relatively successful counter-attack on the concept of universal human rights. The philosophical problem can be found in legal positivism, which has undermined the moral underpinnings of the international law, and 'provides no help in constructing external standards of evaluation ' Bayefsky describes the principle of non-intervention as 'the old keep-out strategy', which merely reasserts the historical doctrine of sovereignty and allows states to disregard international covenants protecting human rights (p. 49).
The historical tenets of the state system remain in place. As a result, the international law has few resources to deal with domestic systems that violate human rights, much less the states themselves. Antonio Cassese may be right in arguing that we have not reached the point where it is possible to move human society beyond the bias in favour of state sovereignty. But it is time that we faced the failures of the international law. It is impossible to move beyond the endless, rhetorical protections that the international law has afforded to human rights without legally subordinating the doctrine of sovereignty and the principle of territorial integri ty to the principle ofjustice.
Establishing a Court
192Some facts are clear. The Westphalian concept of state sovereignty has begun to unravel and the international community has recognized that it has an obligation to protect the rights and interests of individuals living in hostile and oppressive states. As long as these obligations are honoured consistently and not selectively, this should be applauded. We do not have the legal means however, to deal with the legal obligations that flow from such developments. There is no legal forum in which a minority can seriously contest the state's ownership of the right to govern.
This calls for the establishment of an extra-constitutional court, of general jurisdiction, to deal with the issues that arise regarding the internal legitimacy of the state. The deeper issue lies in the separation between the legal and political process. There is no escaping the fact that a legal doctrine of secession would place the most fundamental political fact within the state under the scrutiny of an adjudicative body, outside the state. This may be an anathema to those in positions of power within the existing State system. But there are no real alternatives.
Although the establishment of an extra-constitutional court is fraught with difficulties, it is notable most ofthese difflculties have a political nature. They concern matters like the make-up of a court, the appointment of judges, and attempts to treat the adjudicative process as a forum for political arguments. The legal system is subject to many forms of political interference: this is often diffcult to discem, and assen itself in the exercise of prosecutorial discretion, the appointment of panels or the withholding of evidence.
These kinds of deficiencies are an inevitable part of any legal apparatus, however, and the issue is a relative one. It is states themselves that must provide the practical and institutional resources to create the judicial structure that is needed to regulate an issue like secession. This is not possible without some recognition from states and the leaders of states that their actions are subject to compulsory moral restrictions. This is only a way of saying that it needs the general consent ofthose under its jurisdiction.
If this seems unlikely, it is because the international system favours individual states, who do not feel that it is in their interests to accept such substantive changes in the system. The unfortunate psychological reality is that states have a vested interest in maintaining a system that at least theoretically gives them complete authority in their own affairs. The political will to introduce the necessary changes in the existing international order may ultimately be found in inter-state parliaments and assemblies, like the European Parliament or the proposed world parliament, which are not so easily dominated by state interests.
This may seem to raise vague ideas of world government. That is another discussion, however, which is better left to others. There is a judicial aspect to these developments, which is indispensable in redefining the role of intemational legal bodies. Some ofthe impetus for a new legal order will have to come from the judiciary, who would be responsible for the development of the legalities ofany action against the state. It is not yet clear that international courts have the confidence to undertake such a momentous task.
corretto 193Separating the Legal and Political Processes
On the theoretical side, the reality is that the changes in the international arena have outrun our theoretical capacities. The conceptual apparatus that has traditionally been used to explain the legal character of events in the international arena is no longer capable of dealing with the realities of a new world order.
There is a theoretical need to separate the legal and political processes in the international realm. The existing confusion is apparent in the idea that the United Nations Security Council is the proper forum in which to deal with the legal aspects of matters like secession. This is little more than an assertion of the political primacy in the international arena however. The Security Council has few, if any, of the properties ofa court or tribunal and is not in a position to rule on matters of law. Nor is it in a position to rule on the legality of its own actions.
The rather ad hoc actions of the Council are motivated by the political interests of the member states, as they should be, rather than by established legal principles. It has no real obligation to justify its actions, respect precedent or even maintain the consistency of its rulings. This would arguably interfere with its function, which is to provide a forum for the expression of the political Will of the most powerful states.
The courts are consultative bodies. The judicial process is a reflective process, which provides us with a set of reasons why a Court is compelled, in some rigorous sense, to reach a certain conclusion. Judicial proceedings are primarily justificatory. The actions of a court, with all its imperfections, proceeds on the basis of principle rather than the wishes of the parties. The political process tends to subordinate general rules to the facts of specific cases. The law Subordinates the facts to rules.
The differences between the legal and political processes are ultimately a professional and a psychological matter. The training and status of judicial actors, along with the accoutrements of office, puts judges in a more neutral position than political actors. There are many policies with respect to the appointment and establishment of the judiciary that may effect the matter one way or the other. The political process is partial, by its nature, and does not lend itself to an impartial scrutiny of questions like secession.
It is the development ofan international criminal law that seems most likely to change our understanding ofthe international law and erode the principle of political primacy. This is because the criminal law is the most deeply moral of all legal jurisdictions and is inherently compulsory. The authority of criminal courts ultimately comes from moral principles rather than political consensus. [4] This is evident in the development of the English criminal law, which was developed by the judiciary. Like the criminal law, the law of human rights derives from a moral order that takes precedence over agreement. 194
Any court that decides a question like secession needs some form of inherent jurisdiction, which gives it the capacity to act independently of any political actors, is a moral independence, which provides a separate source of legitimacy than political authority It rests on rational inference and a consensus in principles and values. The judicial task is more aligned with the Aristotelian virtue of prudence, and phronesis, than With ethical decision making. It is concerned with process, and the parameters in which power can be legitimately exercised, rather than with the moral or political rectitude of individual decisions.
The limits on such a process must be acknowledged. The development of a legal right of secession in the international sphere would not take the matter out of the political realm It would merely introduce a legal remedy and provide the means of exercising the political right of self-determination in situations where a state oppresses a minority. The matter is more complicated than a remedial theory or a theory based on self-determination might suggest, since a minority may possess a political right of secession outside of any legal rights. This may still require the intervention of an impartial legal body, on issues such as the terms of a plebiscite or the division of the national debt.
Further Inquiry
The discussion in the present book is a precursor. We need a more extensive discussion of the limits of legitimacy and the question of what makes a state illegitimate. It is necessary to develop specific criteria to determine at what point a state no longer possesses a valid claim to moral, political or legal authority. It is not entirely clear that the contemporary world wishes to develop legal institutions that Can deal with such issues, but the future is relatively Clear. There is already an ongoing attempt to create 'a global ethic' based on the major religious traditions, and comparable work needs to be done in the legal arena. The principles employed by institutions with international jurisdiction must respect the moral, legal and political values of a transnational, inter-state community of peoples. Perhaps it is important to recognize that domestic courts have begun work on such a body of principle, in recognizing the universal character of the rights of the person.
If there is to be a new Intemational Court of Justice, with an independent and inherent jurisdiction, it is important to determine which principles of interpretation would govern the exercise of its powers. The first and most important of these principles is probably a principle of narrow interpretation, under which a world court would only exercise its jurisdiction in circumstances where a fair hearing and the necessary relief are not available in other forums. There is an appellate Character to the role of such a court that needs consideration. It is important to integrate domestic systems into a global system, without depriving state courts of their jurisdiction over most of the issues that make their way into the courts. 195
All this raises practical legal problems. One example is that disputes concerning secession arise between states and ethnic or religious within the state, which have no status in international law. This needs attention. The argument that states are the only legitimate actors in the international arena is no longer compelling. There is also the vexing question of the sanctions that should be available, ifa state steps outside the legitimate parameters of its authority.
As a final matter, it is important to consider the political issues that lie behind these questions. The borders between individual states are dissolving and it is unclear whether states Will ultimately survive in their present form. The future ofthe European Parliament will inevitably diminish the authority of national govemments and it is impossible to predict the manner in which the state system will survive the economic integration that is taking place in the world. In these circumstances, it is important to examine the institution of the state itself, and forms of government more generally.
There is no doubt that states have enjoyed a privileged place in history and political science. They have shown remarkable resilience in the flux of time. It is by no means clear, however, that states are metaphysically necessary. This does not affect the position I have set out. Whatever means of political association we adopt, the issues that arise in the context of secession will be there, in one form or another. The essential argument of the present book is that there are legal means for resolving such conflicts, which avoid the terror and bloodshed of civil strife. Those means must be developed and pursued.
Notes I Camilleri, 'Rethinking sovereignty in a shrinking, fragmented world', p. 38. See, for example. Michael Barnett, Sovereignty, nationalism and regional order in the Arab states system'. in Biersteker and Weber, State Sovereignty, pp. 148—89, at p. 176, along with the sources listed in ibid., at note 1 17. 2 The international scruti ny of individual states has also increased. The reports ofbodies like the Committee on Economic, Social and Cultural Rights and the International Labour Organization are Invastve. 3 Bayefsky, 'Cultural sovereignty' , p. 57. At p. 48f, Bayefsky discusses the passage of a General Assembly Resolution 45/163, 18 December 1990, which addresses the subject Of United Nations action 'in the human rights field through the promotion of intemational CO-operation and the strict observance of the principle of non-interv•ention'. 4 The criminal jurisdiction comes into play in the case of secession, since the rights of an oppressed minority can often be traced to crimes against humanity and Other illegal acts by state authorities.
Ho utilizzato i traduttori Google e DeepL con qualche correzione personale
MPMarginalia - Condivido la posizione di Paul Groarke, pur essendo cosciente delle difficoltà insite in essa. Dal mio punto di vista, che non è quello della secessione degli Stati, bensì della disgiunzione della legislazione all'interno degli Stati, l'elemento giuridico è essenziale. Anche se mi sembra evidente che livello giuridico e livello politico, all'infinito, debbano coincidere, sovente accade che il livello giuridico è di fatto subalterno, anche solo mentalmente, a quello politico e ciò rende difficile una reale indipendenza di giudizio delle Corti.
Bibliografia
- Paul Groarke
- - Dividing the State: Legitimacy, Secession and the Doctrine of Oppression, Ashgate Publishing, Aldershot, United Kingdom, 2004, pp. 189-195