Dobbiamo escludere i poveri dai nuovi farmaci?

Thomas Pogge
Povertà mondiale e diritti umani
Laterza, Roma-Bari, 2010

Il saggio di Thomas Pogge Innovazione farmaceutica: dobbiamo escludere i poveri?, compreso nel volume Povertà mondiale e diritti umani, anche se publicato ormai da una decina d'anni rimane estremamente attuale.

Il ragionamento di Pogge è riferito ai poveri della parte più povera del mondo, ma le implicazioni del sistema dei brevetti legati all'innovazione farmaceutica hanno conseguenze anche sui poveri della parte più ricca del mondo *. Qui darò conto solo delle argomentazioni di Pogge a favore di una modifica delle norme che regolano il diritto di proprietà legato ai brevetti e della proposta di un brevetto GBD ovvero di una licenza di produzione la cui remuneratività sia legata alla riduzione del peso globale della malattia ed il cui costo sia a carico di un fondo finanziato dai paesi più ricchi (HIF). **

L'accordo TRIPS e le sue conseguenze

Nel corso degli ultimi 15 anni, gli Stati Uniti e gli altri paesi benestanti hanno lavorato sodo, e con successo, per inserire sostanziali e uniformi tutele dei diritti di proprietà intellettuale nell'intelaiatura del sistema del commercio globale. Questa iniziativa, tra le altre cose, ha generato il Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (o TRIPS), formulato nel cosiddetto «Uruguay Round» che ha portato alla formazione della WTO. La stessa iniziativa è stata poi portata avanti attraverso una serie di accordi bilaterali di libero scambio che hanno aggiunto disposizioni supplementari (TRIPS plus) che consentono ai titolari dei brevetti di estendere o rendere imperituri i loro monopoli ben al di là dei 20 anni sanciti dall'accordo stesso [6], nonché di scoraggiare, ostacolare e ritardare in molte altre maniere la produzione di farmaci generici: per esempio, attraverso disposizioni sull'esclusività dei dati [7] e attraverso restrizioni su, e pressioni politiche contro, le licenze obbligatorie.

Il problema è il seguente. La tutela del diritto di proprietà stabilita in sede internazionale, su imput delle aziende farmaceutiche dei paesi tecnologicamente più avanzati, hanno prodotto un sistema di regole con delle ricadute perniciose sulla salute di una parte consistente dell'umanità. E ciò accade nonostante i beni prodotti dall'industria farmaceutica abbiano, per loro natura, un costo di riproduzione che tende ad annullarsi.

Una cosa meravigliosa dei prodotti del pensiero è che il loro costo è indipendente dal numero dei beneficiari. [..] Tuttavia, il grande sforzo di codificazione dei diritti di proprietà intellettuale attuato in questi ultimi anni va esattamente nella direzione opposta. La sua idea guida è che i benefici che derivano da gran parte delle conquiste intellettuali debbano essere pagati da chiunque in qualsiasi luogo, e che ogni beneficio non retribuito costituisca furto, pirateria, contraffazione, o peggio. Anche se la corsa è interamente gratuita, nessuno deve viaggiare gratis [«to have a free ride» (N.d.T)], indipendentemente da quanto il viaggiatore sia disperatamente povero e da quanto possa averne disperato bisogno). Attuare questa idea guida attribuendo poteri di monopolio dei prezzi accresce notevolmente il prezzo dei prodotti che contengono componenti di proprietà intellettuale, spesso dalle 10 alle 30 volte, nel caso dei prodotti farmaceutici.

Le regole a volte sono un problema

L'attuale regime del brevetti farmaceutici è così perverso che i dirigenti delle case farmaceutiche, se prendono sul serio le loro responsabilità fiduciarie nei confronti di azionisti e dipendenti, hanno motivo di cercare misure legalmente perseguibili per fare qualcosa, o evitare di farla, allo scopo di promuovere l'aumento e bloccare la riduzione dell'incidenza delle malattie tra chi non è loro cliente.

Questa intuizione pone in prospettiva l'osservazione (piuttosto giusta) che tali società siano mal equipaggiate per superare gli ostacoli che il mondo reale pone all'accesso universale ai farmaci e mal equipaggiate per affrontare altri fattori che influenzano l'impatto dei loro farmaci sull'incidenza di queste malattie. Meno il farmaco incide sulla riduzione della malattia, maggiori e più durevoli saranno le opportunità di profitto di coloro che ne possiedono il brevetto. Che le imprese farmaceutiche e biotecnologiche siano equipaggiate male per aumentare l'impatto del loro farmaco non è un fatto naturale insito in queste società, ma una conseguenza prevedibile del modo in cui vengono regolamentate e incentivate dall'attuale regime dei brevetti. Addurre, a difesa di questo regime, la loro difficoltà a perseguire questo scopo significa argomentare in modo circolare.

C'è grande malcontento sul modo in cui queste compagnie diaboliche fanno profitti sulla pelle delle persone, sulla salute, sul benessere degli animali, sull'ambiente. Tali proteste sono fondate, ma spesso fuori bersaglio. La radice del male non sta nel modo in cui le imprese fanno affari, ma nel modo in cui noi le regolamentiamo e incentiviamo. Se strutturiamo i mercati in modo che certe compagnie possano guadagnare miliardi facendo fumare la gente, esse lavoreranno duramente per farla fumare. Se strutturiamo i mercati in modo che possano guadagnare miliardi facendola smettere di fumare, lavoreranno duramente per farla smettere. È nostra responsabilità ristrutturare il regime dei brevetti in modo che le case farmaceutiche perdano l'interesse economico nella proliferazione delle loro malattie-bersaglio e ne abbiano uno legato all'estirpazione di esse.

Sull'importanza di una corretta gestione delle regole per la sopravvivenza del capitalismo non occorre che mi dilunghi qui.

Questioni di diritto

La fondazione del diritto di proprietà intellettuale che sottostà ai brevetti sui prodotti della ricerca farmaceutica - osserva Pogge - incontra delle difficoltà.

Qualcuno potrebbe asserire l'esistenza di un diritto naturale di ciascun inventore a controllare l'uso della sua invenzione. Ma questa affermazione va incontro a gravi difficoltà. Mi concentrerò ora su quattro di queste.

La prima sta nello spiegare il motivo per cui questo diritto naturale degli inventori dovrebbe avere esattamente le fattezze assunte negli accordi TRIPS e TRIPS plus, e attuarsi nella legislazione nazionale: perché questo diritto naturale dovrebbe interessare solo tutte quelle conquiste intellettuali che possono oggi essere legalmente protette dal monopolio dei brevetti, dai diritti d'autore, o dalla registrazione dei marchi e solo quelle? Perché questo diritto naturale dovrebbe avere esattamente l'ampiezza e la durata ora standardizzate a livello globale secondo gli auspici della WTO? Sono esistiti diversi regimi di proprietà intellettuale nazionali e si potrebbe immaginare l'adozione di uno qualsiasi di questi e di molti altri. [..]

Un'altra difficoltà — relativa soprattutto alle sementi e ai farmaci brevettati sta nel dimostrare che questo diritto naturale degli inventori è così importante che, per onorarlo, dobbiamo limitare il diritto alla vita dei poveri (che sono privati di cibo o medicinali), piuttosto che il contrario [12]. È inoltre difficile dimostrare che questo diritto naturale debba favorire le aziende farmaceutiche come destinatarie esclusive dei diritti di proprietà intellettuale, quando i loro prodotti dipendono fortemente dalla ricerca di base condotta presso università e istituzioni pubbliche finanziate dai governi e da fondazioni che godono di privilegi fiscali [13], per non parlare della più ampia dipendenza dalla struttura sociale circostante e dai precedenti secoli di sforzi intellettuali umani.

L'obiettivo che Pogge ha nel mirino è però Robert Nozick e la sua interpretazione della clausola lockeana.

[..] Anche le concezioni dei diritti più favorevoli all'idea di proprietà - quelle dei libertari di destra — incontrano serie difficoltà nello spiegare in che modo la creazione innovativa di un oggetto fisico debba conferire diritti di proprietà all'innovatore, non solo su questo oggetto campione, ma su tutti gli oggetti del suo genere. Queste concezioni fanno ricorso alla visione di Locke secondo la quale una persona che produce qualcosa con componenti che possiede legittimamente giunge a possedere il prodotto insieme a un diritto di veto sul suo utilizzo da parte di altri. Si assume che la titolarità di questa persona sui prodotti del proprio lavoro abbia la meglio sui bisogni degli altri, a prescindere da quanto disperati essi siano. In tal senso Robert Nozick insiste sul fatto che un ricercatore possa negare un medicinale che ha inventato anche a chi ne ha bisogno per soprawivere. Adottando questo punto di vista, Nozick ricorre nello specifico alla clausola lockeana: «Un ricercatore medico non peggiora la situazione degli altri perché li priverebbe di qualcosa di cui si è appropriato. Gli altri possono entrare agevolmente in possesso degli stessi materiali di cui si è appropriato; l'appropriazione o l'acquisto di sostanze chimiche, da parte del ricercatore, non le ha rese scarse in modo da violare la clausola limitativa lockeana» [14].

Questo ragionamento non fornisce alcuna motivazione per concludere che il ricercatore abbia un diritto di veto per impedire ad altri di replicare la sua invenzione, con ingredienti chimici simili, in loro legittimo possesso. Certamente, Nozick approva i brevetti. Egli scrive che i brevetti non rendono le condizioni degli altri peggiori di quel che sarebbero in assenza delle invenzioni brevettate, e sottrae alle restrizioni dei brevetti chiunque dimostri di aver prodotto la stessa invenzione in modo indipendente [15]. Ma queste valutazioni non hanno alcun fondamento all'interno della sua stessa teoria. Che un'acquisizione non peggiori le condizioni degli altri è una condizione necessaria ma non sufficiente ad affermare la sua validità. Non spiega in alcun modo come qualcuno possa rendersi proprietario di un genere, non spiega come qualcuno, combinando elementi che possiede legittimamente, possa acquisire poteri di veto su ciò che gli altri possono realizzare con altri elementi da loro legittimamente posseduti. Supponiamo che John si accorga di gradire maggiormente alcuni cibi se vi aggiunge un po' di corteccia d'albero, e supponiamo che si dichiari proprietario del genere cibi con corteccia d'albero. È probabile che a nessun'altro piaccia avere della corteccia d'albero nel piatto, dunque nessuno è svantaggiato dai poteri di veto che John rivendica. Ma anche allora il diritto naturale preteso da John rimane senza giustificazione: perché dovrebbe avere il diritto di negare ad altri di aggiungere corteccia d'albero nei loro piatti? La teoria di Nozick non fornisce una base per tale diritto.

Al contrario, la teoria di Nozick fornisce una ragione contro tale diritto nei casi in cui l'invenzione, o la scoperta, possa risultare utile ad altri. Per illustrare il concetto dobbiamo modificare l'esempio precedente, sostituendo la corteccia d'albero con dei funghi che, per la maggior parte delle persone, rendono più gradevole il sapore di molti piatti. In questi casi la teoria di Nozick contrasta con il diritto naturale di John di dichiararsi proprietario del genere piatti con funghi e di avere poteri di veto sulla loro produzione. Agendo in questo modo John danneggerebbe gli altri, espropriandoli parzialmente, senza il loro consenso e senza indennizzo. Lo farebbe imponendo unilateralmente una pesante condizione al loro esercizio dei loro diritti di proprietà: ora devono o astenersi dall'aggiungere i propri funghi ai propri piatti o pagare a John qualunque somma egli pretenda per ottenere quel privilegio, oppure dimostrare di essere arrivati all'idea di aggiungere i funghi indipendentemente da John. È assurdo e antilibertario pensare che John abbia un diritto naturale a questa imposizione unilaterale [16]

Applicando tutto questo ai farmaci, si richiami alla mente la condizione che Nozick attribuisce al diritto del ricercatore di tenere per sé il farmaco, l'oggetto fisico che ha sintetizzato, o di venderlo a un prezzo esorbitante, anche se molte persone moriranno per questo. Secondo Nozick il ricercatore ha questo diritto poiché non danneggia gli altri, non crea scarsità. Se ciò può essere vero per il ricercatore di cui Nozick parla (quello che rivendica solo la medicina — il campione che ha sintetizzato con le sostanze chimiche di sua proprietà), ciò è falso per un ricercatore che rivendichi il genere di quella medicina. Quest'ultimo ricercatore danneggia gli altri privandoli della possibilità di inventare la medicina senza dover dimostrare di averlo fatto in modo indipendente, e crea scarsità rivendicando per sé il diritto esclusivo di concedere ad altri l'accesso a certi usi di sostanze di loro proprietà. Quello che lo stesso Nozick afferma in difesa del diritto del primo ricercatore contrasta con il presunto diritto del secondo. L'argomento di Nozick non soltanto non riesce a difendere la pretesa avanzata da quest'ultimo, ma perfino richiede che gli altri siano lasciati liberi di riprodurre la sua invenzione. Un ricercatore può tenere segrete le proprie conoscenze e il proprio farmaco, facendo morire molte persone, e può anche venderlo soltanto a coloro che promettono per iscritto di non farlo analizzare o riprodurre. Ma egli non può acquisire poteri di veto su terzi che vogliono sintetizzare un farmaco dello stesso tipo per conto proprio, anche se questi ultimi avessero sentito parlare della sua prima invenzione o ne avessero trovato un campione, perso o abbandonato. Lungi dal sostenere la proprietà intellettuale di particolari tipi di farmaci, le concezioni libertarie e deontologiche come quella di Nozick confutano in realtà tali diritti di proprietà: specifiche quantità di farmaco (campioni) possono essere di proprietà esclusiva soltanto se, e nella misura in cui, tale proprietà lascia inalterata la libertà degli altri di produrre farmaci dello stesso tipo (se in condizione di poterlo fare). Chi si appropria di un certo tipo di sostanza, in modo esclusivo, viola la clausola lockeana, non lasciando beni sufficienti e altrettanto buoni per gli altri. [18]

Concordo. Interpretazione corretta. Sono assolutamente convinto che, nella sostanza, la concezione della proprietà di Nozick abbia dei risvolti più progressisti di quella di Rawls. Non era questo che voleva dire Pogge?

L'argomento delle conseguenze positive

L'argomento fondamentale a favore dell'esistenza dei brevetti non è morale ma pratico. Si dimostra empiricamente che l'esistenza dei brevetti, stimolando gli spiriti animali, favorisce lo sviluppo scientifico e tecnologico e quindi il progresso dell'umanità.

In realtà questo non è vero in assoluto. Se le norme che regolano la proprietà intellettuale non sono costruite in modo oculato l'esistenza dei brevetti può distorcere, rallentare o addirittura impedire lo sviluppo.

Le difficoltà che si incontrano nella difesa dei diritti di proprietà intellettuale (legali) facendo appello ai diritti naturali (morali) sono talmente grandi che la maggior parte dei difensori del regime vigente di proprietà intellettuale si appella piuttosto alle conseguenze positive che la protezione dei diritti di proprietà avrebbe sui progressi intellettuali: si afferma che questi diritti legali incentivano l'innovazione intellettuale. L'esperienza degli ultimi anni suggerisce che i diritti di proprietà intellettuale, nel settore delle sementi e dei farmaci, ispirano una gran quantità di sforzi per giungere a delle copie e a nuove abilità nell'aggirare le norme, tentativi di influenzare l'elaborazione delle norme e di sfruttarle a proprio vantaggio illegalmente [19]. Tuttavia, i diritti di proprietà intellettuale incoraggiano una ricerca che si concretizza in sementi e prodotti farmaceutici genuinamente nuovi. Quindi l'argomento delle conseguenze positive non può essere respinto a priori.

A sua volta l'argomento delle conseguenze positive consente di rispondere, almeno parzialmente, alle obiezioni morali:

irrigidendo le norme sulla proprietà intellettuale, si accelera l'innovazione farmaceutica, della quale, alla lunga, anche i poveri beneficeranno. I 20 anni di ritardo loro imposti rimarranno costanti in relazione all'accesso di cui godono le persone benestanti, ma questo ritardo sarà inferiore rispetto a quello che i poveri avrebbero avuto con la perpetuazione del regime pre-TRIPS. Supponiamo che l'inasprimento delle norme sulla proprietà intellettuale acceleri l'innovazione farmaceutica del 20%. Se così fosse, i prossimi 100 anni porteranno a un'innovazione farmaceutica pari a quella di 120 anni di regime pre-TRIPS. Nonostante i 20 anni di ritardo, quindi, tra 120 anni i poveri saranno in una condizione migliore di quella in cui si troverebbero sotto il regime pre-TRIPS

Naturalmente, quando venga impostato in questo modo, l'argomento delle conseguenze positive non tiene conto del fatto che, nel momento in cui un brevetto scade, alcuni farmaci hanno già perso molto del loro valore terapeutico.

Un nuovo tipo di brevetto

Per esaminare la questione è essenziale evitare di cadere nella falsa dicotomia che ci chiede di accettare questo regime emergente, oppure abbandonare ogni speranza di innovazione. [20]

Questa rigida dicotomia può essere superata - secondo Pogge - introducento una terza possibilità: ridurre la protezione della proprietà intellettuale sui farmaci. Per fare questo sono possibili diverse soluzioni, la più originale delle quali è questa :.

L'idea di base è quella di istituire un nuovo tipo di brevetto globale per i farmaci essenziali — complementare all'attuale sistema di monopolio dei brevetti — che autorizza il titolare del brevetto, nel corso della sua durata, a essere finanziato con fondi pubblici proporzionalmente agli effetti dell'invenzione sul GBD.

La soluzione è formalmente molto bella. In pratica però dubito che gli spiriti animali siano così sensibili alla sua bellezza senza qualche incentivo. Qui mi fermo.

MP

Bibliografia

Thomas Pogge
- Povertà mondiale e diritti umani. Responsabilità e riforme cosmopolitiche, tr. Daniele Botti, Laterza, Roma-Bari, 2010
- World Poverty and Human Rights. Cosmopolitan Responsibilites and Reforms, Polity Press, Cambridge (UK), 2008