Le regole fondamentali del discorso pratico razionale

Ho tratto da Teoria dell'argomentazione giuridica di Robert Alexy il capitolo relativo alle regole fondamentali dei discorso pratico razionale con l'intento di proporre in seguito qualche commento

l. Le regole fondamentali

La validità del primo gruppo di regole è condizione di possibilità di ogni comunicazione linguistica in cui si tratti di verità o di correttezza.

(1.1) Nessun parlante si può contraddire.

(1.2) Ogni parlante può affermare solo ciò in cui egli stesso crede.

(1.3) Ogni parlante che applica un predicato F ad un oggetto A deve essere disposto ad applicare F anche ad ogni altro oggetto che sia simile ad A in ogni aspetto rilevante.

(1.4) Parlanti diversi non possono utilizzare la stessa espressione con significati diversi.

La regola (1.1) rinvia alle regole della logica. Queste regole vengono qui presupposte. Si devono osservare, però, due cose.

Come prima cosa bisogna richiamare l'attenzione sul fatto che le regole della logica sono applicabili anche alle proposizioni normative. Ciò non è del tutto privo di problemi. Se si considera la logica come « la scienza delle più generali leggi dell'esser vero [Wahrsein] » 30 e se, inoltre, si è dell'idea che le proposizioni normative non siano suscettibili di esser vere, si potrebbe giungere alla conclusione che le leggi della logica non valgano per le proposizioni normative. Questo problema viene discusso sotto il nome di « dilemma di Jørgensen » 31. Tuttavia, questo « dilemma » può essere facilmente evitato. Un modo consiste nello scegliere al posto dei valori « vero » e « falso », valori come « valido » e « invalido » 32, o « conforme al diritto » e « non conforme al diritto » 33. Un secondo modo consiste nel mostrare che già sulla base delle espressioni che compaiono nelle proposizioni normative (« e », « se..., allora... », « tutti », e « alcuni ») esistono delle relazioni logiche tra tali proposizioni 34. Infine, il terzo e miglior modo è quello di produrre delle semantiche (teorie modali) nelle quali anche le proposizioni normative possano essere valutate come vere o false 35.

Il secondo punto è strettamente connesso al primo. Il rinvio alle regole della logica, espresso in (1.1), non si riferisce solo alla logica classica ma innanzitutto anche alla logica deontica che vive da alcuni anni uno sviluppo agitato che non si è ancora concluso 36. Il principio di non contraddizione si applica, perciò, anche alle incompatibilità deontiche.

(1.2) assicura la sincerità della discussione. (1.2) è costitutiva per ogni comunicazione linguistica 37 Senza (1.2) non sarebbe possibile neppure mentire, poiché, se non viene presupposta nessuna regola che esiga la sincerità, non è concepibile nemmeno l'inganno. (1.2) non esclude però che si possano avanzare congetture; pretende solo che queste vengano dichiarate come tali.

(1.3) si riferisce all'uso di espressioni da parte di un parlante, mentre (1.4) si riferisce all'uso di espressioni da parte di diversi parlanti. (1.3) è, però, formulata in modo più forte, in quanto esige la disponibilità ad una applicazione coerente. Tuttavia, ciò non rappresenterebbe una differenza essenziale, se si potesse rafforzare (1.4) dicendo che utilizza un'espressione solo chi è pronto ad applicarla ogni volta che sia applicabile. A queste condizioni, si potrebbero riunire (1.3) e (1.4) in una sola regola che esiga che tutti i parlanti debbano necessariamente utilizzare tutte le espressioni con lo stesso significato. Che qui non si ponga mano ad una simile riunificazione dipende soprattutto dal fatto che (1.3) e (1.4) contengono aspetti assolutamente diversi di questa regola generale, che è utile tenere distinti.

(1.3) riguarda la coerenza del parlante. Applicata ad espressioni valutative (1.3) assume la seguente forma:

(1.3') Ogni parlante può affermare solo quei giudizi di valore e di obbligo che affermerebbe del pari in tutte le situazioni che, in ogni aspetto rilevante, sono uguali a quella nella quale egli ha affermato quei giudizi.

In questo senso (1.3') è una formulazione del principio di universalizzabilità di Hare.

(1.4) esige che l'uso linguistico sia comune 39. È controverso il modo in cui possa venir prodotta e garantita questa comunanza. I rappresentanti della scuola di Erlangen richiedono che, a questo scopo, ogni espressione debba essere standardizzata. Qui il linguaggio ordinario può essere utilizzato solo in modo ausiliario. Più sopra abbiamo messo in dubbio che sia possibile realizzare questo programma. Vi sono ragioni in favore del fatto di iniziare proprio dal linguaggio ordinario e di stipulare l'uso delle parole solo nel caso in cui emergano oscurità e fraintendimenti. Presupposto di una simile stipulazione è l'analisi delle espressioni utilizzate. Come strumento di questa analisi possono essere utilizzati linguaggi artificiali come quelli della logica deontica.

Le discussioni condotte per chiarire i problemi di comprensione vengono concepiti come discorsi di tipo particolare. Questo discorso è stato definito sopra come « discorso analitico-linguistico ». Oltre a produrre un uso linguistico comune, il discorso analitico-linguistico si occupa di garantire un linguaggio chiaro e dotato di senso. (1.4) potrebbe pertanto essere integrata.

MP

Bibliografia

Robert Alexy
- Teoria dell'argomentazione giuridica, ed. Massimo La Torre, Giuffré, Milano, 1998
- Interpretazione giuridica , Enciclopedia delle scienze sociali (1996), Treccani, cons.
Paul Ricoeur
- Interpretazione e/p argomentazione, Ars Interpretandi, rivista di ermeneutica giuridica, 1996; cons.