Clero criminale

Moralizzazione del clero o difesa del privilegio del foro?

Il ruolo del concilio di Trento nella formazione del cattolicesimo moderno è oggetto di controversie interpretative. Il recente libro di Michele Mancino e Giovanni Romeo Clero criminale. L'onore della chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell'Italia della Controriforma, publicato da Laterza, offre, in una prospettiva inconsueta, nuovi elementi di discussione.

L'obiettivo della riforma tridentina della giustizia ecclesiastica, così come risulta dagli atti e dai fatti, fu la moralizzazione del clero o la difesa della giurisdizione ecclesiastica sui crimini commessi dal clero?

Dopo la Riforma protestante la moralizzazione del clero era certamente tra gli obiettivi dichiarati più importanti del Concilio di Trento. Di conseguenza i decretali emanati dal concilio ampliarono grandemente i poteri del foro diocesano in materia penale: Il trattamento dei disordini del clero gravò in larga misura su una nuova figura di vescovo-pastore. Ne seguì che:

All'indomani del concilio di Trento, l'azione dei tribunali penali della Chiesa italiana, è in netto aumento rispetto al passato e ha nel mirino soprattutto il clero.

Ma questo attivismo si scontra con la prassi ordinaria seguita dalla giustizia della Chiesa prima del concilio che, nei fatti, ha sempre considerato con un occhio di riguardo l'ecclesiastico colpevole di un crimine punibile dalla legge.

Si può ritenere perciò molto probabile che l'attivismo postridentino dei tribunali penali della Chiesa italiana mirasse in primo luogo a ridimensionare gli spazi occupati dai giudici di Stato, a pretendere il rispetto assoluto del privilegio di foro. Bisogna salvaguardare gli interessi e l'onore degli ecclesiastici delinquenti, indipendentemente dalla gravità dei delitti. Perciò ovunque i giudici diocesani cercano di risolvere i loro incidenti giudiziari presto e con pene lievi [..] si ricorre alla tortura solo in pochissimi casi (ma la subiscono anche i bambini sodomizzati, come lo stesso Genovese aveva teorizzato); non c'è traccia di condanne a morte, di punizioni infamanti o comunque publiche.

Anche l'azione delle nuove Congregazioni cardinalizie dei Vescovi e Regolari e del Concilio non è priva di contraddizioni.

La prima non svolge una funzione di indirizzo paragonabile a quella esercitata dai vertici dell'Inquisizione romana sui propri delegati locali; la seconda mostra scarsa attenzione alla giustizia penale ecclesiastica.

Nonostante le dette contraddizioni, dopo il concilio di Trento il ruolo della giustizia ecclesiastica risulta rafforzato, quanto meno nei confronti del corrispettivo statale.

Nell'Italia del tardo Cinquecento la sola svolta apprezzabile nel trattamento dei crimini comuni del clero è il netto ridimensionamento del ruolo dei tribunali secolari, soprattutto quelli statali.

Solo in alcuni casi la giustizia statale riesce ad agire senza particolari esitazioni

A Venezia, ad esempio, nel 1594 il Consiglio dei Dieci decide nell'arco di qualche giorno la cattura, la condanna alla pena capitale e l'esecuzione di due frati querelati dai padri di alcuni novizi sodomizzati.

In conclusione la risposta degli autori all'interrogativo che ci siamo posti all'inizio di questa recensione può essere così riassunta:

l’attivismo post-tridentino dei vescovi non riuscì a trasformare la vita religiosa italiana secondo i dettami del concilio non tanto per l’incapacità ecclesiastica d’imporre la propria forza, quanto perché la riforma non era l’obiettivo primario della Chiesa. La giustizia ecclesiastica post-tridentina fu impegnata soprattutto a sottrarre spazi di intervento ai poteri statali e non a portare ordine nelle vite dissolute di chierici di ogni ordine e grado.

Un trattamento di favore

La seconda considerazione di ordine generale che si può trarre dalla lettura del libro di Mancino e Romeo è il permanere, anche dopo il concilio di Trento, di un trattamento di favore per gli ecclesiastici colpevoli di gravi abusi:

che stride con le punizioni inflitte a parità di delitti ai laici: è il caso della sodomia, che comportava spesso per questi ultimi la pena capitale

Nel caso della sodomia il volume offre un ricco florilegio di casi giudiziari trattati dal foro ecclesiastico. L'atteggiamento prevalente degli Ordini religiosi, con l'eccezione delle autorità domenicane della provincia napoletana, sembra essere volto alla mediazione e le punizioni che vengono comminate sono sostanzialmente virtuali. Diverso il discorso per la giustizia diocesana dove il reato da giudicare è spesso compiuto su ragazzini estranei all'istituzione religiosa.

Nei tribunali diocesani, per quanto si è potuto finora verificare, si procede con relativa severità, coinvolgendo pesantemente gli stessi bambini. In un caso pisano del 1560 nella sentenza che condanna un prete a rimanere per 3 anni su una trireme, l'assoluzione della vittima dei suoi abusi, un ragazzino di 11 anni, è motivata dall'accertamento della violenza esercitata dal sacerdote, non solo dall'età. Un eventuale rapporto consensuale con un adulto non sarebbe passato indenne, neppure per il minore, al vaglio degli ecclesiastici.

In un altro caso, dove c'è il fondato sospetto di omicidio, il proscioglimento del sacerdote avviene solo dopo la somministrazione della tortura.

Si sospetta che un ricco sacerdote, don Nicola Teruonto, abbia ucciso per vendetta - architettando l'abile messa in scena di una disgrazia - Agostino, il giovanissimo chierico pugliese che lo serviva a casa, forse dopo che i parenti avevano deciso di querelarlo perché dormiva nello stesso letto col ragazzino e lo teneva come donna.

Ma nel complesso, è l'opinione degli autori, anche i sacerdoti condannati per sodomia raramente subivano le conseguenze del loro atto.

Nei rari casi di condanne esemplari ci pensavano i tribunali romani d'appello a scagionarli, anche di fronte ad imputazioni come la sodomia, che i dogi avrebbero punito con la morte.

Solo in un caso i religiosi sembrano ricevere lo stesso trattamento dei laici: i rapporti sessuali con le monache.

Immurazione per le religiose e condanna a morte per chi ne ha violato il corpo sono la risposta più frequente ai rapporti proibiti con le spose di Cristo, anche se in più di un caso le esecuzioni capitali sono sospese, perché non c'è omogeneità di vedute ai vertici della chiesa. Le soluzioni draconiane studiate per contrastare i disordini riscontrati nei monasteri femminili di Salerno ne sono una testimonianza esemplare. Nel 1583 i cardinali della Congregazione ottennero a fatica da Gregorio XIII la revoca della condanna a morte da lui pretesa per un frate che aveva fatto il bello e il cattivo tempo tra le monache di S. Chiara. Pochi anni dopo però, Sisto V fu irremovibile nel pretendere il trasferimento a Roma e l'esecuzione della pena capitale per un nobile e un domenicano che avevano violato delle religiose salernitane: neppure l'intervento di un cardinale influente come Giulio Antonio Santoro gli fece cambiare idea.

La prassi rimane costante, anche nel '600

Nel 1601 in un caso ferrarese Clemente VIII fu irremovibile nel pretendere che il tribunale del legato facesse giustiziare pubblicamente un confessore di monache. Siccome la religiosa da lui ingravidata aveva partorito un neonato, subito ucciso, con enorme scandalo, bisognava dare un valore esemplare alla punizione del principale responsabile del duplice misfatto.

In conclusione il libro di Michele Mancino e Giovanni Romeo presenta alcuni spunti di rilievo per chi sia interessato alle regole di funzionamento delle istituzioni in generale e non solo della Chiesa cattolica.

MP

Bibliografia

Michele Mancino, Giovanni Romeo
- Clero criminale. L'onore della chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell'Italia della Controriforma, Laterza, Roma-Bari, 2013
- Clero criminale. L'onore della chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell'Italia della Controriforma. I documenti: il Cinquecento, FedOA Press, Napoli, 2014
Marco Antonio Genovese
- Praxis archiepiscopalis curiae Neapolitanae, Neapoli, apud Io. Iacobum Carlinum, 1602 - Google Book
Sergio M. Pagano (ed.)
- La nunziatura di Ludovico Taverna (25 febbraio 1592 – 4 aprile 1596), Roma, Ist. Storico Italiano per l'Età Moderna e Contemporanea, 2008