Sono le regole che creano il libero mercato

Robert B. Reich
Come salvare il capitalismo
Fazi Editore, 2015

L'argomento principale di Saving Capitalism. For the Many, Not the Few, ultimo libro di Robert Reich, è la manipolazione che le regole del libero mercato subiscono da parte della classe che detiene il potere politico-economico. Questa manipolazione - effetto degli spiriti animali che guidano l'azione economica - mette in pericolo l'esistenza stessa del capitalismo. Occorre quindi difendere il capitalismo da sé stesso.

Poche idee hanno così profondamente avvelenato la mente di tante persone quanto la nozione di un "libero mercato" esistente da qualche parte nell'universo e con il quale il governo "interferisce". In questa concezione, qualunque disuguaglianza o insicurezza generata dal mercato viene vista come la conseguenza naturale e inevitabile di "forze impersonali" del mercato. Se non sei pagato quanto basta per vivere senza troppi problemi, il mercato ha evidentemente deciso che non vali abbastanza. Se altri si portano a casa miliardi, vuol dire che li meritano.

Questa visione dei rapporti economici - dice Reich - oggi così dominante che viene data per scontata, è completamente fallace, perché non c'è nessun libero mercato senza un governo.

Un mercato — qualunque mercato — richiede che il governo stabilisca e faccia rispettare le regole del gioco. Nella maggior parte delle moderne democrazie, tali regole emanano dalle assemblee legislative, le agenzie amministrative e i tribunali. Il governo non "interferisce' sul "libero mercato": esso crea il mercato. Le regole non sono neutrali né universali, e non sono permanenti.

Meno regole significa soltanto regole diverse

Nessuna regola non significa nessuna regola perché anche l'assenza di regole è già una regola. Così ridurre le regole significa semplicemente regole diverse.

È certamente utile discutere di quanto un governo debba tassare, spendere, regolamentare e incentivare. Ma questi aspetti sono ai margini dell'economia, mentre le regole sono l'economia. E impossibile avere un sistema di mercato senza tali regole e senza le scelte che le sottendono. Come disse lo storico dell'economia Karl Polanyi [2], chi vuole "meno governo" vuole in realtà un governo diverso, spesso uno che vada a vantaggio proprio o dei propri sostenitori'. Per esempio, la cosiddetta deregulation o "deregolamentazione" del settore finanziario USA negli anni Ottanta e Novanta si potrebbe più appropriatamente descrivere come una "riregolamentazione". Non significò meno governo. Significò una diversa serie di regole, che inizialmente permisero a Wall Street di speculare su un'ampia gamma di prodotti rischiosi ma remunerativi e alle banche di far accendere mutui a gente che non poteva permetterseli. Quando nel 2008 scoppiò la bolla, il governo emise nuove regole per proteggere le attività delle banche più grandi, sovvenzionarle per impedirne il tracollo e indurle ad acquisire quelle più deboli. Allo stesso tempo, il governo applicò altre regole che fecero perdere la casa a milioni di persone.

Il dibattito sul libero mercato serve a distrarre l'opinione publica

Il cosiddetto "libero mercato" è un mito che impedisce di esaminare questi cambiamenti delle regole e di domandarci chi ne benefici. E perciò estremamente utile a chi non vuole che si indaghi. Non è un caso che coloro che esercitano un'influenza spropositata su queste regole, i più grandi beneficiari di come vengono concepite e adattate, siano anche tra i più accesi sostenitori del "libero mercato" e della superiorità del mercato sul governo. Ma lo stesso dibattito serve a distrarre l'opinione pubblica dalle realtà di fondo di come le regole vengono create e cambiate, dall'influenza che essi hanno su questo processo e da come beneficiano dei risultati così ottenuti.

Forse non è un caso se coloro che difendono più a spada tratta un "libero mercato" immutabile e razionale, stigmatizzando viceversa le "ingerenze" del governo, siano spesso gli stessi che esercitano un'influenza spropositata sui meccanismi del mercato. Esaltano la "libera iniziativa" e paragonano il "libero mercato" alla libertà, ma di nascosto alterano le regole del gioco a proprio favore. Celebrano la libertà senza riconoscere il crescente squilibrio di potere che nella nostra società sta erodendo le libertà di buona parte dei cittadini.

Nel 2010 una maggioranza della Corte Suprema degli Stati Uniti decise, in Citizens United v. Federal Election Commission, che le corporation, le società di capitali, sono persone ai sensi del primo emendamento, dunque hanno diritto alla libertà di parola [1]. Perciò, sentenziò la Corte, il Bipartisan Campaign Reform Act del 2002 (più comunemente noto come McCain-Feingold Act, dal cognome dei principali promotori, il senatore repubblicano John McCain e il democratico Russ Feingold), che aveva limitato le spese delle grandi aziende per le pubblicità politiche, violava la Costituzione e non era più legge.

I cinque pilastri del capitalismo

Per avere un "libero mercato" - secondo Reich - si devono prendere delle decisioni e stabilire delle regole almeno su cinque materie che regolano i rapporti fra i soggetti economici:

Proprietà: cosa e come si può possedere

Monopolio: quale grado di potere di mercato permettere

Contratto: cosa e come si può comprare e vendere

Fallimento: che cosa succede quando i compratori non riescono a saldare i debiti

Enforcement: come far sì che nessuno imbrogli sulle regole

La nuova proprietà

Le regole che disciplinano la proprietà privata vengono contestate e adattate di continuo, a volte con clamore (vedi la messa al bando della schiavitù) ma più spesso sottotraccia, in modo quasi impercettibili per chi non ne è direttamente coinvolto

Per giustificare questa affermazione, che mina alla radice ogni pretesa di fondare sul diritto naturale la legittimità di qualsiasi proprietà che oltrepassi la proprietà del proprio corpo trascriverò un unico esempio.

Quando gli Stati Uniti furono fondati, il copyright copriva solo «mappe, carte e libri» e dava all'autore il diritto esclusivo di pubblicare per quattordici anni, rinnovabile una volta sola, per un tetto massimo di ventotto anni) [36]. Nel 1831 il massimo fu portato a quarantadue anni. Nel 1909 il Congresso lo estese di nuovo, questa volta a cinquantasei anni, dove rimase per il successivo mezzo secolo. Poi, a partire dal 1962, il Congresso ha esteso il massimo altre undici volte. Nel 1976 lo prolungò fino alla morte dell'autore più altri cinquant'anni. Il creatore non doveva nemmeno chiedere il rinnovo. Se la creazione emergeva da una società di capitali, il copyright durava settantacinque anni (questo cambiamento operava retrospettivamente, così qualsiasi opera ancora sotto copyright aziendale nel 1978, quando la nuova legge entrò in vigore, ebbe a disposizione altri diciannove anni di protezione [37]).

Nel 1998 il Congresso aggiunse ancora vent'anni, portando dunque il copyright a novantacinque anni dalla prima pubblicazione nel caso delle aziende. A Washington il Copyright Term Extension Act del 1998 venne ribattezzato Mickey Mouse Protection Act perché riguardava sostanzialmente i diritti d'autore per Topolino. Walt Disney aveva creato Topolino nel 1928, così, sotto il precedente limite dei settantacinque anni per opere appartenenti a un'azienda, Topolino sarebbe dovuto diventare di dominio pubblico nel 2003. Pluto, Pippo e il resto delle creature dei fumetti Disney sarebbero seguiti di lì a poco. Questo avrebbe significato grosse perdite di entrate per la Disney Corporation. Di conseguenza, Disney fece forti pressioni sul Congresso per estendere la protezione del copyright di altri vent'anni, come pure fecero Time Warner, che detiene i diritti di molti film e brani musicali del Novecento, e gli eredi dei compositori George e Ira Gershwin. Ottennero ciò che volevano. La maggior parte di quei vecchi copyright adesso si appresta a scadere nel 2023 [38]. Si può scommettere che prima di allora la durata sarà estesa di nuovo.

L'assenza di principi generali, dimostrata dal comportamento del Congresso degli Stati Uniti d'America, nella determinazione della durata del copyright è un esempio lampante di cosa Kelsen intendesse per assenza di fondamento delle leggi.

Naturalmente un fondamento c'è ed è la forza dei gruppi d'interesse costituiti, che prevale sull'interesse generale, del quale il Congresso degli Stati Uniti d'America dovrebbe essere espressione, ogni qualvolta il costo della sua difesa non sia sostenibile da un interesse privato altrettanto forte.

Uno a zero a favore di Trasimaco.

Il nuovo monopolio

La caratteristica peculiare delle nuove forme di monopolio è l'originalità con la quale esse si manifestano, che consente loro di aggirare le regole antimonopolistiche. Ad esempio. Il brevetto dei semi geneticamente modificati della Monsanto è un monopolio limitato come ogni brevetto, ma sotto questa apparenza nasconde la possibilità di esercitare un'influenza sproporzionata su tutta la catena alimentare umana, costituendo di fatto un monopolio molto più grande di quello consentito dal brevetto.

Il nuovo contratto

Nuove forme di contratto e coercizione. Un tema sul quale tornerò altrove.

Ma come si definisce la coercizione? Compratori e venditori non hanno vere alternative quando una grande azienda si è impadronita del mercato attraverso la sua proprietà intellettuale, il controllo degli standard e delle piattaforme di rete ed eserciti di avvocati e lobbisti. In queste circostanze i contratti sono intrinsecamente coercitivi.

Una clausola contrattuale divenuta comune negli ultimi anni è l'obbligo di sottoporre a un arbitro — spesso scelto dalla società — qualsiasi reclamo e ogni accusa di essere stati privati di qualche diritto fondamentale, per poi accettare il verdetto dell'arbitro senza la possibilità di appellarsi a un tribunale [20]. E una situazione che chiaramente altera la partita a favore delle grandi aziende che inseriscono clausole simili nei loro contratti standard. Secondo uno studio recente, i dipendenti che denunciano discriminazioni sul lavoro ottengono un risarcimento solo nel 21 per cento dei casi quando ricorrono all'arbitrato, contro il 50-60 per cento quando si rivolgono a un tribunale [21].

Il nuovo fallimento

Il fallimento è il sistema usato nella maggioranza delle economie capitaliste per trovare il giusto equilibrio: permettere ai debitori di ridurre le loro dichiarazioni di credito a un livello gestibile e allo stesso tempo spalmare le perdite in modo equo tra tutti i creditori, sotto l'occhio attento di un giudice fallimentare. L'idea centrale è il sacrificio condiviso [..]

Negli ultimi vent'anni ognuna delle grandi compagnie aeree statunitensi è andata in bancarotta almeno una volta, di solito per non rispettare dei contratti sindacali stipulati in precedenza [7]. Sotto il regime fallimentare (di nuovo, architettato in gran parte dalle società delle carte di credito e dai banchieri), i contratti sindacali che stabiliscono le retribuzioni dei lavoratori hanno una priorità relativamente bassa quando si tratta di decidere chi risarcire per primo. Questo significa che anche la minaccia di fallimento può essere un'arma potente per convincere i membri dei sindacati a sacrificare gli stipendi [..]

L'applicazione delle regole

Il quinto pilastro del mercato è l'enforcement, il meccanismo di controllo e applicazione delle regole.

Ai fini della libertà di mercato la corretta applicazione delle regole è tanto importante quanto la loro formazione. In molti casi la corretta applicazione delle regole può essere aggirata senza venir meno alle regole. Eccone un esempio.

Fino a non molto tempo fa le piccole imprese e i comuni cittadini potevano coalizzarsi per intentare delle class action, ma ultimamente queste sono diventate sempre più difficoltose. Come abbiamo visto, la clausola dell'arbitrato obbligatorio presente in molti contratti di fatto le impedisce. Inoltre, i membri della maggioranza repubblicana della Corte Suprema, la cui sensibilità agli interessi delle corporation che ne hanno appoggiato la nomina non è mai stata in dubbio, sono impegnati a sbarrare la porta a ogni class action. Nel 2011, in AT&T Mobility v. Conception, sentenziarono che le società possono vietare legalmente le class action con i contratti utente [46]. L'anno successivo, secondo uno studio del servizio di consulenza legale Carlton Fields Jorden Burt, il numero di grandi aziende che nei contratti includevano divieti contro le class action era più che raddoppiato [47].

Alcune obiezioni a Thomas Piketty

Quel che ho descritto non è la stessa cosa della corruzione. Negli Stati Uniti sono pochi - se non nessuno - i funzionari che ricevono direttamente mazzette e tangenti. La seduzione è più sottile.

La crescente disuguaglianza della ricchezza e dei redditi [..] è oggi parte integrante dei pilastri del "libero mercato".

Nel 2014 gli utili aziendali al lordo delle imposte hanno raggiunto il livello più alto dell'economia totale degli ultimi ottantacinque anni, pareggiando il precedente record del 1942, quando la seconda guerra mondiale fece salire i profitti (solo per portarne via la maggior parte con le tasse) [1]. Tra il 2000 e il 2014, gli utili aziendali trimestrali al netto delle imposte sono passati da 529 a 1.600 miliardi di dollari [2]. Questo incremento non era il riflesso di una crescente redditività del capitale investito: rifletteva il crescente potere economico. [..] Nel 2000 i lavoratori detenevano il 63 per cento del reddito prodotto da attività non legate all'agricoltura, nel 2013 questa quota era scesa al 57 per cento [3]

II processo che ho descritto aiuta a spiegare un rompicapo della forte tesi espressa da Thomas Piketty nel bestseller Il capitale nel XXI secolo: la tendenza del capitalismo ad andare verso una crescente disuguaglianza. Piketty presuppone che la quota di un'economia rappresentata dal capitale continuerà a crescere finché la redditività del capitale sarà superiore al tasso di crescita economica a lungo termine. Ma l'economista francese non riesce a spiegare perché la redditività del capitale non declini con il tempo, visto che di norma più ricchezza si accumula e più è difficile ricavarne buoni rendimenti. La tesi di Piketty non chiarisce nemmeno perché, almeno negli Stati Uniti, negli ultimi decenni la maggioranza dei super ricchi abbia ricavato la propria ricchezza dal lavoro anziché da qualche eredità. La probabile spiegazione è che chi controlla una quota crescente della ricchezza ha ottenuto anche una crescente influenza sulle regole tramite cui funziona il mercato.

Poveri che lavorano

Nel libro non manca un capitolo sul fenomeno, che si potrebbe definire anomalo, dei lavoratori che rimangono poveri pur lavorando.

Uno studio dei miei colleghi dell'Università della California a Berkeley e di ricercatori del'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign ha evidenziato che nel 2012 il 52 per cento degli addetti ai fast food dipendeva da qualche forma di assistenza pubblica, ricevendo quasi 7 miliardi di dollari di aiuti dai governi federale e statale. [13] La somma è in pratica un sussidio che il resto dei contribuenti americani paga al settore del fast food

Reich si sofferma anche sugli effetti devastanti del feticismo del lavoro. Le politiche progressiste sui sussidi alla disoccupazione legati all'attività lavorativa, introdotte da Bill Clinton negli Stati Uniti e, nello stesso periodo, da Tony Blair in Inghilterra, hanno determinato una riduzione della tutela dei lavoratori, costretti per ottenere i sussidi ad accettare una riduzione del salario. In questo modo si è, di fatto, fiscalizzata una parte del costo del lavoro meno qualificato, con l'effetto perverso di sussidiare le aziende consentendo loro di aumentare la quota spettante ai profitti, posta a carico della collettività, peggiorando in questo modo la condizione sia dei disoccupati che dei lavoratori.

Un altro motivo dell'aumento del numero dei poveri che lavorano è un cambiamento fondamentale nei criteri usati dal governo per stabilire l'idoneità all'assistenza. Come ho osservato, un tempo questa era rivolta ai disoccupati. Oggi chi non lavora ne riceve pochissima. Nel 2014 solo il 26 per cento dei disoccupati americani aveva qualche indennità di disoccupazione [19]. Oggi, di norma, i beneficiari dell'assistenza pubblica devono lavorare per averne diritto. La riforma del welfare promossa da Bill Clinton nel 1996 allontanò i poveri dall'assistenza spingendoli verso il lavoro, ma gli impieghi alla loro portata hanno fornito solo compensi bassi e offerto pochi scalini per accedere al ceto medio. La detrazione fiscale per i redditi da lavoro (Earned Income Tax Credit), un sussidio salariale, è stata estesa. Ma anche qui lavorare è un prerequisito. E sebbene non sia necessario avere un lavoro per ricevere i buoni pasto, è un fatto che ci sia una quota cospicua e crescente dei loro beneficiari anche tra gli occupati [20] (questi sono passati dal 19 per cento del 1980 al 31 per cento del 2012, e poiché circa un terzo di chi riceve i buoni pasto non può lavorare, trattandosi di anziani e disabili, molto più del 31 per cento di chi è idoneo al lavoro ha una qualche occupazione). Nel complesso, i nuovi requisiti lavorativi non hanno ridotto il numero o la percentuale degli americani in povertà, il cui tasso era del 14,5 per cento nel 2013, ben al di sopra dell'1l,3 per cento del 2000 e del 12,5 per cento del 2007. In realtà, i nuovi criteri hanno semplicemente ridotto il numero dei poveri senza lavoro, aumentando viceversa quelli che hanno una o più occupazioni. [21]

Effetti delle nuove regole

Uno studio pubblicato nell'autunno del 2014 Martin Gilens e Benjamin Page [..] hanno analizzato in dettaglio 1.799 questioni politiche, determinando l'influenza relativa che hanno su di esse le élite economiche, i gruppi d'affari, le organizzazioni di massa e i comuni cittadini. [1] La conclusione: Le preferenze dell'americano medio sembrano avere solo un impatto minuscolo, vicino allo zero, statisticamente non significativo, sulle linee di indirizzo pubblico. I legislatori rispondono invece alle richieste politiche dei ricchi e dei potenti interessi aziendali, cioè di chi ha le maggiori capacità di lobbying e le massime disponibilità finanziarie per foraggiarne le campagne elettorali.

Se i giocatori percepiscono che le regole del gioco sono truccate a favore di una parte è probabile che si verifichi una reazione dei giocatori sfavoriti per il ripristino dell'equità delle norme. Qualora l'opzione voce non sia possibile Robert Reich indica tre effetti distorsivi delle nuove regole sul mercato:

incentivo alla violazione delle regole con relativi costi

perdita di fiducia nel funzionamento del sistema

rifiuto di collaborazione (uscita)

Il terzo tipo di reazione è il più interessante perché contraddice i principi che fondano il calcolo economico secondo i quali le parti tendono in tutti i casi a massimizzare il proprio guadagno. L'esperienza insegna invece che - anche in presenza di coercizione - l'opzione uscita può essere usata per infliggere una perdita alla controparte, anche nel caso in cui questo comportamento abbia un costo, che può essere rilevante in presenza di coercizione. Così Reich:

Si prenda la simulazione che conduco a Berkeley con gli studenti del corso su "Ricchezza e povertà". Li divido a due a due e gli chiedo di immaginare che io dia mille dollari a un componente di ciascuna coppia. I prescelti potranno tenere parte dei soldi a condizione di raggiungere un accordo con il compagno o la compagna su come dividersi la somma. Possono fare un'unica offerta e rispondere solo accettando o rifiutando, e l'unico modo lecito di comunicare è che il destinatario iniziale della somma scriva su un pezzo di carta quanto è disposto a spartire con l'altro componente della coppia, che a sua volta deve scrivere sullo stesso pezzo di carta «AFFARE FATTO» o «NIENTE DA FARE».

Si potrebbe pensare che i destinatari iniziali degli immaginari mille dollari offrano al compagno o alla compagna un dollaro o addirittura meno, e che l'offerta venga felicemente accettata. Dopotutto, anche un dollaro è meglio di non prendere niente. La teoria economica ci dice che un simile risultato sarebbe un miglioramento rispetto allo status quo. Ma non è quello che succede. I destinatari dei mille dollari sono in genere molto più generosi con i partner, offrendo almeno duecentocinquanta dollari. Ancora più sorprendente è il rifiuto maggioritario di ogni offerta sotto i duecentocinquanta dollari, anche se un «NIENTE DA FARE» significa che nessuno dei componenti della coppia terrà per sé parte della somma.

A questo punto il rimando storico obbligato è alla parabola di Menenio Agrippa.

Contrappesi al sistema politico-economico

La terza sezione del libro è propositiva. Il capitalismo non è in grado di sopravvivere alla scomparsa del ceto medio, ma - secondo Reich - la grande maggioranza dei cittadini americani ha la capacità di modificare le regole del mercato semplicemente ripristinando il funzionamento dei contrappesi, che da Montesquieu in poi, hanno formato il nerbo, la struttura profonda, del capitalismo democratico.

Se riuscissimo a liberarci dell'idea che esiste un "libero mercato" separato dal governo e che un individuo guadagna in base a ciò che vale per la società, capiremmo il problema di fondo: la scelta non è tra più governo e meno governo, ma tra un governo che risponde alle richieste di una minoranza ricca che diventa sempre più ricca e un governo che invece risponde ai bisogni di una maggioranza che sta diventando relativamente più povera ed economicamente meno sicura. Allora potremmo lasciarci alle spalle le risse ideologiche che hanno avvelenato gran parte del discorso politico di destra e di sinistra per dedicarci finalmente alla sfida chiave del nostro tempo: ripristinare dei contrappesi al nostro sistema politico-economico.

Una soluzione rawlsiana formalmente ineccepibile che, come ogni soluzione rawlsiana, lascia molti dubbi.

Il punto [..] è come concepire le regole del mercato affinché l'economia generi ciò che la maggior parte delle persone consideri di per sé un'equa distribuzione, senza la necessità di ampie ridistribuzioni a posteriori.

Dei contrappesi esaminati da Reich non tratterò qui. Solo un cenno al richiamo a Thomas Paine con il quale si chiude il libro.

MP

Bibliografia

Paul Krugman
- Challenging the Oligarchy, The New York Review of Books, December 17, 2015; URL
Robert B. Reich
- Come salvare il capitalismo, tr. Nazzareno Mataldi, Fazi Editore, Roma, 2015
- Saving Capitalism. For the Many, Not the Few, Alfred A. Knopf,