Jacob Taubes tra Paolo e Nietzsche

Elettra Stimilli
Jacob Taubes
Morcelliana, 2004

1.01Attraverso il libro di Elettra Stimilli su Jacob Taubes cercherò di dire qualcosa intorno alla figura di Paolo nel pensiero di Nietzsche. Ciò implica, di conseguenza, che si dia anche una interpretazione della figura di Cristo, ad esempio questa.

Nietzsche forse è l'unico ad avere compreso qual'è la posta in gioco fra il cristianesimo e l'attualità. Egli ha capito che in entrambi, sia in Dioniso sia in Cristo, ne va del martirio, della sofferenza.
... solo esso (il martirio) ha un altro senso. La vita stessa (dice Nietzsche), la sua fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la distruzione, il bisogno di anniantamento...
Nell'altro caso (cioè in quello cristiano) il dolore, il "crocifisso in quanto innocente" valgono come obiezione contro questa vita, come formula della sua condanna. Si indovina che il problema è quello del senso del dolore: del senso cristiano o del senso tragico...
"Il Dio in croce" ( di questo tratta la Prima lettera ai Corinzi) è una maledizione della vita, un'esortazione a liberarsene.
Il Dioniso fatto a pezzi è una promessa alla vita: essa rinascerà e rifiorirà eternamente dalla distruzione.
Lo trovo straordinario. Nella modernità del XIX secolo tutto depone a favore di Nietzsche! In un universo monistico infatti non si dà né esodo né trascendenza. Volenti o nolenti, la sofferenza va quindi spiegata in termini immanenti.

1.02Ma veniamo a Paolo. La giustificazione del brutto nella tradizione cristiana delle origini, saggio del 1968, si apre con due citazioni dai §§ 45 e 51 dell'Anticristo che rimandano immediatamente alla Prima lettera ai Corinzi 1, 20ss. in cui, dice Taubes, Nietzsche identifica il punto, il locus classicus, in cui ha avuto luogo il passaggio dai valori dell'antichità a quelli del cristianesimo.

intuizione storica, [che] non ha ancora oggi pari tra gli esegeti neotestamentari.

1.03Che Nietzsche sia per Taubes la chiave di accesso ad una comprensione teologicamente fondata di Paolo è chiaro fin d'ora. Intendiamoci bene, a Taubes interessa Paolo, è dalla parte di Paolo, l'ebreo Paolo, non dalla parte di Nietzsche. Ma la sua onestà intellettuale gli permette di capire che per comprendere Paolo occorre mettersi in una prospettiva, che dopo duemila anni di cristianesimo, non ci appartiene più. Questo vuol dire il rimando a Celso e Porfirio, che ritornerà anche in seguito.

come in precedenza solo Celso e Porfirio, Nietzsche ha colto il punto saliente della dottrina paolina della croce, che è insensatezza e in totale contrasto con i principi aristocratici dell'antichità.

1.04Quale è il punto? Nietzsche contesta a Paolo l'esaltazione della mediocrità, della bruttezza, del ripugnante, dell'insensatezza della croce.

Questa è la prospettiva nichilistica a partire da cui Nietzsche può affermare che con il simbolo della croce il cristianesimo ha messo in atto una svalutazione del mondo e della sua esistenza naturale, facendo persino della bellezza [...] un'offesa per gli occhi e per le orecchie (Anticristo, § 51) e rendendo la terra un luogo spaventevole [...] in cui "il giusto viene martirizzato a morte"! (Aurora § 77) Determinante che Taubes [...] mostri come Paolo [...] non indugi mai in una svalutazione del mondano, come vorrebbe Nietzsche; in lui piuttosto è in atto una sua trasvalutazione

1.05Si può obiettare che in un frammento del 1888, a riprova della fondamentale ambivalenza e complessità del pensiero di Nietzsche, questi stessi disvalori siano esaltati per se stessi. Ciò che pare contestare a Paolo è qui proprio la trasvalutazione.

Da che cosa riconosco i miei simili. La filosofia, come io l'ho intesa e vissuta finora, è la ricerca volontaria anche degli aspetti più denigrati e discreditati della vita. [..]
Di ciò fa parte l'intendere gli aspetti finora negati dell'esistenza non solo come necessari, ma come desiderabili, e desiderabili non solo in rapporto agli aspetti finora accettati (più o meno come loro complementi o presupposti) ma per se stessi [..]

2.

2.01Paolo è uno degli interessi costanti di Nietzsche. Il 22 giugno 1880, in una lettera da Venezia, Nietzsche chiede a Overbeck il libro di Hermann Lüdemann su Paolo. In una successiva lettera da Marienbad, 19 luglio 1880, si esprime così in proposito:

il lavoro di Lüdemann è un capolavoro in campo arduo: peccato che egli non sia uno scrittore.

2.02 Nietzsche accusa più volte Paolo di essere un traditore della parola di Gesù. Paolo è sostanzialmente estraneo al pensiero di Gesù. Questo intende Nietzsche. Lo inchioda alla croce perché non lo comprende. Il pacifismo ingenuo di Gesù è

trasformato da Paolo in una dottrina misterica pagana, che impara a convivere con l'intera organizzazione statale... e fa la guerra, condanna, tortura, giura, odia.
Paolo muove dal bisogno di misteri della grande massa religiosamente eccitata: cerca una vittima, una fantasmagoria sanguinaria che regga il confronto con le immagini dei culti misterici: Dio sulla croce, il sangue che si beve, l'unio mystica con la "vittima". [..]
È costretto a mettere in evidenza i concetti di colpa e di peccato, non una nuova prassi (come la praticava e insegnava lo stesso Gesù) ma un nuovo culto, una nuova fede, la fede in una metamorfosi miracolosa (salvezza a opera della fede)[..]
L'attacco [di Gesù] ai preti e ai teologi sboccò, grazie a Paolo, in un nuovo sacerdozio e in una nuova teologia - in un ceto dominante, anche in una chiesa.
L'attacco all'eccessiva importanza data alla persona sboccò nella fede nella persona eterna, cioè la più paradossale esagerazione dell'egoismo personale [..]

2.03 Il discorso paolino di Nietzsche va letto su molti piani, che si intersecano e si confondono fra loro. Bisogna distinguere ciò che cerca di contruire dalle analisi del cristianesimo. A volte è inconsapevolmente dalla parte di Gesù.

[..] Le parole rivolte sulla croce al ladrone non giustificano altro che: se sentirai che tutto questo è giusto - non ribellarsi, non adirarsi, non dare colpe, e invece patire, compatire, perdonare, pregare per quelli che ci perseguitano e ci uccidono: solo in tal modo avrai ciò che è necessario, la pace dell'anima - così sarai in paradiso.
Evidentemente non si capì proprio la cosa fondamentale: il modello di una libertà da ogni rancore [..]

2.04Altre volte se ne allontana, quando la cosa diventa troppo chiara per poter essere sostenuta fino in fondo. Gesù non esprime rivalità, non ha padre, è infantile, è un idiota. Paolo invece non è un idiota, ha capito tutto.

Gesù è l'opposto di un genio: è un idiota. Si avverte la sua incapacità di comprendere la realtà [..] Ma i suoi discepoli non lo erano - Paolo non era per niente un idiota! Da questo dipende la storia del cristianesimo.

3.

3.01Nel 1987, nonostante sia ammalato di cancro, Taubes accetta l'invito di Enno Rudolph e tiene dal 23 al 27 febbraio 1987 alla Forschungsstätte della Evangelische Studiengeneinschaft di Heidelberg un fondamentale seminario sulla Lettera ai Romani di San Paolo publicato nel 1993 con il titolo La teologia politica di San Paolo. Taubes morirà il 21 marzo 1987. La tesi da cui Taubes prende avvio è la seguente:

La lettera ai Romani è una teologia politica, in quanto dichiarazione di guerra politica nei confronti dei Cesari.

3.02Non posso dilungarmi su questo, ma è necessaria ancora qualche precisazione su Paolo e Legge per mettere a fuoco come Taubes intenda dichiarazione di guerra in senso reale. Taubes osserva che il concetto romano di legge è fluido.

Vorrei avanzare l'ipotesi - e si tratta ancora di teologia politica - che per l'imperium Romanum il concetto di legge fosse una formula di compromesso.

3.03Mentre è difficile stabilire cosa si possa intendere per Legge in Paolo.

Non sono autorizzato a raffazzonare una spiegazione di che cosa Paolo intenda quando parla di «legge» (non credo nemmeno che sia così facile). Intende la Torah oppure la legge universale, o piuttosto la legge naturale? [..]

3.04Paolo è un fanatico, vuole il rovesciamento della Legge e identifica in Gesù lo strumento di eversione della Legge. In realtà Gesù è semplicemente fuori della Legge, è l'idiota senza peccato. A Paolo questo è sufficiente per dimostrare la perversità della Legge che crocifigge un innocente e su questa dimostrazione edificare una nuova teologia. Come fondatore di una religione Paolo è seguace del Crocifisso, ma successore di Mosé.

[..] Paolo è un fanatico! È uno zelota, uno zelota ebraico [..] Egli non spende una tale energia interiore per una chiacchierata qualsiasi sulla grande liberalità del nómos. Egli è del tutto illiberale, ne sono convinto (sono sempre riuscito a fiutare le trappole di un liberale, dell'antichità o del Medioevo o dell'età moderna). A tale questione Paolo risponde in modo del tutto diverso, con una protesta, con una trasvalutazione dei valori: non il nómos, ma chi è stato crocifisso dal nómos, è l'imperatore. Ciò è davvero immane, e, al confronto, tutti i piccoli rivoluzionari appaiono insignificanti!

3.05Tronco provvisoriamente il discorso, lasciandolo comunque in sospeso, con una sottile osservazione tratta dalla recensione di Massimo Giuliani all'edizione Adelphi del seminario di Taubes.

Per Nietzsche, ipostatizzando il sacrificio, Paolo e il cristianesimo primitivo soccombono all'idea che trasgredire e transvalutare la legge siano in fondo la stessa cosa, di cui hanno un feroce rimorso. La coscienza è anzitutto coscienza della legge. Non quella spirituale e interna della transvalutazione, ma quella solida e immortale del comando divino: la legge data da Dio a Mosé sul monte della rivelazione. Abolire la legge, se Paolo fosse stato coerente, avrebbe significato abolire anche il rimorso della trasgressione - transvalutazione, spezzando il circolo che unisce colpa e redenzione, peccato ed espiazione. [...] Nietzsche mette così il dito sull'antropologia negativa di Paolo, sulla difesa d'ufficio del peccato, perché senza il peccato non avrebbe senso né la legge mosaica che previene il peccato, né la transvalutazione della morte di Cristo che redime il peccato.

4.

4.01Non so fino a che punto Paolo sia un rappresentante perfetto del messianismo ebraico, ma all'origine del cristianesimo inteso come fede in Gesù il messia c'è proprio Paolo e il discorso di Paolo è comunque tutto interno all'ebraismo. In due splendidi frammenti, di cui vi trascrivo alcune frasi, Nietzsche si interroga sulle origini della potenza del discorso paolino. Interrogarsi in Nietzsche è sempre creare delle immagini.

La vita cristiana, che è presente come ideale alla mente di Paolo e che egli predica, è la vita ebraica, non forse quella delle famiglie dominanti, ma quella della piccola gente, specialmente quella degli Ebrei che vivono nella diaspora. [..] È questa l'azione di Paolo: egli vide l'applicabilità della vita privata ebraica alla vita privata della piccola gente di ogni dove.
La realtà su cui il cristianesimo poté edificare se stesso fu la piccola famiglia ebraica della diaspora, col suo calore e con la sua delicatezza, con la sua prontezza, inaudita e forse incompresa in tutto l'impero romano, [..] a rispondere gli uni per gli altri [..] Nell'aver visto in ciò una potenza, nell'aver visto questo stato beato come comunicativo, seducente, contagioso anche per i pagani, sta il genio di Paolo. [..] È dalla piccola comunità ebraica che proviene il principio dell'amore: è un'anima più appassionata che arde qui sotto le ceneri dell'umiltà e della miserabilità; quindi esso non fu né greco né indiano e nemmeno germanico. Il canto di esaltazione dell'amore poetato da Paolo non è niente di cristiano, bensì un avvampare ebraico dell'eterna fiamma, che è semitica. [..]

4.02Nonostante qualche opinione contraria si può affermare che negli ultimi anni di vita intellettuale Nietzsche si occupa raramente dei Greci; il suo interesse è rivolto quasi costantemente al cristianesimo dietro cui però si vede l'ebreo Paolo e ai tedeschi fra i quali si nota la figura di Wagner. Si tratta in entrambi i casi di doppi di se stesso.

Nietzsche in definitiva voleva la trasvalutazione dei valori: ebbene, eccone uno che ce l'ha fatta! Nietzsche è pieno d'invidia e allora si costringe a dire: costui ce l'ha fatta solo sotto l'influsso del veleno del ressentiment

4.03Sull'analogia fra l'esperienza estatica di Nietzsche a Silvaplana e la rivelazione del messia in croce a Paolo si possono fare delle supposizioni.

L'invidia di Nietzsche nei confronti di Paolo si spinge ancora oltre. Egli immagina che Paolo abbia avuto una grande esperienza estatica: Damasco. [...] Nietzsche non solo interpreta la sua esperienza, il mito dell'eterno ritorno, come un'esperienza estatica, ma ricorre perfino alle stesse metafore di cui si serve per descrivere l'episodio di Damasco.

4.03Ma qualcuno la pensa diversamente, a Nietzsche non interessa Paolo bensì Gesù (ovvero Dioniso).

Il ne me paraît pas que l'on puisse bien comprendre l'œuvre de Nietzsche sans tenir compte de ce sentiment. Nietzsche a été jaloux du Christ, jaloux jusqu'à la folie.

5.

5.01Nel suo saggio Elettra Stimilli evidenzia, fra le altre cose, una importante intervista, publicata con il titolo Èlite o avanguardia, dove Taubes rilieva come per Nietzsche l'umano sia ottenibile solo a prezzo della schiavitù di altri uomini.

Nell'intervista del 1982, ma anche nel seminario su Paolo del 1987, Taubes non esita ad affermare che l'unico che ha espressamente fatto i conti
con i costi che il paganesimo comporta è stato Nietzsche La sua peculiarità non sta tanto nella visione dell'antichità che propone come momento privilegiato in cui si è manifestato e realizzato l'umano, quanto piuttosto nel fatto che [..]
Egli [Nietszche] ha posto una questione concreta: e cioè che questo supremo frutto dello spirito e della vita umana sia stato ottenuto e che si possa ottenere solo sulla base della schiavitù, vale a dire che molti lavorano per pochi, così che i pochi godano dell'inattività [Muβe] e in essi si realizzi l'umano [...] E senza alcun ritegno e alcun riguardo per sé, ha pensato fino in fondo alle conseguenze [...] Ed è arrivato persino a concepire un'apologia della schiavitù! è un paradosso un'apologia della schiavitù per la salvezza dell'umano

5.02Messo in questi termini il discorso è molto hegeliano, ma qui appare filtrato attraveso la lettura che ne dà Benjamin.

Il tema dell'inattività, congiunto con quello dell'ozio [Müβiggang] trova una trattazione specifica in Benjamin negli appunti scritti in preparazione del libro su Parigi capitale del XIX secolo [Einaudi, 1986, p. 993] Nella società feudale l'inattività del poeta è un privilegio riconosciuto. Solo nella società borghese il poeta diventa ozioso

5.03La necessità e quindi l'inevitabilità dell'ozio, con quel che comporta, affinché sia possibile e quindi si manifesti l'attività dell'intelletto è un motivo che ritorna con continuità lungo tutta la storia del pensiero umano: dall'Ecclesiastico ad Avempace, da Democrito ad Alain.

La cultura è inattività. Prezzo di questa inattività è la schiavitù. Nietzsche ha accettato di pagare questo prezzo (PM, p. 102)
Su questa linea Taubes sostiene che l'inattività è consustanziale alla stessa filosofia. Il filosofo, in Platone e Aristote, è colui che concepisce la vita teoretica come la vita più elevata; in questo senso ha un solo interesse, che sia possibile la filosofia. E la filosofia è possibile solo se è possibile l'inattività. La filosofia è partigiana dell'inattività (PM, p. 103)

5.03Per il cristianesimo paolino non è così. L'ozio, l'inattività è comunque un peccato.

L'acedia per il cristianesimo, è il più grande dei peccati [ PM, p. 98]
Se l'acedia, "l'ignavia di cuore", è profondamente connessa all'idea dell'"inattività", questo è precisamente il punto in cui la costellazione di Nietzsche si colloca faccia a faccia con quella di Paolo [Elite..., MC p. 349]

5.04 Qui appare uno scivolamento di senso. La Verità viene identificata con l'effetto dell'ozio cioè la filosofia.

Con il cristianesimo diventa insopportabile il fatto che la verità sia accessibile solo a pochi. [...] La promessa di Cristo, il Vangelo, è che riguarda "tutti" [Taubes, Elite..., MC, p. 347]

6. Per concludere

6.01Giorgio Agamben nel commento alla Lettera ai Romani ha embedded una glossa sul rapporto di Nietzsche con la Seconda lettera ai Tessalonicesi di Paolo, versetti 2, 3-9.

Ci si è chiesti di rado come mai egli abbia intitolato L'anticristo la sua dichiarazione di guerra al cristianesimo e a Paolo. Eppure, nella tradizione cristiana, l'anticristo è precisamente la figura che segna la fine dei tempi e il trionfo di Cristo.

6.02Agamben ricorda come Cristo non sia un nome proprio, ma sia, semplicemente, la traduzione dell'ebraico mašiah, che significa l'«unto», il messia. Quindi Nietzsche ha scritto, in senso proprio, un antimessia. Ma l'antimessia è una invenzione paolina. Appunto 2 Tess. 2, 7-9.

Non si può certo credere seriamente che egli ignorasse che l'uomo dell'anomia [..] fosse una invenzione paolina. Il gesto - con cui egli sigla la sua dichiarazione di guerra contro il cristianesimo col nome di una figura che appartiene interamente a quella tradizione e ha in essa una precisa funzione - non può quindi non contenere qualcosa come un'intenzione parodica. L'anticristo è una parodia messianica [..]

6.03Si potrebbe obiettare ad Agamben, che se Nietzsche avesse scritto deliberatamente una parodia messianica non sarebbe caduto nella follia. Se L'Anticristo fosse una parodia che senso si dovrebbe dare a queste parole di Nietzsche?

I miei antenati furono pastori protestanti: se non avessi ereditato da loro sensi alti e puri, non saprei da dove attingere il diritto di far la guerra al cristianesimo. [..] l'Anticristo è addirittura il necessario prodotto logico nello sviluppo di un vero cristiano, è il cristianesimo che si supera in me.

6.04Molte interpretazioni mancate di Nietzsche (es. Girard) mostrano che dal labirinto non si esce se non si possiede già il filo di Arianna. Non è possibile una interpretazione delle parole di Nietzsche da fuori. In questo caso l'intepretazione non sarebbe niente altro che la sovrapposizione del proprio pensiero a quello di Nietzsche, ottenendo come unico risultato la sparizione di ciò che si crede di interpretare e come in uno specchio (o nell'occhio di chi guardiamo) ci verrebbe rimandata la nostra immagine.

MP

Bibliografia

Giorgio Agamben
- [2000] Il tempo che resta. Un commento alla "Lettera ai Romani", Bollati Boringhieri, Torino, 2000
André Gide
- [1999] Dostoievski, in Essais critiques, Gallimard, 1999, p. 577
Massimo Giuliani
- [2001] Jacob Taubes e la teologia politica di S. Paolo, in Humanitas, 4 / 2001, pp. 568-604
Friedrich Nietzsche
- [CM] Opere, Colli - Montinari, Adelphi, Milano, volume VIII, tomo 2 (1971), tomo 3 (1974)
Elettra Stimilli
- [2004] Jacob Taubes. Sovranità e tempo messianico., Morcelliana, Brescia, 2004
Jacob Taubes
- [EO] Escatologia Occidentale, tr. Elettra Stimilli pref. Michele Ranchetti, Garzanti, 1997
- [PM] Il prezzo del messianismo. Lettere di Jacob Taubes a Gershom Scholem e altri scritti, a cura di Elettra Stimilli, Quodlibet, Macerata, 2000
- [MC] Messianismo e cultura. Saggi di politica teologia e storia, a cura di Elettra Stimilli, Garzanti, Milano, 2001
- [DA] Il divergente accordo. Scritti su Carl Schmitt, tr. Gianni Scotto ed E. Stimilli, Quodlibet, Macerata, 1996
- [TP] La teologia politica di san Paolo, tr. Petra Dal Santo, Adelphi, Milano, 1997