Uno principe nuovo

[1] Uno principe nuovo, in una nuova città o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.
[2] Qualunque diventa principe o d'una città o d'uno stato (e tanto più quando i fondamenti suoi fussono deboli), e non si volga o per via di regno o di republica alla vita civile, il migliore rimedio che egli abbia a tenere quel principato è, sendo egli nuovo principe, fare ogni cosa in quello stato di nuovo; come è nelle città fare nuovi governi con nuovi nomi, con nuova autorità, con nuovi uomini; fare i ricchi poveri, i poveri ricchi, come fece Davit quando e' diventò re, «qui esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes»; edificare oltra di questo nuove città, disfare delle edificate, cambiare gli abitatori da un luogo a uno altro; e insomma non lasciare cosa niuna intatta in quella provincia, e che non vi sia né grado, né ordine, né stato, né ricchezza che, chi la tiene, non la riconosca da te; e pigliare per sua mira Filippo di Macedonia, padre di Alessandro, il quale, con questi modi, di piccol re diventò principe di Grecia. [3] E chi scrive di lui dice che tramutava gli uomini di provincia in provincia, come e mandriani tramutano le mandrie loro. [4] Sono questi modi crudelissimi e nimici d'ogni vivere non solamente cristiano, ma umano, e debbegli qualunque uomo fuggire, e volere piuttosto vivere privato, che re con tanta rovina degli uomini; nondimeno, colui che non vuole pigliare quella prima via del bene, quando si voglia mantenere, conviene che entri in questo male. [5] Ma gli uomini pigliano certe vie di mezzo che sono dannosissime, perché non sanno essere né tutti cattivi né tutti buoni, come nel seguente capitolo si mostrerà.

01 Ho trascritto per intero il capitolo ventiseiesimo del Discorsi perché in due scritti Leo Strauss propone, con lievi differenze, un ragionamento a molti argomenti in cui uno - l'importanza dei numeri nella lettura delle opere di Machiavelli - serve a condurci al capitolo 26 dei Discorsi nel cui testo è incapsulata una bestemmia.

02 Ho stilizzato il ragionamento di Leo Strauss per rendere immediatamente evidente come, facendoci seguire il testo di Machiavelli, ci stia conducendo ad una bestemmia deliberata come vincolo di complicità.

03 La Storia di Livio si componeva di 142 libri. Non casualmente - dice Strauss - i Discorsi comprendono 142 capitoli. Il Principe ha 26 capitoli e il titolo del ventiseiesimo capitolo dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio suona :

«Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui, debba fare ogni cosa nuova». Il tema del capitolo è dunque il nuovo principe in un nuovo stato, cioè l'argomento eminente del Principe. [Strauss, Gerusalemme e Atene, p. 288]

04 Quindi, se i Discorsi sono la verità del Principe, il capitolo ventiseiesimo è quello dove cabalisticamente essa deve apparire, così sembra intendere Strauss e questa verità riguarda, forse non casualmente, lo stabilire il potere assoluto:

La lezione fornita da questo capitolo è la seguente: un principe nuovo che voglia stabilire un potere assoluto nel suo stato deve fare nuova ogni cosa [...] non deve esserci carica di rango o ricchezza i cui possessori non riconoscano di doverla al principe. [Strauss, Gerusalemme e Atene, p. 288]

05 Al fine di stabilire il potere assoluto, ovvero la tirannia :

Un provvedimento di re Davide fu di fare poveri i ricchi e ricchi i poveri. Nel parlare di questo provvedimento Machiavelli cita questi versi del Magnificat qui esurientes implevit bonis, ed divites dimisit inanes [Strauss, Pensieri su Machiavelli, p. 48]

06 Ma la citazione del Magnificat che ci propone Machiavelli è errata:

come già notò Tommasini, La vita, II p. 162 si attribuisce qui a Davide quanto, secondo il Magnificat (Lc., I 53), ha invece fatto Dio; l'errore può essere stato determinato o facilitato dal ricordo di Ps., 33 II: «divites eguerunt, et esurierunt; inquirentes autem Dominum non minuentur omni bono» [...] Che Macchiavelli non sapesse «se non molto confusamente» che cosa fosse il Magnificat, non meraviglia (vd. Martelli, Macchiavelli e gli storici, p. 27) più meraviglia che anche intorno alla storia del popolo ebraico egli possedesse nozioni quanto mai approssimative [Bausi, p.138]

07 Là dove Strauss legge

Nel contesto del presente capitolo, ciò significa che Dio è un tiranno e che il re Davide, il quale rese povero il ricco e ricco il povero, era un re divino, un re che ha camminato lungo le vie del Signore perché ha seguito la via del tiranno. [Strauss, Gerusalemme e Atene, p. 288]

08 Altri, invece, leggono una semplice svista. Come aveva notato il Tommasini, collazionandone una serie, gli esempi di citazioni o di attribuzioni errate sono innumerevoli nelle opere di Machiavelli.

Egli agita pertanto quelle questioni che vuole, coglie le occasioni che cerca, sceglie i passi di Livio che servono a' suoi commenti; non commenta già pel fine esclusivo di comporre un commentario. Pochi son gli scrittori di cui si giova e che cita; e quando li cita, spesso male e inesattamente... [Tommasini, II, p. 162]

09 Rimane comunque da chiedersi se la trascuratezza nelle citazioni sia dovuta alla mancanza di opportunità di verifica, sia voluta deliberatamente, o si tratti di lapsus. Un errore di citazione, ricordare una cosa per un'altra, è un lapsus. Ma, se l'autore è quello che si legge e sono possibili letture multiple divergenti allora non è possibile preferirne una all'altra, ciascuna è essa stessa il testo. La giustificazione del Tommasini è:

Non da lui si chiedano pedanterie d'erudito. Di queste i suoi contemporanei porgono copia inesauribile; lui invece bisogna prenderlo com'è, ricevere quel che dà, come si riceve l'opera d'un artista; non chiedergli quel ch'è fuori del suo proposito, avvisando l'acume con cui sfonda i ripari che lo dividono dal passato, e vi penetra dentro per suscitar l'avvenire... [Tommasini, II, p. 163]

10 Qui vale però, contro il Tommasini, l'osservazione di Strauss:

Quello che è importante è il fatto che Machiavelli, nell'atto di parlare di errori manifesti, commette egli stesso un errore manifesto. [Strauss, Pensieri su Machiavelli, p. 31]

11 A questo punto sorge un dubbio e dobbiamo chiederci dove sia la bestemmia? Nel dire che Dio è un tiranno o nell'identificazione di Davide con Dio? Che il Dio della Bibbia sia un Dio crudele e tirannico è evidente ad ogni versetto, lo stesso autore della Bibbia ci induce manifestamente a pensarlo. Quindi la bestemmia non può che essere nell'identificazione dell'uomo con Dio. O forse meglio: la bestemmia è nell'uomo che si fa tiranno usurpando un attributo di Dio. Questo è il pensiero nascosto di Machiavelli?

12 Contro una tale interpretazione si potrebbe sostenere che la bestemmia non è espressa in maniera esplicita.

Ma una bestemmia dissimulata è tanto più insidiosa non solo perché protegge il blasfemo dal ricevere una punizione in seguito a un giudizio, ma soprattutto perché in pratica costringe l'uditore o il lettore a pensare la bestemmia per proprio conto e quindi a diventare complice del balsfemo. [Strauss, Gerusalemme e Atene, p. 288]

13 Quindi siamo autorizzati a pensare che Machiavelli cerchi la complicità del lettore perché sa:

Per quale Iddio o per quali santi gli ò io a fare giurare? per quelli che adorano o per quelli che bestemmiano? che ne adorino non so io alcuno; ma so bene che li bestemmiano tutti!

14 Dall'argomento che, per sommi capi, ho enucleato, segue un'idea di religione, che può essere riassunta con queste parole:

egli [Machiavelli] segue l'averroismo, cioè quegli aristotelici medievali che in quanto filosofi rifiutavano qualsiasi concessione alla religione rivelata. Mentre la sostanza dell'insegnamento religioso di Machiavelli non è originale, la sua maniera di esporlo è assai ingegnosa. Infatti, non riconosce alcuna teologia all'infuori della teologia civile, la teologia posta al servizio dello stato e da usarsi o non usarsi da parte dello stato a seconda di quanto suggeriscono le circostanze. [Strauss, Gerusalemme e Atene, p. 291]

15 O come argomenta il Tommasini:

... come già gli parve eccitamento e giustificazione a mutazioni sociali nei versetti del Magnificat citati per isbaglio, ora non esita a determinare e sorreggere la natura della fede con un testo di Tito Livio, quasi che nell'antica religione di Roma gli uomini obedissero più e discutessero meno. [Tommasini, p. 702]

16 Questa lettura pagana dell'opera di Machiavelli trova riscontro in un quasi contemporaneo saggio di Isaiah Berlin. Diversamente dall'interpretazione corrente del pensiero politico di Machiavelli, stabilita da Benedetto Croce e seguita dai maggiori interpreti italiani, secondo cui Machiavelli non negava la validità della morale cristiana, e non pretendeva che un delitto imposto dalla necessità politica non fosse un delitto Berlin ribadisce la totale estraneità di Machiavelli alla morale individuale cristiana. Il suo riferimento è la morale comunitaria degli antichi:

Machiavelli rifiuta l'etica cristiana, ma in favore di un altro sistema, di un altro universo morale: il mondo di Pericle o di Scipione, o magari del duca Valentino, una società orientata a fini altrettanto ultimi di quelli della fede cristiana, una società in cui gli uomini combattono e sono pronti a morire per fini (publici) perseguiti in ragione del loro valore intrinseco. [...] In altre parole il conflitto è tra due morali...

17 Due morali incompatibili, tra le quali occorre necessariamente scegliere. A questo punto possiamo chiederci se siamo proprio sicuri di sapere da che parte stia Leo Strauss che, come dice Gennaro Sasso, considera il pensiero di Machiavelli l'origine della modernità e quindi di tutti i mali?

MP