Oikeopragia

Democrito. Margini del frammento DK 68 B 80

01 Quello che ci resta dell'etica di Democrito di Abdera sono poco più di un centinaio di frammenti, la cui interpretazione divide filologi e filosofi da due secoli. Difficilmente componibili e di qualità molto difforme fra loro, non appaiono riconducibili nel loro complesso ad una concezione unitaria di pensiero.

Indubbiamente la difficoltà di interpretazione è grande, perché malgrado gli sforzi del Natorp e di altri, non è riuscito, e non riteniamo possibile che riesca ad alcuno, dimostrare il carattere sistematico di quell'etica: Democrito espone, in forma aforistica e in mezzo ad osservazioni abbastanza comuni, una sua concezione della vita, del fine della vita, della società, della legge, concezione che si può enucleare riducendola ad alcuni principi semplici e fondamentali, ma che non è una teoria nè una critica dell'attività morale. Si sente nel suo pensiero anche un'eco della critica dei Sofisti, ma attutito: vi manca appunto quello che c'è sempre nella spietata critica sofistica, la sistematicità. Ma questo non vuol dire che l'etica di Democrito si debba ritenere, con lo Zeller (I6, 1051 ss), come un insieme di pensieri staccati, di considerazioni sparse, a cui manchi oltre la sistematicità, anche l'originalità, non elevandosi esse al di sopra del pensiero comune: perchè è possibile definire un punto di vista generale da cui tutti quei pensieri (tutti quelli significativi) dipendono...

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Per quanto notevoli siano queste osservazioni e regole di vita, esse mancano però troppo di intima coesione e di fondamento scientifico perchè vi possiamo scorgere la prima formulazione sistematica dell'etica presso i Greci.

03 D'altra parte la forma apoftegmatica, in cui si presenta quello che resta dell'etica democritea, permette di considerare ogni singola massima come completa e significante in sè stessa. Non c'è la certezza che l'intero corpus sia autentico. Per questo soffermeremo il nostro discorso, o lettore, sui margini del frammento B 80 di Democrito: aischron ta othneia polypragmoneonta agnoein ta oikeia, limitandoci ad istituire alcuni collegamenti con altri testi e niente di più.

αἰσχρὸν τὰ ὀθνεῖα πολυπραγμονέοντα ἀγνοεῖν τὰ οἰκήϊα
aliena curiosè scrutantem propria ignorare turpe est
È deplorevole darsi gran da fare per le faccende altrui trascurando le proprie.
.

04 B 80 appartiene ad una raccolta di massime che vanno sotto il nome di Democrate (fr. DK 35-115). Questo ha ingenerato dei dubbi sulla sua attribuzione. Per quanto riguarda le origini del frammento B 80 riprendo la nota di Alfieri:

Sotto il titolo Democrate possediamo una raccolta di 86 massime, edite la prima volta a Roma nel 1638 da Lucas Holstenius di su un ms. Barberini, poi da J. C. Orelli su di un ms. palatino: è un estratto dalla stessa raccolta di frammenti etici di Dem. a cui attinge Stobeo... Stobeo ha conosciuto questa raccolta in una forma più completa. [Alfieri, 1936, p. 219]

05 La massima separa nettamente due ambiti: il proprio (oikeia) e l'altrui (othneia), ponendo fra essi un rapporto di valore: il deplorevole (aischron), rispetto a ciò: le faccende (agnoein) di cui l'uomo deve occuparsi, per il fine, sott'inteso, dell'euthymia. Si tratta dunque di una massima strettamente individualistica, fondata sulla separazione e sull'isolamento. L'etica di Democrito non fu

un insieme di criteri capaci di garantire la personalità dei singoli in un sistema equilibrato di rapporti interumani; ma fu un insieme di massime intese a garantire la personalità dei singoli nell'isolamento e attraverso l'isolamento.

06Identica sottolienatura dell'importanza dell'isolamento è espresso dall'Alfieri

l'uomo, nella concezione democritea è individuo, anche se Democrito non concederebbe mai l'uso di questo termine: è un essere chiuso in sé, accanto ad altri esseri che cercano di turbare la sua solitudine e il suo isolamento, ma che, quando danno retta alla saggezza, si rendono conto che la vita migliore è il vivere ciascuno per sé

07 Una recente edizione de I presocratici, a cura di Giovanni Reale, riporta la seguente traduzione:

È inopportuno intromettersi nelle vicende altrui, tascurando le proprie.

08 La traduzione è fuorviante: intromettersi esprime una volontaria invasione dell'altrui, ed è quindi contrario al senso della frase. L'intendimento espresso da Democrito in questa massima è quello di non disperdere energie occupandosi dell'altrui senza motivo. Nel caso in cui intromettersi nelle faccende altrui fosse utile per le proprie o, anche, per le altrui necessità, sarebbe invece consigliato da Democrito. Non intromettersi sarebbe in questo caso un non seguire le proprie faccende.

09 Il frammento B 74 appare concettualmente collegato al frammento B 80 e lo precede logicamente. Il comportamento del saggio deve porre al di sopra di tutto l'utilità, neppure il piacere, se non è utile, deve essere ricercato. Quindi anche B 80 può essere letto in funzione dell'utilità: Può essere piacevole, ma non è utile, essere distratti dalle faccende altrui, si deve, anziché disperdere le proprie energie in molte cose esteriori, perseguire il proprio benessere interiore. Eudemonismo, edonismo e utilitarismo appaiono qui collegati, uno in funzione dell'altro.

ἡδὺ μηδὲν ἀποδέχεσθαι, ἢν μὴ συμφέρηι.
Nihil iucundum admittas, nisi idem fit conducibile
Non concederti nessun piacere se non debba recarti utilità

10 Ritroviamo concordanze con B 80 anche nel frammento B 3 (Natorp 163, non presente nei frammenti che vanno sotto il titolo Democrate) tramandato da Plutarco, Strobeo e Seneca. Qui appare un'inflessione stoica che tende a svalutare anche il proprio.

ὁ μὲν οὖν εἰπὼν ὅτι δεῖ τὸν εὐθυμεῖσθαι μέλλοντα μὴ ... ξυνῆι πρῶτον μὲν ἡμῖν πολυτελῆ τὴν εὐθυμίαν καθίστησι, γινομένην ὤνιον ἀπραξίας . . .
Qui tranquille volet vivere, nec privatim agat multa nec publice
Chi vuol vivere con l'animo tranquillo non deve darsi troppo da fare né per le faccende private né per le pubbliche

11 Ancora un rimando, questa volta da Pierre Hadot, per introdurre il concetto di « tranquillità dell'animo » (euthimia) ed il suo rapporto con l'occuparsi degli affari propri (oikeopragia)

Si può notare come, per trattare una delle loro tematiche preferite, la tranquillità dell'anima, filosofi come Seneca e Plutarco faranno allusione a un'opera di Democrito consacrata all'euthymia, vale a dire la buona disposizione dell'anima che equivale alla gioia. Stando a Seneca, Democrito la ricercava nello stato di equilibrio dell'anima, cui si può giungere sapendo adattare il proprio agire a ciò che si è capaci di fare. La gioia corrisponde dunque alla conoscenza di sé. Si tratta di occuparsi dei propri affari.

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Già Diogene Laerzio (IX, 45) vede chiaramente che, per Democrito, il fine supremo della vita è l'euthymía, che non è la medesima cosa del piacere, come credevano certuni che avevano frainteso, bensì quello stato in cui l'animo è calmo ed equilibrato, non turbato da paura alcuna o da superstizioso timore degli dèi o da qualsiasi altra passione [Zeppi, 1971, p. 502]

13 Infine si può notare come, in alcune pagine dell'opera politica del filosofo che non nomina mai Democrito, uno studioso attento della storia greca veda un'eco del frammento B 80.

L'oikeopragia (occuparsi degli affari propri) di 434 c, cosí come altri passi della Repubblica (specialmente 433e) ricordano fortemente la sentenza democritea.

14Ma, non sembra però che nel fr. B 80 ὀθνεῖα e οἰκήϊα possano interpretarsi in senso politico e territoriale così come invece si devono intendere nel testo di Platone.

[Plat. Rep. 4.434c] ... il fare ciò che è proprio della classe degli affaristi, degli ausiliari e dei custodi, occupandosi ciascuno del proprio nella città, non sarebbe viceversa giustizia e non renderebbe giusta la città?

15 Nel testo di Platone il proprio è quello della comunità. Tra il concetto democriteo e quello espresso in Republica c'è quindi una torsione di senso. Possiamo anche pensare che il concetto a cui vuole arrivare Democrito, oggi apparentemente banale, sia nel contesto storico in cui è stato pensato più innovativo di quello espresso da Platone, che comunque riafferma la supremazia morale della città greca. Pensiamo invece ad un effetto rivolto all'individuo. L'effetto Zeigarnik dice che un compito lasciato in sospeso permane nella mente, occupando energie che potrebbero essere rivolte altrove. L'etica dell'Abderita segue lo stesso principio: diminuire gli interessi per evitare di avere il tempo mente occupato da compiti lasciati in sospeso.

MP