Condizione di equità e welfare aziendale

In materia di Welfare State il ragionamento che ci sentiamo ripetere sempre più frequentemente, più o meno a partire dagli anni novanta del secolo scorso, è questo: mancano le risorse, il welfare publico è diventato insostenibile, occorre ridurre la spesa, o meglio la spesa assistenziale non deve più essere gestita dal publico, ma dai privati. L'idea di un secondo welfare che si affianca a quello statale e ne gestisce, almeno in parte, le risorse sempre più scarse si inserisce in questa prospettiva.

È in questo panorama che si è sviluppata, sui quotidiani e nel dibattito pubblico, l’idea di un «secondo welfare» alimentato dalla cooperazione dei diversi soggetti, pubblici e privati, che vivono e operano sul territorio e nelle comunità locali. Contributi come quelli pubblicati sul «Corriere della Sera» a firma di Dario Di Vico (2010a, 2010b) e di Maurizio Ferrera (2010, 2012) hanno dato inizio alla riflessione circa l’opportunità di promuovere un nuovo welfare mix caratterizzato dall’ingresso di attori privati come fondazioni, volontariato, sindacati, associazioni datoriali, assicurazioni, cooperative e aziende nell’«arena del welfare». Mezzi aggiuntivi che possono, in partnership con gli enti locali e attraverso un forte radicamento territoriale, contribuire a dare risposte a nuovi e vecchi bisogni, specialmente di fronte all’arretramento del welfare state pubblico (Ferrera e Maino 2012).

All'interno della nuova ideologia dell'assistenza organizzata secondo criteri privatistici in cui ogni categoria tende a ritagliarsi un proprio spazio di intervento al fine di ottenere agevolazioni fiscali e normative, il welfare aziendale riprende innovandole le vecchie tradizioni del paternalismo industriale.

Il welfare aziendale è generalmente inteso come l’insieme di benefit e servizi, forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa, che vanno dal sostegno al reddito familiare, allo studio e alla genitorialità, alla tutela della salute, fino a proposte per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale.

L'obiettivo di ogni impresa economica è pur sempre quello di massimizzare il profitto, così come l'obiettivo di ogni apparato statale è quello di massimizzare esazione dell'imposta. Il welfare aziendale funziona se soddisfa entrambe queste condizioni.

L'impresa investe risorse nel welfare aziendale per aumentare il grado di soddisfazione dei dipendenti e attraverso questa aumentare la qualità del lavoro solo se questo sforzo aggiuntivo incrementa il profitto.

Lo Stato, a sua volta, può rinunciare ad una parte delle imposte dovute se, e solo se, alla fine del ciclo ottiene una minore spesa per l'assistenza publica e.o una maggiore entrata fiscale.

L'azienda è in grado di monitorare costantemente il rapporto tra spesa per il welfare aziendale, mentre si può dubitare che lo Stato sia in grado di fare altrettanto. Quindi mentre l'impresa è in grado di valutare la convenienza dell'azione intrapresa lo Stato verosimilmente non ne sarà in grado.

Ma c'è un altro problema. Come è stato notato da Titmuss e come rileva la Mallone il welfare aziendale determina una discriminazione a favore degli occupati, o meglio a favore solo di alcune categorie di occupati, quelli che lavorano presso aziende in grado di offrire, per le condizioni dell'azienda nel mercato, delle prestazioni aggiuntive al salario.

Tanti sono gli studiosi che, da Richard Titmuss (1958) in poi, hanno ipotizzato gli effetti perversi dell’espansione del welfare occupazionale, che copre cioè i lavoratori sulla base del settore industriale di appartenenza. Misure di welfare offerte ad alcuni in virtù dello status professionale possono infatti favorire lo sviluppo di un welfare state pubblico residuale destinato solo agli indigenti, e aumentare così quella frammentazione sociale tra insiders e outsiders che in Italia è già accentuata.

Lo Stato in teoria, per definizione, non deve, e non dovrebbe neppure nella realtà, discriminare i cittadini offrendo loro trattamenti differenziati in funzione della loro condizione sociale.

Proprio per questo è necessario che l’iniziativa privata in campo sociale sia efficacemente inserita in un quadro normativo che consenta quello che Ferrera (2005) chiamerebbe l’«incastro virtuoso» delle diverse soluzioni all’interno di un modello di governance multi-attore e multilivello, che non può tuttavia fare a meno della partecipazione del pubblico come supervisore, coordinato re e regolatore. Elemento centrale per la diffusione del welfare aziendale sono infatti le politiche fiscali: gli articoli 51 e 100 del Testo unico delle imposte sui redditi dispongono sgravi e agevolazioni che rendono l’offerta di beni e servizi da parte del datore di lavoro più conveniente del tradizionale aumento in busta paga.

Date queste premesse, affinché il sostegno publico al welfare aziendale, attraverso una riduzione dell'imposizione fiscale, sia legittimo occorre dimostrare che analoga riduzione viene concessa agli altri cittadini ovvero, in subordine, almeno dimostrare che il welfare aziendale ha delle ricadute tali sulla collettività da migliorare la situazione complessiva della categoria rawlsiana dei meno favoriti.

Ciò che manca è una verifica sperimentale che ciò accada.

MP

Bibliografia

Dario Di Vico
- [2010a] Il secondo welfare senza Stato. Così le cento nuove reti sociali, «Corriere della Sera», 14 giugno 2010
- [2010b] Il welfare dei privati che sostituisce lo stato, Corriere della Sera, 15 giugno 2010, online, mercoledì 8 aprile 2015
Maurizio Ferrera
- Per il welfare serve più spesa (dei privati), Corriere della Sera, 16 giugno 2010, online, mercoledì 8 aprile 2015
- The Boundaries of Welfare. European Integration and the New Spatial Politics of Social Protection, Oxford, Oxford University Press, 2005
- Idee e crescita: il circolo virtuoso del terziario sociale, «Corriere della Sera», 16 aprile 2012, online, mercoledì 8 aprile 2015
Ferrera M. e Maino F.
- Quali prospettive per il Secondo Welfare?, in M. Bray e M. Granata (a cura di), L’economia sociale: una risposta alla crisi, Roma, Solaris, 2012, pp. 125-134
Franca Maino
- Il secondo welfare: contorni teorici ed esperienze esemplificative, Rivista delle Politiche Sociali, n.4, 2012, [assoprevidenza.it, online, mercoledì 8 aprile 2015]
Giulia Mallone
- Il secondo welfare in Italia: esperienze di welfare aziendale a confronto, Working Papers 2WEL 3/2013, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, [secondowelfare.it, online, venerdì 3 aprile 2015] anche in Nuove tutele, rivista INAS, patronato CISL, maggio-agosto 2013
- Imprese e lavoratori: il welfare aziendale e quello contrattuale, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di) (2013), Primo rapporto sul secondo welfare in Italia 2013, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi [secondowelfare.it, online, venerdì 3 aprile 2015]