Il lavoratore psicosomatico

William Davies
L'industria della felicità
Einaudi, Torino, 2016

Il perseguimento della felicità, iscritto nei sacri testi della modernità come fine dell'azione umana, determina, esso stesso, infelicità. Per un effetto perverso, già noto ai cinici, l'unica forma di felicità che sembra esserci concessa, in quanto esseri umani, è l'assenza di desiderio e quindi di azione rivolta ad un fine. Ne segue che: anche il perseguimento della felicità sia di per sé causa di infelicità.

Nonostante questo, o forse proprio per questo, la misurazione della quantità di felicità che ci circonda, il calcolo felicifico teorizzato da Jeremy Bentham, è diventata oggetto di un'industria, quella del benessere, che si insinua sempre più pervasivamente nella nostra vita. L'essere infelici è diventato un problema, che la politica e l'industria si propongono di risolvere definitivamente, se necessario con la costrizione.

Di questo, ed altre simili amenità, si occupa The Happiness Industry. How the Government and Big Business Sold Us Well-Being di William Davies, professore della Goldsmith University di Londra. [Potlatch]

Infelicità come malattia mentale

L'Organizzazione mondiale della sanità nel 2001 ha previsto che i disordini mentali sarebbero diventati, entro il 2020, la prima causa mondiale di disabilità e di mortalità. Già oggi, alcune stime indicano che oltre un terzo degli europei e degli americani soffrono di problemi di salute mentale, anche se di frequente non vengono diagnosticati. [5]

Ogni comportamento che non sia funzionale alla produzione è etichettabile come malattia mentale e quindi passibile di diventare oggetto di cure. Ultimamente anche l'esperienza del lutto, quella che è sempre stata considerata la fisiologica reazione di dolore di fronte ad una perdita che ci colpisce negli affetti, è stata inserita fra le malattie.

di fronte a un nuovo farmaco, il Wellbutrin, che prometteva di alleviare i principali sintomi della depressione che è presente subito dopo la perdita di una persona amata, l'Apa è capitolata e ha rimosso questa esenzione dal Dsm-V. [34] [..] In un'economia che trae profitto dall'entusiasmo sul posto di lavoro e dal desiderio di acquisto nel centro commerciale anche le aziende sono sempre più consapevoli dell'inefficienza economica della depressione. [36] Trovare modi per curare le persone da questa malattia [..] è considerata essenziale per la sopravvivenza della redditività d'impresa.

L'ottimizzazione sociale

Di fronte agli ambigui problemi personali delle altre persone, chi esercita il potere ha sperimentato e testato una propria strategia di reazione: coinvolgere appaltatori e consulenti esterni. E abbondante la richiesta politica e commerciale di esperti che vogliano esprimersi e agire sul benessere degli altri, sulla base di una qualche presunta autorità scientifica. Questi esperti stanno a cavallo tra un operatore sanitario qualificato e un prepotente malinformato. Quando trattano questioni delicate, relative alla salute e alla felicità delle altre persone, questi osservatori esterni hanno il grande vantaggio di poter evitare una piena responsabilità morale e, se necessario, di abbandonare il lavoro. L'idea di Bentham di un ente di beneficenza nazionale, istituito dallo Stato per dare occupazione alle persone, profetizzava il torbido mondo odierno del workfare, il lavoro socialmente utile, che si pone negli spazi vuoti che si creano tra il mercato e lo Stato.

Nella sua aspirazione a indurre le persone a evitare di appoggiarsi al welfare statale e a portarle nel mercato del lavoro, il governo britannico incaricò Atos, una società di outsourcing operante nei settore dei servizi pubblici, di condurre «valutazioni della capacità lavorativa» degli individui. Questi programmi, intensificati da parte del governo conservatore a partire dal 2010, hanno causato anche parecchi atti di crudeltà e tragedie. Tra queste, quella di Tim Salter, un uomo cieco e agorafobico di 53 anni, che nel 2013 e suicidato poche settimane dopo il ritiro della sua indennità, quando Atos aveva ritenuto che fosse idoneo al lavoro [12] Anche alcune persone che soffrivano di danni cerebrali o di tumori terminali furono giudicate da Atos «abili al lavoro». Nel 2011, l'Ordine dei medici del Regno Unito ha posto sotto inchiesta dodici medici che lavoravano come ispettori per Atos, con l'accusa che non stavano adempiendo alla propria responsabilità di tutelare i pazienti [13]. Tra gennaio e novembre 2011, 10.600 persone malate e disabili sono morte entro sei settimane dal ritiro delle loro indennità [14]. Con un disguido tragicamente comico, Atos dichiarò abile al lavoro uno dei richiedenti l'indennità di inabilità dopo che questi era già morto di malattia.

Sul fronte della motivazione per la ricerca del lavoro, il governo, ancora una volta, fa un passo indietro, consentendo ai suoi appaltatori di condurre gli interventi psicologici pié controversi. Valutando l'atteggiamento e l'ottimismo di coloro che si vuole spingere a cercare lavoro, se ne riaccende la motivazione. Le società che in Gran Bretagna svolgono questo incarico sono la A4e e la Ingeus, che dal governo hanno ottenuto l'appalto per riportare i disoccupati al lavoro. Circa un terzo delle persone che bussano alla loro porta soffrono di un qualche tipo di problema di salute mentale, anche se le società sospettano che la percentuale reale sia pari al doppio. Per individuare ed esaminare gli ostacoli comportamentali e mentali al lavoro, vengono somministrati dei questionari (la mancanza di lavoro, però, non viene considerata una valida motivazione).

Agli occhi delle società appaltatrici, la disoccupazione è davvero il «sintomo» di un malessere personale pill vasto, che si manifesta nell'inattività. La soluzione consiste in una serie di programmi di formazione, abbinati a corsi di «attivazione comportamentale», finalizzati a ristabilire l'autostima e l'efficienza del disoccupato. Come ha riferito un partecipante a un corso di A4e, un guru dell'autoaiuto gli gridò di «dire, respirare, mangiare, defecare fiducia in se stessi» e «credeteci, voi siete il risultato! » [15]

Ogni volta che l'economia della salute mentale diventa più esplicita, la distinzione tra la cura e la pena tende a sfumare. Nel 2007, l'economista Richard Layard ha sottolineato i risvolti economici della terapia cognitivo-comportamentale (Cbt), dimostrando che con essa lo stato avrebbe potuto ottenere grandi risparmi, data la brevità e l'apparente tasso di successo ottenuto dalla terapia nel riportare le persone al lavoro [16]. Si è trattato di un mezzo per la creazione di un programma finalizzato a incrementare l'accesso alla psicoterapia (Increasing Access to Psychological Therapies programme), che ha visto un drastico aumento dei terapeuti cognitivo-comportamentali formati e assunti dal Sistema sanitario nazionale inglese.

Tuttavia, con l'avvento dell'austerità, l'atteggiamento di benevolenza verso le cure che si realizzano tramite la parola è cambiato. Nel 2014, il governo ha annunciato il blocco dei pagamenti a coloro che, avendo richiesto l'indennità di inabilità, non frequentino sedute di terapia cognitivo-comportamentale. Le persone sono di fatto obbligate ad andare in terapia. Quando questa viene intrapresa solo sotto la minaccia di perdere 85 sterline a settimana, non è chiaro come ci si possa aspettare che «funzioni».

Sono stati reclutati dei medici anche per questo programma politico: per sbarrare ogni strada che permettesse di evitare il lavoro. Una relazione del governo inglese, pubblicata nel 2008, lamentava «la persistenza della falsità che la malattia sia incompatibile con il lavoro», che i medici erano colpevoli di diffondere [17]. E stata lanciata una campagna governativa per dissuadere i medici da questa condotta, e i certificati di malattia (che una volta venivano firmati dai medici per certificare che un individuo non dovesse lavorare) sono stati sostituiti dai «certificati di idoneità», con i quali si chiede ai medici di descrivere i modi in cui un individuo può ancora essere impiegato lavorativamente, nonostante la malattia o la disabilità. I medici, inoltre, sono stati incoraggiati a firmare la stesura di un progetto statale con il quale hanno dichiarato che lavorare è un bene per le persone.

Dal lato opposto del mercato del lavoro, le cose appaiono molto più positive ma, in un certo senso, non meno brutali. Mentre Atos, A4e e Ingeus sono alle prese con l'apparente indolenza e il pessimismo dei poveri, esclusivi consulenti del benessere ottengono grandi profitti insegnando ai dirigenti delle aziende i modi per mantenersi in una forma ottimale dal punto di vista psicosomatico. Lezioni come quelle del dottor Jim Loehr, «Corso per diventare un atleta aziendale» (4900 sterline per due giorni e mezzo), propongono ai dirigenti esclusive strategie di «investimento energetico», che li mettono in grado di raggiungere un benessere fisico e mentale tale da raggiungere alti livelli di prestazione. Il guru americano della produttività Tim Ferriss fornisce consulenze sui modi in cui gli alti dirigenti dovrebbero utilizzare il proprio cervello nel corso della giornata lavorativa, dopo aver fatto carriera vendendo dubbi integratori alimentari per il potenziamento del cervello.

l'imprenditore Tony Hsieh sostiene che le aziende business di maggior successo siano quelle che volutamente e strategicamente promuovono la felicità all'interno delle loro organizzazioni. Le aziende devono introdurre manager responsabili della felicità dei dipendenti, per assicurarsi che nessuno possa sfuggire alla felicità lavorativa. Ma, se questo suona come una ricetta per una comunità inclusiva, in realtà non lo è. Hsieh consiglia alle aziende di identificare il 10 per cento dei dipendenti meno entusiasti verso il programma di felicità, e di licenziarli. [18] Una volta fatto questo, il rimanente 90 per cento diventerà super impegnato [..]

Sarebbe perverso difendere il taylorismo, ma almeno la sua logica era chiara. I luoghi di lavoro e i manager esistevano per ottenere valore nel modo più efficiente possibile. Non ci si aspettava che i lavoratori gradissero questa sorta di libertà [..] Nella fabbrica taylorista i lavoratori mettevano all'opera le proprie capacità fisiche, che sicuramente venivano sfruttate, ma non si pretendeva da loro niente di più personale o intangibile. Fu questa la ragione per la quale i manager voltarono presto le spalle alla versione di management scientifico di Taylor.

Selye sosteneva che una società sana fosse costruita sull'altruismo egoista, in cui ogni individuo si mette all'opera facendo del suo meglio per guadagnarsi l'adorazione degli altri.

Da segnalare l'articolo di Davies sul sito del Guardian in merito al valore delle statistiche. Se le statistiche publiche, che sono uno dei pilastri del liberalismo e dei lumi, perdono credibilità e vengono depotenziate perché usate in modo strumentale a fini politici, e vengono sostituite dalle società private che si occupano di Big Data allora c'è un problema. [Sul tema ho già detto]

MP

Bibliografia

William Davies
- L'industria della felicità, tr. Chiara Melloni, Einaudi, Torino, 2016
- How statistics lost their power – and why we should fear what comes next , The Guardian, Thursday 19 January 2017; URL