Il reddito universale di base

Premesse

Al di fuori delle argomentazioni scientifiche non ritengo mi sia possibile convincere razionalmente chi, per ragioni emotive, sociali e culturali, ha un'opinione diversa dalla mia, e neppure ritengo sia opportuno provare a farlo. Analogamente siccome le ragioni emotive, sociali e culturali di chi non condivide la mia stessa situazione emotiva, sociale e culturale non sono in grado di modificare le mie opinioni vorrei che le mie convinzioni fossero rispettate nello stesso modo.

La distribuzione del sacrificio, che ciascuno ritiene accettabile per sé e per gli altri, è condizionata dalla psicologia individuale. Se non è legittimo determinare la distribuzione del sacrificio per nascita, attraverso la tradizione e l'autorità, si può dimostrare che non lo è neppure attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa.

L'idea di reddito universale di base, l'idea di uguaglianza, l'idea di libertà non sono argomentabili scientificamente. Ciascuno di noi ne ha una e sono frequentemente incompatibili.

Per costruire un reddito universale di base equo occorre stabilire una definizione convenzionale di uguaglianza con la quale operare. Il ché rende la cosa non del tutto scontata, per le note difficoltà di concepire un'idea di uguaglianza che non sia in sé stessa contraddittoria.

La premessa migliore per stabilire la natura dell'idea di uguaglianza mi sembra sia quella di partire dalla constatazione che gli uomini non sono uguali e non vogliono essere uguali. L'uguaglianza non è un diritto naturale. Almeno, non lo è nel senso di un diritto che viene all'uomo per natura, indipendentemente da ogni determinazione propria e degli altri uomini.

L'uguaglianza è un effetto dell'essere sociale ed è pensabile solo come risultato di un implicito contratto. L'uguaglianza è il reciproco riconoscimento delle condizioni alle quali nessun essere umano rinuncerebbe per sé stesso.

Il reddito universale di base è una misura relativa, che non spunta come i funghi e per poter essere determinato in modo corretto deve essere appoggiato ad altri valori, il più importante dei quali è il salario. Il salario, a sua volta, ha come riferimenti necessari il costo di riproduzione della forza lavoro e la produttività.

Il reddito di base è una misura che incide profondamente sulle relazioni economiche, richiedendo una serie di radicali trasformazioni del modello socioeconomico esistente. Per questo motivo non si può chiedere che venga accettato senza resistenze e quindi non si può imporre con la forza dei numeri, ma - ed è un ma radicale - non si può neppure imporre a chi lo desideri di attuarlo. Per questo motivo, che riguarda l'essenza stessa del contratto sociale, occorre disgiungere

Finanziamento del reddito di base

Il finanziamento del reddito di base può essere attuato attraverso l'imposta sul reddito, che a causa dello slittamento dei redditi da capitale verso imposte piatte è sostanzialmente imposta sul lavoro. Le imposte sull'utilizzo dei beni comuni. L'imposta patrimoniale, che è una variante della precedente. L'imposta sui consumi e sui benefici, secondo l'utilizzo dei beni comuni e il beneficio che si ricava dai servizi offerti dallo Stato o dalle agenzie politiche.

Inoltre

Effetti sull'aliquota marginale del reddito

[..] come si può procedere con cautela in direzione di un consistente reddito di base per tutta la popolazione in età lavorativa, senza alimentare timori sugli effetti di un aumento delle aliquote marginali dell'imposta sul reddito, nel verosimile caso in cui altre forme di finanziamento non possano fornire che un contributo marginale, almeno nel breve periodo, o sollevino problemi analoghi? Si noti che tali timori, come abbiamo spiegato nelle pagine precedenti, non derivano dalla libertà da obblighi del reddito di base né dalla sua universalità nel senso che esso viene in anticipo, ma dal suo essere allo stesso tempo rigorosamente individuale e universale, vale dire che può essere integrato da redditi provenienti da altre fonti. Questi timori attengono perciò a una consistente imposta negativa sul reddito non meno che al reddito di base individuale e possono essere affrontati attraverso tre strategie, che comportano altrettanti compromessi relativi all'individualità, all'universalità (nel senso indicato) e alla consistenza.

La prima opzione può essere meglio analizzata prendendo in considerazione gli schemi, attualmente in vigore, soggetti alla verifica della condizione economica. Dopo essersi resi conto deeli effetti trappola di tali sistemi, diversi paesi li hanno riformati in modo tale da consentire di combinare i sussidi con i redditi da lavoro senza che i beneficiari perdano da una parte ciò che guadagnano dall'altra. È questo il caso, per esempio, della riforma del regime francese di reddito minimo attuata nel 2009. Il RMI (revenu minimum d'insertion ovvero reddito minimo di inserimento), istituito nel 1988, ha lasciato il posto al RSA (revenu de solidarité active ovvero reddito di solidarietà attiva), che comporta una riduzione dell'aliquota fiscale marginale effettiva dal 100% al 38% [74]. La coerenza del sistema di imposte e trasferimenti richiede tuttavia che, a parità di reddito, un contribuente ordinario e un beneficiario di RSA non abbiano redditi netti diversi. Ciò sta gradualmente spingendo il sistema francese di reddito minimo in direzione di una più semplice e comprensibile imposta negativa sul reddito applicabile a tutte le famiglie, come è stato suggerito da due relazioni presentate al governo socialista rispettivamente da France Stratégie, l'Ufficio nazionale francese di pianificazione, e dal deputato socialista all'Assemblea Nazionale Christophe Sirugue [75].

Analogamente, nel novembre 2010 il governo conservatore del Regno Unito — recependo la raccomandazione del Centro per la Giustizia sociale, un gruppo di ricerca istituito dal ministro conservatore Ian Duncan-Smith — ha annunciato la graduale introduzione, a partire dal 2013, di un'imposta negativa sul reddito a base familiare denominata «credito universale», che sarebbe andata a regime nel 2017. L'obiettivo è quello di fondere diversi crediti d'imposta e trasferimenti di denaro (inclusa la Jobseeker's Allowance, lo schema di reddito minimo britannico) in un nuovo schema mirante a incentivare chi ha un reddito basso a entrare nel mercato del lavoro [76].

Una volta completata l'integrazione con il sistema fiscale, ciò che si ottiene è un regime di imposta negativa sul reddito basata sul nucleo familiare, limitato a coloro che lavorano o sono disposti a lavorare. Tuttavia, essendo in vigore gli incentivi finanziari al lavoro, questa condizione — cioè la disponibilità al lavoro, il cui monitoraggio è spesso intrusivo, costoso e inefficace — potrebbe essere probabilmente allentata. Il pagamento non sarebbe ancora effettuato in anticipo a tutte le famiglie, ma il profilo della distribuzione al netto di imposte e trasferimenti sarebbe identico a quello di un reddito di base familiare. Considerare la famiglia anziché l'individuo come unità impositiva permette di tenere conto delle economie di scala. Erogare ai membri di una coppia un reddito universale il cui importo pro capite risulta inferiore a quello erogato agli individui single permette di conseguire un certo livello di riduzione della povertà a un costo considerevolmente inferiore rispetto a un reddito di base individuale. Se si tiene conto che i regimi a reddito minimo esistenti sono generalmente basati sul nucleo familiare, è necessario un lieve incremento delle aliquote fiscali per sostituirle senza danneggiarne i beneficiari. Tuttavia, scegliere la famiglia come unità impositiva pertinente comporta una rinuncia alla semplicità e ad altri importanti vantaggi connessi alla natura individuale di un vero e proprio reddito di base [..].

Vale quindi la pena prendere in considerazione una seconda opzione: mantenere la natura strettamente individuale del reddito di base o del credito d'imposta rimborsabile (nel caso di imposta negativa sul reddito), ammettendo tuttavia un'aliquota di restituzione fiscale molto elevata sul sussidio individuale, ossia un profilo fiscale regressivo. Tale è, per esempio, l'opzione promossa da James Meade nella sua Agathotopia: una «sovraimposta» sullo scaglione inferiore del reddito di ciascuno [77]. Il presupposto sotteso è che, paradossalmente, è meglio per i poveri essere tassati con un'aliquota più elevata di quella dei ricchi, o almeno dei meno poveri. Più precisamente, se si desidera massimizzare in modo sostenibile il reddito più basso, il profilo fiscale deve essere regressivo rispetto alla fascia inferiore della distribuzione dei redditi da lavoro. Il ragionamento è abbastanza semplice [78]. Se si desidera raccogliere una grande quantità di imposte in modo sostenibile, è meglio tassare con un'aliquota elevata gli scaglioni di reddito densamente popolati — perché tutti i contribuenti hanno una parte del loro reddito in quello scaglione — ma nei quali pochi abbiano il loro reddito marginale. Non è l'aliquota fiscale applicata a questo scaglione che determina quanto la maggior parte delle persone guadagni o perda lavorando un poco di più o di meno. Questo ragionamento non esclude la possibilità di rendere progressivo l'intervallo più elevato del profilo fiscale, tassando gli scaglioni superiori a un'aliquota più alta di quelli inferiori, ma costituisce un presupposto che gioca decisamente a favore di un'aliquota fiscale elevata sugli scaglioni di reddito inferiori (si veda la fig. 6.2).

Rispetto a un profilo lineare, un profilo regressivo ha lo svantaggio di rendere meno agevole la ritenuta automatica alla fonte. Adottando la tassazione su base individuale, essa scoraggia la suddivisione dell'impiego all'interno del nucleo familiare: se lo scaglione inferiore è tassato più pesantemente di quello successivo, è più vantaggioso dal punto di vista economico che lavori una sola persona. Soprattutto, sottopone a un'esplicita aliquota di confisca un'ampia gamma di redditi bassi. E vero che, rispetto all'aliquota del 100% che i regimi basati sulla verifica della condizione economica implicitamente comportano, un'aliquota marginale del 75%, per esempio, risulterebbe meno dissuasiva; inoltre, se lo schema viene amministrato nella forma di un reddito di base pagato in anticipo, anziché di un credito d'imposta rimborsabile, la certezza di poter contare su un'entrata sicura contribuirebbe ulteriormente a rimuovere la trappola della disoccupazione [..]. Tuttavia, un regime fiscale fortemente regressivo permanente ed esplicito costituisce un grave limite di questa seconda opzione.

Reddito di base parziale

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C'è una terza opzione, cui va la nostra preferenza. Mantiene la semplicità di un reddito di base individuale ed evita l'inconveniente del profilo fiscale regressivo, ma istituisce, per il tempo necessario, quello che a volte è chiamato un reddito di base parziale, che non ha la pretesa di essere sufficiente per chi vive da solo. Tale proposta fu presa in seria considerazione dalla Commissione Meade sulla tassazione istituita in Gran Bretagna alla fine degli anni Settanta e venne presentata come un elemento centrale del miglior scenario futuro della protezione sociale in un rapporto pubblicato nel 1985 su commissione del governo olandese [..]. Se esso viene introdotto in un contesto in cui è in vigore uno schema di reddito minimo condizionato, il suo importo potrebbe essere fissato, per esempio, a metà del livello di reddito garantito a una coppia, e l'assistenza pubblica condizionata verrebbe mantenuta come compensazione qualora ciò fosse necessario per impedire che i suoi beneficiari ci rimettano, come nel caso dei nuclei familiari composti da un solo adulto [79]. Un vero e proprio reddito di base parziale assumerebbe la forma di un pagamento individuale anticipato erogato a ogni adulto, ma un credito d'imposta rimborsabile rigorosamente individuale già sarebbe un passo in questa direzione [80].

In quanto misura che potrebbe essere adottata da subito, un reddito di base parziale ha due vantaggi principali rispetto a uno pieno. In primo luogo, evita o almeno attenua considerevolmente il dilemma illustrato in precedenza tra il mantenimento di un'elevata aliquota di restituzione fiscale sui redditi bassi, e quindi di un'insidiosa trappola della povertà, e un forte aumento delle aliquote fiscali marginali su un un'ampia gamma di redditi, insieme alle ripercussioni in gran parte imprevedibili che ciò potrebbe provocare sul mercato del lavoro.

In secondo luogo, evita di creare un improvviso disordine nella distribuzione del reddito: data la sua natura strettamente individuale, un reddito di base «pieno» e il suo finanziamento migliorerebbero inevitabilmente la situazione delle persone adulte conviventi a spese di un peggioramento della situazione finanziaria dei nuclei familiari composti da un solo adulto. Questi due vantaggi si associano allo svantaggio per cui, affinché la situazione di alcune famiglie povere non peggiori in modo significativo, una sostanziale integrazione dovrà essere mantenuta sotto forma di assistenza pubblica condizionata.

Inutile dire che è importante che il reddito di base parziale sia abbastanza elevato da fare la differenza. La sua introduzione non comporta fare tabula rasa. Varie condizioni dovrebbero essere soddisfatte e verificate perché si possa percepire un sussidio a integrazione del reddito di base, ma di tali sussidi ci sarebbe molto meno bisogno, in parte perché il reddito di base parziale sostituirebbe tutti i benefici e le riduzioni fiscali di importo inferiore e in parte per effetto di una significativa riduzione della trappola della disoccupazione e forse anche del suo venir meno per le famiglie con più di un adulto. Continuerebbe a necessitare di un'integrazione al reddito parte delle persone che vivono da sole e che in genere hanno più bisogno di attenzione o di orientamento da parte degli operatori sociali rispetto a chi vive in famiglie più numerose. importante che l'importo del reddito di base parziale sia sufficientemente elevato non solo da consentire una significativa semplificazione del sistema dei sussidi, ma soprattutto da innescare le conseguenze emancipative illustrate nel capitolo 1. Perché ci sia un significativo incremento della libertà reale di accettare o rifiutare determinate occupazioni, non è necessario che il reddito incondizionato basti a vivere dignitosamente per tutta la vita, magari come single in un contesto urbano. Un reddito di base di gran lunga inferiore a tale importo consente comunque di accettare un'occupazione la cui retribuzione sia inferiore o più incerta, di ridurre l'orario di lavoro, di intraprendere un percorso di formazione o di istruzione o di dedicare più tempo alla ricerca del lavoro giusto; inoltre tutto questo risulterà ancora più facile per molte persone grazie a risparmi e condivisione di beni, prestiti e solidarietà informale.

In quest'ottica, i sostenitori del reddito di base non dovrebbero perdere troppo tempo a interrogarsi sulla questione dell'itnporto più adeguato. Cercare di passare in un colpo solo a un reddito di base, «pieno», per quanto precisamente definito, sarebbe comunque irresponsabile. C'è una differenza tra il pri- mo passo cla compiere, sul quale dobbiamo ottenere un ampio accordo alla luce delle sue probabili conseguenze, e il livello di reddito di base cui guardare come orizzonte ultimo, come utopia mobilitatrice, come obiettivo finale. Una rilevanza immediata di gran lunga maggiore della determinazione quantitativa di questo obiettivo finale riveste la questione di ciò che sarebbe soppresso o mantenuto quando fosse introdotto un reddito di base parziale. A seconda delle fonti di finanziamento e delle altre misure incluse nel pacchetto di riforme, un reddito di base di importo inferiore potrebbe migliorare notevolmente la situazione di chi versa in condizione di indigenza, mentre un reddito di importo più elevato potrebbe peggiorarla. Siamo convinti che in molti contesti questa terza opzione — un reddito di base parziale — costituisca la via più promet- tente lungo la quale procedere, con varianti da paese a paese a seconda della struttura e delle dimensioni di ciascun sistema di imposte e trasferimenti e dalle opportunità politiche (si veda il capitolo 7). Vorremmo ricordare le raccomandazioni espresse dai più precoci sostenitori accademici del reddito di base. Così G.D.H. Cole afferma:

Se si decidesse di istituire una politica di «dividendi sociali» pagabili di diritto a tutti i cittadini quali quote loro spettanti del patrimonio comune, a prescindere dalla retribuzione che essi ricevono per il loro lavoro, sarebbe senz'altro necessario iniziare su piccola scala — con pagamenti che non sconvolgessero improvvisamente l'intera struttura dei redditi derivanti dalle varie forme di servizio produttivo. Ma il sistema, una volta istituito, potrebbe essere esteso progressivamente [81]

James Meade si esprimeva in questi termini:

Si può partire con un dividendo sociale su scala molto moderata, utilizzando i fondi resi disponibili dall'abolizione delle esenzioni fiscali sulla persona nell'imposta sui redditi, dalla riduzione degli altri sussidi sociali e da qualche aumento moderato delle aliquote fiscali, integrate, a un certo punto, con un'imposta straordinaria sulla prima unità di tutti gli altri redditi. Se si intraprende il viaggio con un passo lieve, si può sperare, alla fine, di arrivare su posizioni agathotopiane senza fare sforzi eccessivi lungo il percorso [82]

In molti contesti, nemmeno il reddito di base parziale potrà essere il prossimo passo da compiere. Molti altri provvedimenti possono essere accolti come un significativo progresso nella giusta direzione: l'introduzione di un regime di reddito minimo condizionato nei paesi in cui non esiste, l'universalizzazione degli assegni per i figli e delle pensioni di base, la generalizzazione dei crediti d'imposta rimborsabili, lo sviluppo di prestazioni a sostegno di chi lavora in aggiunta ai benefici riservati ai disoc- cupati involontari, l'introduzione di sovvenzioni alla disoccupa- zione volontaria sotto forma di sussidi per l'interruzione della carriera o per la riduzione dell'orario di lavoro. Quante più di queste prestazioni saranno in vigore, tanto meno l'introduzione di un reddito di base risulterà un salto nel vuoto.

Questo approccio cauto e graduale basta a mitigare lo scetticismo che scaturisce dall'incertezza circa le conseguenze dell'introduzione di un reddito base? [83] Nella sua vigorosa critica della proposta di reddito di base, Jon Elster osserva che «lo stato delle scienze sociali è lontano anni luce dal permetterci di prevedere le conseguenze globali e a lungo termine sull'equilibrio economico dei grandi cambiamenti Istituzionali, mentre l'ingegneria sociale frammentaria, attraverso la pianificazione incrementale o il procedimento per prove ed errori ci permette solo di stimarne gli effetti locali, parziali, a breve termine o transitori» [84].

Condividiamo questa osservazione, la cui prima parte è stata da noi ripetutamente parafrasata nell'analisi degli esperimenti di reddito di base condotta nel capitolo precedente. Tuttavia, come Elster riconosce:

Una controargomentazione potrebbe funzionare come segue. Ci sarebbe poco da perdere applicando la proposta su piccola scala, a partire da un reddito garantito di importo modesto. Se si scopre che ha l'effetto previsto, si potrebbe aumentare il reddito garantito fino al punto, ammesso che vi sia, in cui un ulteriore incremento cominci ad avere effetti negativi [..]. In altre parole, se non c'è niente da perdere e probabilmente qualcosa da guadagnare, perché non dargli una possibilità? 85.

Questo è ciò che proponiamo. Se gli esperimenti non ci possono dire molto delle conseguenze di un salto verso un reddito di base incondizionato di importo consistente, cominciamo con un importo modesto. In fondo ciò che stato fatto nel caso degli altri due modelli di protezione sociale. I regimi di assistenza pubblica attualmente in vigore in alcuni paesi europei e persino in America settentrionale sono generosi rispetto a quelli introdotti per la prima volta nelle città fiamminghe all'inizio del Cinquecento e le odierne prestazioni di presidenza sociale per i pensionati («sicurezza sociale» nell'accezione statunitense) sono elevate rispetto al pionieristico sistema di pensioni di vecchiaia ideato da Bismarck (si veda il capitolo 3). Quest'ultimo non si preoccupò di selezionare un campione casuale di lavoratori per verificare se a causa del pagamento dei contributi previdenziali e della prospettiva di una pensione statale avrebbero lavorato o risparmiato meno rispetto a un gruppo di controllo. Invece, impose agli operai dell'industria di versare il 2% dei loro salari in un fondo, garantendo loro, se avessero versato contributi per almeno trent'anni, il diritto a una pensione d'importo non inferiore al 19% del loro salarioS6. Non degli esperimenti a campione, ma la sperimentazione in contesti reali, a partire da livelli modesti in intere municipalità (nel caso dell'assistenza pubblica) o in nazioni intere (nel caso della previdenza sociale) è ciò che ha generato la fiducia necessaria per procedere verso traguardi più ambiziosi.

Ciò potrebbe bastare a superare la titubanza di Elster? Non potrebbe. Data l'«abbondanza di proposte reali o potenziali egualmente plausibili», queste sperimentazioni nella vita reale «sono utili, anzi necessarie, se vi è un ampio consenso sulla validità dell'idea in questione; sono inutili se l'obiettivo è sem- plicemente quello di fornire input a qualche corrispettivo sociale della selezione naturale. La società non può sottoscrivere tutte le idee alle quali si appassionano gli entusiasti, proponendole come una panacea per i nostri problemi» [87]. L'obiezione a pro- cedere nel modo suggerito non è quindi di natura economica, bensì radicata nello scetticismo circa il potenziale sostegno politico che la proposta riscuoterebbe: «I presunti effetti sono

MP

Bibliografia

Philippe Van Parijs , Yannick Vanderborght
- Il reddito di base. Una proposta radicale, tr. Costanza Bertolotti, il Mulino, Bologna, 2017 [Basic Income. A Radical Proposal for a Free Society and a Sane Economy, Harvard University Press, 2017]
- Il reddito minimo universale, tr. Giovanni Tallarico, Università Bocconi, Egea, Milano, 2006 []