Oltre la secessione territoriale

Costanza Margiotta
L'ultimo diritto. Profili storici e teorici della secessione
il Mulino, Bologna, 2005

C'è qualcosa - uno spazio politico, giuridico, sociale - oltre il diritto alla secessione territoriale rivendicato con sempre maggiore frequenza dalle minoranze etniche?

Il saggio di Costanza Margiotta, che si chiude sull'ipotesi dell'esistenza di un ultimo diritto, quello di ciascun essere umano di poter scegliere con chi vivere e da chi essere governato senza essere costretto ad abbandonare la propria terra, sembra rispondere affermativamente alla domanda.

Se autodeterminazione, stato (e nazione), popolo (e nazione) si presentano come entità concettuali difficilmente separabili e, però, fra stato e popolo rimane sempre aperto uno spazio che impedisce l'affermazione piena della reciproca identità, allora si può dare ragione delle continue richieste di secessione, che sembrano mettere in discussione ciò che è dato per presupposto nell'autodeterminazione, ovvero la stabilità e l'unità del soggetto che esercita il relativo diritto. La secessione appare, quindi, la contraddizione maggiore per coloro che considerano popolo e stato come un tutto unico identitario, imponendo la tematizzazione della connotazione del soggetto che si autodetermina. Se, inoltre, dall'analisi dell'autodeterminazione come momento di definizione non tanto quantitativa dello spazio quanto qualitativa, o politica (che non prevede la previa determinazione dei confini) emerge quell'elemento di staticità insito nell'autodeterminazione che impedisce il sopravvenire di strumenti giuridici idonei a superare la fissità delle frontiere, allora la secessione, sintomo di tensione del confine e forma di dislocazione dei confini stessi, si presenta come elemento di dinamicità, imponendo la tematizzazione del problema della intangibilità dei confini all'interno dei quali il diritto di autodeterminazione può essere esercitato. Essa risulta, quindi, un elemento di crisi per la comunità internazionale perché mette in discussione quella stabilità e conservazione su cui essa ha posto le proprie fondamenta.

Alle potenzialità insite nel concetto di secessione che permettono di guardare ai limiti dell'autodeterminazione da una prospettiva internazionalistica, si accompagna, però, la stretta connessione fra secessione e stato, le rivendicazioni secessioniste rimangono pur sempre rivendicazioni dirette non ad estinguere lo stato ma alla costruzione di uno nuovo, e fra secessione e confini, che dimostrano ancora la loro costante rilevanza proprio attraverso le richieste secessioniste per il disegno di nuovi confini. La secessione quindi, non porta a rivolgimenti tali da obbligare a ripensare le categorie con cui siamo abituati ad analizzare lo stato e l'istituto del confine.

Sarà pur vero, come insegnava Kelsen, che l'umanità si divide in stati che sono tali «solo temporaneamente e niente affatto per sempre». Sta di fatto che oggi la comunità internazionale, chiamata a rispondere a crescenti domande di riconoscimento di nuovi stati, si trova a dover produrre nuove regole e nuove garanzie se intende tutelare la propria stabilità e la propria sicurezza. La crisi dello stato e della sovranità - che è al centro di un processo di reinterpretazione così profonda da indurre a interrogarsi sui suoi percorsi ed esiti - sarebbe dunque spiegabile, kelsenianamente, anche attraverso una sorta di determinismo storico derivante dall'inesistenza degli stati in natura. Parte delle cause di tale crisi sarebbero, però, da ricercare negli attuali meccanismi di dislocazione del potere, dei quali le spinte secessioniste non sarebbero che un'eloquente espressione. Ma questa espressione si manifesta essenzialmente attraverso la lotta per la sovranità. Sembra più esatto, quindi, parlare di crisi e disgregazione dello stato territoriale tradizionalmente inteso, della politicizzazione moderna del concetto di nazione e del collegamento di esso con lo stato in quanto apparato giuridico-territoriale: ma anche di crisi della concezione dello stato come organizzazione artificiale, strumento o macchina costruita dagli individui a tutela e garanzia dei propri diritti.

In questa dimensione si inserisce la secessione come pretesa di scegliere con chi vivere su un dato territorio: con la connessa esigenza di una spazialità esclusiva e di recupero di una qualificazione naturale dell'ordine politico *, comunque ben diversa dall'autodeterminazione, come pretesa di scegliere da chi essere governati e di non essere governati arbitrariamente. Che la sequela delle secessioni si limiti a regioni, a stati facenti parti di federazioni, a comunità ascrittivamente definite e così via, o arrivi fino a rivendicare la sovranità esclusiva sul pianerottolo di un edificio condominiale, il problema resta la pretesa di sovranità per decidere chi escludere, per decidere con chi non voler vivere.

Questo il pericolo che spinge a limitare la secessione — il diritto di scegliere con chi vivere — ai soli casi in cui si debbano proteggere i membri di una minoranza, riducendo al minimo il rischio di trasformarla in una maggioranza oppressiva. Limitare il diritto collettivo di secessione, che sottrae spazio al movimento, a favore di quello individuale di movimento, deriva anche dalla consapevolezza che a imporre di ripensare e a sfidare ogni tipo di statualità, di spazialità nazionale e di comunitarismo siano le forme individuali della secessione in quanto espressione di una certa «disinvoltura spaziale» *: il singolo riemerge sempre come irriducibile al gruppo, manifestando il suo rifiuto di appartenere in maniera esclusiva. Sono sempre le secessioni dei singoli in ultima istanza, più di quanto lo siano le loro espressioni collettive, la maggiore contraddizione per chi considera stato e popolo come un unico tutto identitario. A meno di non portare alle estreme conseguenze l'ultimo diritto, e ripensare dalle fondamenta la forma di organizzazione politica escogitata dalla modernità per misurarsi con lo spazio, lo stato.

Le trasformazioni in atto, conseguenze della globalizzazione e, in particolare, dello sviluppo tecnologico nella società globalizzata, richiedono un radicale ripensamento della forma Stato.

Dopo nascita dello Stato, in senso storico, la secessione viene usualmente intesa come formazione di nuovi confini territoriali. Secondo la regola che tutti gli individui presenti in un ambito territoriale sono soggetti ad un unico governo e ad una sola legge, quella dello Stato come entità territoriale.

Come nota Kelsen la forma Stato è un prodotto storico, che ha necessariamente un inizio ed una fine. I mutamenti prodotti dal restringimento del mondo ad opera della tecnologia hanno reso la forma Stato inefficiente e quindi instabile. È prevedibile che lo Stato come noi lo conosciamo sia destinato a scomparire in un tempo più o meno lungo.

C'è una possibilità che non è mai stata presa seriamente in considerazione la secessione come abolizione dei confini territoriali e la loro sostituzione con nuovi confini: ideologici, legislativi, sociali.

MP

Bibliografia

Costanza Margiotta
- L'ultimo diritto. Profili storici e teorici della secessione, il Mulino, Bologna, 2005
- Vizi e virtù della secessione. A proposito dell'articolo 59 del progetto di Costituzione europea, Ragion pratica, 1, 2004, pp. 257-272
- Secessione libera tutti, Limes, 3, 2007
- Quando la razza conta? Fra pratiche discriminatorie e trattamenti eguaglianti, Jura Gentium, 2006; URL