La riforma della previdenza sociale

Onorato Castellino
Il labirinto delle pensioni
il Mulino, 1976

Del testo del professor Castellino ritengo solo due concetti. Il primo riguarda le osservazioni al passaggio del sistema pensionistico da contributivo a retributivo con il conseguente aggancio della pensione all'importo delle ultime retribuzioni percepite. La seconda riguarda la proposta del CNEL di una pensione di base uguale per tutti, indipendente dalla contribuzione e finanziata attraverso la fiscalità generale, unita ad un sistema previdenziale professionale (con uno o pochi gestori) di tipo contributivo.

Devo trattenermi dal commentare. I miei giudizi sull'operato del Legislatore sarebbero troppo sarcastici. Non che quelli di Onorato Castellino già non lo siano a sufficienza.

Certamente non si può dire che il Legislatore non avesse gli strumenti conoscitivi per deliberare con criterio. Se, negli anni sessanta, avesse seguito le indicazioni del CNEL, il risparmio per lo Stato sarebbe tale da giustificare da solo il costo del mantenimento di un ente inutile, che oggi il Legislatore ha sì soppresso, ma solo virtualmente, dato che continua a costare sette milioni di euri all'anno senza produrre nulla.

La commisurazione della pensione
al reddito degli anni più recenti

Il criterio retributivo fu introdotto col DPR 27 aprile 1968, e riformato con la legge 30 aprile 1969.

L'originario carattere assicurativo del sistema previdenziale italiano, concretantesi nell'erogare pensioni che almeno in prima approssimazione rispettavano l'equivalenza demografico-finanziaria con i contributi versati, è dunque oggi radicalmente modificato per effetto di numerosi correttivi, egualitari gli uni, anti-egualitari gli altri.

Questi allontanamenti dall'equità attuariale, cioè queste redistribuzioni di reddito, possono ricondursi a due fondamentali obbiettivi del legislatore, consistenti il primo nel fornire a tutti i pensionati i mezzi di sussistenza, e il secondo nell'impedire che, anche di sopra al livello di sussistenza, il pensionamento comporti una sensibile riduzione del reddito sino a poco prima goduto.

Cominciando dal secondo obbiettivo, è interessante rilevare con quanta concordia esso sia stato non soltanto perseguito, ma altresi vantato come una storica conquista, dal Governo, dai partiti politici, dai sindacati dei lavoratori. L'introduzione nel regime generale — operata con le leggi 18 marzo 1968, n. 238 (completata dal DPR 27 aprile 1968, n. 488) e 30 aprile 1969, n. 153 [3] del criterio retributivo che appunto sancisce il collegamento tra la pensione e la retribuzione degli anni più recenti, è stata salutata da commenti quasi unanimemente positivi; le voci discordi pronunciavano semmai l'incitamento a fare di più e più presto. Nelle discussioni parlamentari che precedettero l'approvazione della legge del 1968 [4], il Governo ricordò più volte, in commissione e in aula, come il disegno di legge fosse stato formulato dopo lunghe e difficili consultazioni con le organizzazioni sindacali, le quali avevano posto, come pregiudiziale alle trattative, l'agganciamento delle pensioni alla retribuzione dell'ultimo triennio [5]. Secondo l'on. Storti, il provvedimento garantisce il collegamento della pensione al salario dell'ultimo triennio, che rappresenta una conquista definitiva per i lavoratori [6]. L'on. Lama, pur tra le critiche, menziona il positivo aspetto dell'agganciamento all 'ultima retribuzione gli fa eco l'on. Amendola, per il quale il provvedimento non è da respingere in blocco per qualche suo aspetto positivo, quale, ad esempio, l'aggancio delle pensioni alla media del salario dell'ultimo triennio. [8]

Anche la legge 30 aprile 1969, n. 153 - che confermò il principio retributivo, elevando anzi dal 65% al 74% (80% dal 10 gennaio 1976) la quota dell'ultima retribuzione spettante ai lavoratori con anzianità quarantennale - fu, come dice la relazione governativa, il vivo frutto della più ampia e costruttiva collaborazione fra il governo e le organizzazioni sindacali. [9]

Non il Parlamento, né il Governo e le organizzazioni sindacali sembrano avere intravisto quelle che, sotto il profilo dell'equità, sono le due grosse anomalie del criterio retributivo. In primo luogo, anche nell'ipotesi in cui le carriere individuali abbiano tutte (in termini di saggi di variazione nel tempo) la medesima dinamica, l'offerta di un cosí vantaggioso rapporto fra pensione e contributi favorisce in misura proporzionalmente maggiore i percettori di redditi più elevati. In secondo luogo, la commisurazione della pensione alla sola retribuzione del periodo più recente premia le carriere retributive più dinamiche (che normalmente coincidono con i livelli finali più elevati), con una ulteriore distorsione la cui importanza è stata più volte ricordata.

Le proposte del CNEL per una riforma strutturale

Sino dal 1963, le possibili innovazioni sono state esaminate e discusse in un'ampia Relazione preliminare sulla riforma della previdenza sociale che il prof. M. A. Coppini ha predisposto per il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Sulla base di questa Relazione, il Consiglio ha formulato le proprie Osservazioni e proposte sulla riforma della previdenza sociale (Roma, 1963). Se è vero che la legislazione italiana deriva spesso da improvvisazioni frettolose e non meditate, questi due documenti, destinati a illuminare le scelte del Parlamento, rappresentano una rara ed esemplare eccezione.

La Relazione preliminare imposta l'analisi della tutela per la vecchiaia, l'invalidità e i superstiti sulla alternativa tra un criterio professionale, che copra la sola popolazione attiva e i relativi nuclei familiari, e un criterio non professionale, che abbracci la generalità dei cittadini, con o senza limiti di reddito.

Questi due criteri possono anche coesistere, onde le soluzioni concrete su cui il CNEL ha concentrato l'attenzione sono sostanzialmente tre:

a) uno o più regimi professionali, finanziati (in misura prevalente se non esclusiva) da contributi commisurati ai redditi dei lavoratori;

b) un unico regime non professionale, finanziato da imposte;

c) un regime non professionale di base, finanziato da imposte, a cui si sovrappongono uno o più regimi professionali complementari, prevalentemente finanziati da contributi.

La soluzione (a) ha lo svantaggio di escludere dalla tutela zone di soggetti, i quali mancando di una qualifica professionale, ovvero non appartenendo alle famiglie di coloro che esercitano attività produttiva, possono egualmente trovarsi in situazione di bisogno ... [23] Inoltre, ogniqualvolta è in atto un sistema parziale di tutela dei rischi, si manifestano serie difficoltà di ordine pratico per evitare la costituzione di posizioni assicurative di comodo, attraverso le quali chi non è coperto dal sistema parziale cerca di inserirsi in esso allo scopo di ottenere le relative prestazioni (soprattutto quando è prevista l'erogazione di pensioni minime) [24]

Infine, la soluzione (a) presenta molti inconvenienti derivanti dal trasferimento dei singoli da una categoria ad un'altra [25]

Questi sono appunto, come si è visto nei paragrafi precedenti, i principali svantaggi dell'attuale ordinamento italiano, fondato su criteri professionali.

La soluzione (b) implica pensioni in misure fisse. Secondo la Relazione preliminare, queste pensioni, dovendo rappresentare un minimo vitale:

« potrebbero superare in molti casi lo stesso salario in un Paese nel quale la distribuzione dei redditi di lavoro è spesso al di sotto delle esigenze minime;

« implicano un'omogeneità di condizioni ambientali e familiari che in effetti non esiste (e, ove si tenesse conto della eterogeneità di condizioni, si eliminerebbe il vantaggio della semplificazione amministrativa) » 26

Inoltre, una pensione in misura uguale per tutti non soddisfa il naturale principio di proporzionalità tra prestazioni ed esigenze (consolidatesi, queste, nell'abitudine ad un determinato guadagno) » 27

Queste pensioni, infine, dovrebbero essere finanziate con imposte e non con contributi: e correttamente la Relazione preliminare ha ritenuto che si debba escludere, sia come indirizzo di ordine generale, sia come concreta valutazione delle possibilità esistenti in Italia in materia fiscale, una completa fiscalizzazione del sistema previdenziale 28

Il CNEL ha quindi espresso la sua preferenza per la soluzione (c):

« La tutela per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nella sua definitiva sistemazione, da realizzarsi con la necessaria gradualità, dovrà essere attuata per tutta la popolazione attraverso un regime nazionale di carattere non professionale.

« In tale regime la misura delle prestazioni dovrà essere uniforme, indipendente dalla situazione di reddito precedente e tale da garantire un minimo di sicurezza.

« In aggiunta al regime di cui al comma precedente, la tutela dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi dovrà essere realizzata attraverso regimi professionali che eroghino pensioni integrative proporzionali all'anzianità lavorativa e al reddito di lavoro ... » [29]

« Al finanziamento del regime di pensioni previsto per tutti i cittadini si dovrà provvedere attraverso il bilancio dello Stato.

Al finanziamento dei regimi professionali integrativi si dovrà provvedere attraverso contribuzioni di categoria proporzionali ai salari o ai redditi convenzionali. A tale finanziamento lo Stato dovrà concorrere per coprire una parte dell'aliquota contributiva dovuta dalle categorie nei periodi in cui queste si trovino in situazioni di difficoltà economiche » [30]

Il programma economico nazionale 1966-1970 ha accolto i principii suggeriti dal CNEL, e ha previsto (art. 84) « l'estensione progressiva a tutta la popolazione dei trattamenti assistenziali e previdenziali ed in particolare delle prestazioni per invalidità, vecchiaia e superstiti ». Ribadisce l'art. 88:

« L'intervento di più importante rilievo sociale appare quello relativo alla tutela dell'invalidità, vecchiaia e superstiti nei confronti del quale l'obiettivo fondamentale di lungo periodo è costituito dalla erogazione di una pensione base per tutti i cittadini finanziata dal sistema fiscale.

« Tale pensione potrà essere integrata attraverso forme di previdenza categoriale che potranno essere liberamente trattate e definite tra le singole categorie economiche o gruppi di categorie ».

Fino ad oggi, tuttavia, l'unica attuazione concreta dei principii suggeriti dal CNEL e recepiti dal programma economico 1966-1970 è rappresentata dalla pensione sociale [31]. primo e per ora solo trattamento di vecchiaia erogato assenza di requisiti professionali. Ma la tutela goduta da chi possiede questi requisiti essendo ancora assai superiore a quella offerta ai cittadini in quanto tali, permangono le distorsioni segnalate nei precedenti paragrafi

Alcune osservazioni sui nodi cruciali della riforma

A dodici anni di distanza, riprendendo con alcune modificazioni i suggerimenti del CNEL, riteniamo ancora che il sistema previdenziale italiano debba porsi come obbiettivo di lungo periodo un regime di base non professionale e uno o più (ma in ogni caso pochi!) regimi complementari professionali. Tale combinazione di regimi è infatti l'unica che permetta di raggiungere simultaneamente una tutela minima indipendente dai contributi versati e un sistema di corretti incentivi al versamento dei contributi, e prima ancora alla sincera dichiarazione delle attività di lavoro, senza premiare le due opposte finzioni della costituzione di posizioni lavorative di comodo e dell'occultamento di posizioni lavorative reali.

Non il CNEL né il programma economico nazionale 1966-1970 hanno definito in precisi termini quantitativi le modalità del regime composito indicato come obbiettivo finale. Le età di pensionamento, la misura della pensione base in rapporto al reddito medio pro capite o al reddito medio di lavoro, le regole di computo della pensione supplementare, e altre analoghe grandezze sono demandate, nelle proposte del CNEL e nelle formulazioni di principio del programma economico, al giudizio del legislatore; né si tratta di decisioni da prendere una volta per tutte, essendo quelle grandezze suscettibili di modificazione periodica se non addirittura automatica.

Osservazione sulla prova dei mezzi.

Eventuale subordinazione della pensione base a una «prova dei mezzi». La pensione base è per sua natura cumulabile con le pensioni integrative dei regimi professionali; ragioni di equità e di opportunità (queste ultime intese a non favorire l'occultamento delle attività svolte dai pensionati) inducono ad ammetterne il cumulo anche con i redditi di lavoro. Resta quindi da domandarsi se, per ricevere la pensione base, l'interessato debba dimostrare di non godere di redditi di capitale superiori a determinati limiti. Ma poiché molti redditi di capitale sono facilmente occultabili (e perciò normalmente esclusi dalla tassazione al nome del percipiente, come avviene per gli interessi bancari e obbligazionari), mentre per quelli derivanti da proprietà nominative azionarie e immobiliari già sussistono poderosi incentivi, connessi con l'imposta di successione, alla anticipata intestazione agli eredi, è da presumere che una prova dei mezzi, anche ove si prescinda dai suoi effetti negativi sulla propensione al risparmio, escluderebbe dal godimento della pensione sociale una frazione assai esigua di anziani. È quindi probabile che l'equità redistributiva sia più efficacemente tutelata rinunziando alla prova dei mezzi e destinando le risorse che ne sarebbero assorbite a una più efficace azione contro le evasioni tributarie.

In sesto luogo, poco o nulla si è detto delle commistioni fra il sistema previdenziale e il sistema tributario, fra la parafiscalità e la fiscalità vera e propria. Innanzitutto, le gravi lacune dell'accertamento tributario impediscono di conoscere con sufficiente esattezza i redditi medi di alcune categorie, soprattutto nell'ambito del lavoro autonomo, e quindi di dirimere sulla scorta di dati obiettivi importanti questioni, quali quella del rapporto che intercorre fra i redditi medi dei commercianti, degli artigiani e degli operai dell'industria. Le medesime lacune impediscono poi di pensare seriamente a diffuse applicazioni della prova dei mezzi e anzi ci hanno indotto a proporre che, nella futura riforma, la pensione di base sia erogata indistintamente a tutti i cittadini, ciò che implicherebbe l'eliminazione dell'unica prova dei mezzi oggi prevista, quella che presiede all'attribuzione della pensione sociale. Infine, l'inefficienza dell'accertamento dei tributi diretti suggerisce grande cautela di fronte a ogni sensibile espansione della quota di oneri previdenziali addossata all'erario, derivi essa dai meccanismi insiti nell'at-tuale sistema o da un forte aumento, rispetto ai livelli da noi proposti (24% del reddito medio dell'operaio industriale), della pensione base del sistema riformato. È superfluo aggiungere che l'autore auspica un rapido miglioramento dell'efficienza degli accertamenti delle imposte dirette e pertanto dei loro effetti redistributivi. Ma fino a che questo miglioramento non sia certo e attuale, è bene ricordare a tutte lettere che un sensibile aumento degli oneri previdenziali sostenuti dallo Stato dovrebbe trovare contropartita in corrispondenti aumenti delle imposte indirette o del deficit statale.

Da ultimo, è doveroso sottolineare che tutta l'analisi di questo libro poggia sull'ipotesi della completa traslazione dei contributi, siano essi dalla legge definiti a carico del lavoratore o a carico del datore di lavoro, sul reddito del primo. Senza riformulare le conclusioni analitiche, ciò che ci porterebbe troppo lontano, è agevole indicare come si modificherebbero le proposte operative, se quella ipotesi fosse sostituita dall'ipotesi di traslazione, almeno parziale, sui prezzi eo sui profitti nel settore privato, e sui contribuenti nel settore della pubblica amministrazione.

Se si ammette, infatti, che l'avere pagato pochissimi, pochi, molti o moltissimi contributi non è più (o non è più per intero) un merito del lavoratore, ne discende che le discriminazioni fondate sulla storia contributiva dei singoli sono ancora meno giustificate, sotto il profilo redistributivo, di quanto non emerga dalla trattazione che precede. Ancora più persuasiva, quindi, deve apparire la proposta di una pensione base uniforme per tutti i cittadini, cosí come ancora più imperioso deve sentirsi il dovere di porre fine alle norme che, commisurando la pensione all'ultima retribuzione, sostanzialmente premiano i precedenti contributivi in misura proporzionalmente (oltre che assolutamente) crescente al crescete del loro importo. [62]

Molte altre cose dovrebbero essere dette del nostro sistema previdenziale, molte altre ricerche compiute, molti altri aspetti approfonditi. Questo libro è stato scritto per offrire ai colleghi economisti, ai reggitori della cosa pubblica, ai rappresentanti sindacali e a ogni cittadino una prima analisi sistematica del complesso meccanismo che ogni anno distribuisce trattamenti di pensione complessivamente aggirantisi intorno al 10 per cento del reddito nazionale lordo. Sono anche state esposte quelle che paiono le più ragionevoli linee di riforma, nella speranza che intorno a esse possa sorgere, se non un generale consenso, almeno un'ampia discussione.

Concludendo il famoso « piano Beveridge », il suo autore scriveva:

La libertà dal bisogno non può essere imposta o elargita a una società democratica; deve essere conquistata. Questa conquista richiede coraggio, fiducia e senso dell'unità nazionale: coraggio per affrontare le difficoltà concrete, e superarle; fiducia nel futuro e negli ideali di uguaglianza e di libertà per i quali, nel corso dei secoli, i nostri padri furono pronti a morire; e un senso dell'unità nazionale che tenga a freno gli interessi di singoli ceti o settori [63]

Ci piace chiudere queste pagine con le parole di Lord Beveridge, auspicando che il loro riferimento alla situazione italiana di oggi possa dirsi dettato da coraggioso ottimismo, ma non da insensata utopia.

Tutti sappiamo come è andata.

MP

Bibliografia

Onorato Castellino
- Il labirinto delle pensioni, il Mulino, Bologna, 1976
CNEL
- Relazione preliminare sulla riforma della previdenza sociale, Roma, 1963
- Osservazioni e proposte sulla riforma della previdenza sociale, Roma, 1963; URL