Labirinti giuridici del welfare

Prendo spunto dall'articolo di Guido Canavesi, Percorsi del welfare tra interesse pubblico e libertà reperibile integralmente sul sito dell'associazione Adapt, che trascrivo per comodità del lettore nelle parti essenziali al ragionamento che intendo proporre.

7. Riprendendo il “paradigma” evocato nell’intervento di Erik Longo, molteplici e note, anche prima del 2009, possono dirsi le “catene causa-effetto- causa” alla base della crisi del sistema di welfare italiano. Tra queste, tuttavia, in ambito previdenziale e sul piano giuridico una appare di particolare importanza: si tratta della configurazione della pensione “retributiva”, cioè commisurata a una certa media dell’ammontare degli ultimi redditi professionali (corsivo mio, nda) come prestazione che non è stata resa proporzionale né tanto meno corrispettiva ai contributi, ma è stata adeguata allo stato di bisogno 41. In questa affermazione si annida un errore concettuale.

Ho evidenziato altrove come, nel caso del referendum, le gravi carenze logico-matematiche che hanno afflitto l'Assemblea Costituente affliggano tuttora, in buona o cattiva fede lo lascio giudicare al lettore, il Legislatore italiano nonostante eminenti giuristi abbiano fatto rilevare la presenza di un errore materiale nella formulazione del quorum.

Identica situazione sembra essersi ripetuta nella legislazione relativa ai trattamenti previdenziali obbligatori. Alcuni errori logici, già presenti in embrione nella Costituzione, che istituisce un contrasto tra principio di uguaglianza e diritti dei lavoratori, hanno generato una legislazione ed una giurisprudenza matematicamente insostenibili dal punto di vista economico e sostanzialmente contrarie all'art. 3 Cost.

Nel caso delle sentenze della Consulta l'errore concettuale è bene evidenziato dal Canavesi in queste due citazioni.

Il fatto è che essa identifica lo “stato di bisogno”, con (la conservazione de) il “tenore di vita”, a sua volta fatto coincidere con l’oggetto della garanzia costituzionale. E, invero, mezzi adeguati alle esigenze di vita da assicurare non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali ma anche quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito e alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per effetto dell’attività lavorativa svolta, con conseguente possibile determinazione di prestazioni previdenziali quantitativamente diversificate 42. Cosicché, nel sistema di liquidazione delle pensioni retributive, che prescinde dall’ammontare delle contribuzioni accreditate sul conto individuale e consente l’attribuzione di pensioni molto più elevate, ragguagliandole al trattamento economico goduto dal lavoratore nel periodo in cui ha percepito le maggiori retribuzioni (corsivo mio, nda), si è scorto il segno evidente di un sistema di solidarietà sociale, con concorso finanziario dello Stato, nel cui ambito i contributi servono per il conseguimento di finalità che trascendono gli interessi dei singoli 43.

Il Giudice costituzionale, anche qui lascio al lettore giudicare se in buona o cattiva fede, ha inteso tutelare le classi sociali che già godevano di un trattamento economico e lavorativo privilegiato, ponendo di fatto il costo del mantenimento della distinzione fondata sul ceto sociale (il più elevato tenore di vita anche successivamente al pensionamento) a carico delle classi lavoratrici meno favorite. È utile ricordare a questo proposito le statistiche di mortalità dei lavoratori in relazione al lavoro svolto.

Ora, che questo non possa essere l’interesse pubblico tutelato dalla previdenza obbligatoria è forse intuitivamente comprensibile già solo a considerare che così si promette di più a chi più già ha. La cosa, peraltro, era chiara fin dalla prima elaborazione della teorica della sicurezza sociale 44. Ed è forse questo l’aspetto su cui più si consuma il distacco dalla ricostruzione di Mattia Persiani e si giustifica il disconoscimento di paternità che questi fa del sistema previdenziale nella sua concreta configurazione. A più riprese, infatti, l’Autore ha ribadito che la pensione retributiva «non garantiva mezzi adeguati alle esigenze di vita […], ma, se mai, il mantenimento del tenore di vita raggiunto durante lo svolgimento dell’attività lavorativa», ciò che, tuttavia, è da considerare interesse meramente privato 45. E imputa tale evoluzione alle pressioni corporative, e anzi lobbistiche, ovvero alla mancanza di scelte politiche precise 46.

L'errore, nella formulazione della decisioni della Consulta, è tanto più grave in quanto già evidenziato dagli studiosi della materia, le cui osservazioni non potevano essere ignorate dai giudici costituzionali. Si ripropone qui una situazione analoga a quella che si è determinata in relazione alla legislazione sull'amianto, la cui pericolosità era ben nota da decenni prima che il Legislatore vi ponesse mano. Il sospetto che, in entrambi i casi, abbiano agito pressioni lobbystiche, se non vere e proprie azioni corruttive, è quindi fondato.

Né può ritenersi che tali aporie siano superate solo perché l’ultima riforma pensionistica ha sancito il definitivo superamento del sistema di calcolo retributivo (art. 24, co. 2, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. l. 15 luglio 2011, n. 111). Si tratta, infatti, di superamento di principio, ché la regola continuerà a operare ancora a lungo, cioè fintanto che vi saranno pensionati con pensioni anche solo in parte retributive. Così come continueranno a prodursi ancora a lungo gli effetti “iniqui” della sua applicazione.
In effetti, alla dottrina più avvertita 47 non è sfuggito il distacco funzionale dalle finalità costituzionali e il tratto di non equità che tale regola si presta a produrre nel sistema. Un tratto aggravato anche da ciò che, essendo la gestione delle risorse a ripartizione, il finanziamento delle pensioni in essere grava sui lavoratori attivi, dando, o quanto meno potendo dare, luogo a fenomeni di ridistribuzione delle risorse a danno dei soggetti meno abbienti.

Ma ciò che è più grave è che il Legislatore italiano, nel tentativo di porre rimedio alle imbarazzanti situazioni da Lui stesso create, vuoi con la legislazione previdenziale ovvero con la mancata legificazione sull'amianto, ha prodotto leggi altrettanto inique, che non tengono in alcun conto il fondamentale principio di uguaglianza recepito nell'art. 3 Cost.

Lo Stato non può prendersi carico del mantenimento della distinzione sociale a tutti i costi, pena l'insostenibilità giuridica e ed economica del sistema. Occorre separare la previdenza garantita dallo Stato da quella soltanto tutelata dalla legge. Di questo ho già accennato alla pagina Equità e sostenibilità dei sistemi pensionistici.

MP

Bibliografia

Guido Canavesi
- Percorsi del welfare tra interesse pubblico e libertà. Un tentativo di lettura con l’occhio alla previdenza e all’assistenza sociale, in Dialoghi sul welfare. Intorno al volume La sfida del cambiamento, A cura di Guido Canavesi, Quaderni della Sussidiarietà, 2015 [Adapt, online, mercoledì 1 aprile 2015]
Mattia Persiani
- Il sistema giuridico della previdenza sociale, Cedam, Padova, 1960 (2010 rist.)