Globalizzazione e immigrazione

Herman Daly
Oltre la crescita. L'economia dello sviluppo sostenibile
Edizioni di Comunità,, Torino, 2001

Sebbene sia riferito alla situazione degli Stati Uniti negli anni novanta del secolo scorso, questo brano, estratto dalla traduzione di Beyond Growth. The Economics of Sustainable Development di Herman Day (1996), esprime, in modo sintetico, ma chiaro e compiuto, la maggior parte delle obiezioni possibili - dal punto di vista del proletariato - alla libera mobilità della forza lavoro nell'epoca della globalizzazione.

Negli Stati Uniti di oggi la disgregazione della comunità nazionale viene portata anche oltre; l'immigrazione illegale, insieme alle politiche per l'immigrazione legale e l'asilo politico più generose del mondo, fanno si che i posti di lavoro interni vengano coperti da lavoratori poveri stranieri; e ciò va ad aggiungersi agli effetti dell'esportazione di posti di lavoro all'estero verso i lavoratori poveri dovuta, in conseguenza del libero scambio, alla migrazione dei capitali 13.

I cittadini delle classi lavoratrici, ormai abituati a vedere i loro salari reali abbassarsi per effetto della concorrenza 14, devono anche abituarsi a un aumento delle tasse necessario perché possano venir forniti servizi pubblici agli immigrati legali e illegali, cosi come a un aumento delle garanzie sui prestiti volte a proteggere valute straniere e gli interessi di Wall Street denominati in tali valute 15.

I cittadini più disagiati che attualmente dipendono dai sussidi dello stato sociale vedono ridursi le probabilità di trovare lavoro poiché gli immigrati illegali esercitano una forte concorrenza. Il nostro governo, sempre sensibile agli interessi dei datori di lavoro, ha fatto ben poco per controllare i confini, ed è arrivato a sostenere che gli immigrati illegali sono portatori di benefici per la collettività perché contribuiscono, sotto forma di tasse, più di quanto ricevano in servizi sociali e beni pubblici. E possibile sollevare dubbi sulla veridicità di tale affermazione; ma in ogni caso essa è fuori luogo perché, in assenza di immigrati illegali, il posto di lavoro o l'opportunità imprenditoriale sarebbero stati presumibilmente a disposizione di un cittadino precedentemente dipendente da sussidi di disoccupazione, che avrebbe cosi smesso di gravare sui conti pubblici e sarebbe divenuto un contribuente 16.

La logica del libero scambio, una volta erroneamente estesa alla libera mobilità dei capitali, viene automaticamente estesa, per coerenza, anche alla libera mobilità del lavoro, che equivale a libera immigrazione. Se davvero facciamo parte di un'economia globale, perché no? Se né il capitale né i governi a esso asserviti hanno verso i propri cittadini obblighi maggiori rispetto a quelli che hanno verso gli stranieri, allora certamente l'immigrazione dovrebbe essere libera. La libera circolazione di beni, capitali e forza lavoro è la logica conseguenza dell'integrazione economica globale. Non è sicuramente ciò che Ricardo e Smith avevano in mente quando parlavano di libero scambio, ma è il programma, esplicito o implicito, degli attuali fautori della globalizzazione. Non è di alcun beneficio per la comunità nazionale, al contrario la distrugge. Né contribuisce a creare una comunità internazionale.

Un ex commissario per l'agricoltura del Texas, Jim Hightower, ha avanzato il seguente suggerimento: «Manteniamo qui le nostre fabbriche e le nostre fattorie, e spostiamo gli uffici direttivi in Messico, in Corea, od ovunque si possano trovare funzionari e dirigenti a un prezzo ragionevole». O potremmo forse autorizzare l'ingresso di funzionari e dirigenti a più basso costo insieme con la manodopera comune. E poco probabile che accada. E più probabile che si assisterà a una progressiva destituzione della classe lavoratrice del nostro paese, a un crescente disprezzo verso la popolazione meno istruita e rurale da parte delle élite imprenditoriali e universitarie, e a una crescente devozione di tale popolazione verso l'unica loro cosa che vagamente preoccupa le élite il loro crescente arsenale di armi da fuoco.

In questo paese è considerato scorretto parlare degli interessi politici a mantenere basso il costo del lavoro, o dell'uso che la classe imprenditoriale fa del libero scambio e del mancato rispetto delle leggi sull'immigrazione quali strumenti per promuovere bassi salari e profitti più alti. Gli intellettuali liberali, che si poteva sperare svelassero la mistificazione, si sono invece schierati a favore del libero scambio e dell'immigrazione facile adottando cosi una strategia che gli permette di mostrarsi generosi a spese di qualcun altro, e di mostrare una volta ancora a se stessi di non essere razzisti e nemmeno nazionalisti. E gli economisti li rassicurano che la crescita economica porterà comunque benessere a tutti, e qualunque sia il costo temporaneo che potrà ricadere sulla classe lavoratrice esso è, in fondo, un piccolo prezzo che "tutti noi" paghiamo per la gratificante illusione di aiutare i popoli che stanno morendo di fame oltre oceano.

Mi sembra abbastanza evidente che, in termini generali, l'immigrazione favorisce i datori di lavoro e penalizza i lavoratori a più basso reddito e i disoccupati. Consente, almeno nell'immediato, ai ceti medi, che altrimenti non avrebbero potuto permetterselo, di avere la cameriera o la badante ed agli imprenditori agricoli e manifatturieri di avere manodopera a basso costo. Ho detto nell'immediato poiché nel lungo periodo, quando l'immigrazione sia stata assimilata, gli effetti possono essere opposti.

MP

Bibliografia

Herman E. Daly
- Oltre la crescita. L'economia dello sviluppo sostenibile, tr. Silvana Dalmazzone e Giovanna Garrone, Edizioni di Comunità,, Torino, 2001