Nella tela del ragno

Nella tela del ragno di Romano Benini mi sembra un libro confuso e sconclusionato, dal quale mi sembra difficile ricavare qualcosa di utile per creare lavoro in Italia.

Ad esempio, non mi sembrano pertinenti gli esempi portati dall'autore per spiegare le cause del declino della classe imprenditoriale italiana. La logica della rendita è una caratteristica ancestrale del capitalismo italiano. Nulla di nuovo sotto il sole. Quindi non deve stupire che in una logica di mercato la diversificazione del capitale porti ad investimenti di pura rendita qualora se ne presenti l'occasione. E l'occasione in Italia si è presentata negli anni novanta con la privatizzazione dell'IRI fortemente voluta dal centrosinistra.

La contaminazione della logica della rendita e del vantaggio di posizione ha determinato e condizionato negli ultimi vent'anni italiani molte delle scelte dei principali protagonisti dell'economia nazionale [..] È diventato un caso di scuola l'eclatante esempio dell'accaparramento di alcune importanti rendite pubbliche da parte di aziende del Made in Italy che, distraendo in questo modo tempo e denaro rispetto al confronto sul mercato con i principali competitori, hanno perso posizioni sul loro mercato e contribuito all'espansione della concorrenza.
La vicenda della liberalizzazione delle aziende pubbliche, fortemente voluta dal centrosinistra, è stata oggetto di inchieste e di un acceso dibattito. La discussione riguarda sia il basso costo con cui aziende floride sono state vendute che la concessione ai privati di spazi di iniziativa economicamente fuori dal mercato e in condizione di determinare una rendita per i gruppi imprenditoriali, fortemente legati ai partiti, a cui sono stati venduti. Più che liberalizzazioni sono state privatizzazioni. Alcuni parlano in quegli anni di svendite di Stato.

Segue il riferimento esplicito all'acquisizione della società autostrade da parte della famiglia Benetton.

Le autostrade italiane hanno un fatturato di svariati miliardi di euro e producono un utile netto tra i seicento milioni e il miliardo di euro. La famiglia Benetton si impegna a fondo nell'operazione, investe in modo adeguato e a fine anni novanta la società Atlantia controllata dalla famiglia acquisisce le autostrade italiane.

Stabilendo un confronto tra il diminuito impegno dei Benetton nell'industria tessile e l'ascesa del sarto galiziano Amancio Ortega, proprietario dei marchi Zara, Massimo Dutti e Stradivarius.

che propongono uno stile a basso costo, alla portata di tutti, con una varietà di prodotti e un magazzino molto più consistente, vario e organizzato di quello degli sfavillanti imprenditori italiani.

Tra le righe Benini propone come esempio da seguire un modello imprenditoriale che fa del plagio, dei materiali di bassa qualità e di un basso costo del lavoro i suoi punti di forza, per ottenere una produzione appariscente ed a basso costo in grado di fare concorrenza ad una produzione di buona qualità fondata essenzialmente sull'invenzione stilistica.

Ciò che ha determinato la fine dello stile Benetton è il declino economico della media borghesia e le scelte operate dalla famiglia Benetton hanno semplicemente anticipato l'evoluzione del mercato, mostrando una volta di più le loro grandi doti imprenditoriali.

I Centri per l'impiego

La seconda parte del volume è dedicata ai fatiscenti servizi per l'impiego italiani.

I servizi per l'impiego in Italia non funzionano: in genere è vero, è proprio così. [..] Come è possibile promuovere l'incontro tra domanda e offerta se non ci sono addetti ai servizi alle imprese e gli incentivi vanno solo all'azienda e non a chi intermedia? [..] I servizi non funzionano, le politiche attive e la formazione servono a poco, magari solo agli enti che gestiscono questi costosi interventi.

La diagnosi è condivisibile. In Italia l'intervento publico nel mercato del lavoro non è mai uscito dal clientelismo al servizio della politica. I Centri per l'impiego che hanno sostituito i famigerati Uffici di collocamento non sono mai riusciti a svolgere il loro compito istituzionale liberandosi dai condizionamenti politici.

In queste condizioni la ricetta proposta nel libro, aumentare la spesa per il mantenimento dei Centri per l'impiego, dei quali l'autore è un attivo sostenitore, a scapito della riduzione dell'imposizione fiscale o dei finanziamenti diretti alle imprese, appare paradossale.

Questo è il modello europeo, in cui il paese con il migliore mercato del lavoro destina in 60% degli incentivi per il lavoro non all'impresa, ma ai servizi che l'impresa ha utilzzato per preparare e individuare il lavoratore adatto.

Ma la perorazione a favore dell'intermediazione publica nel mercato del lavoro nasconde un jolly per mezzo del quale lo Stato si rivela essere in grado di ricattare il lavoratore disoccupato offrendogli un reddito condizionato all'accettazione di un lavoro.

1) garanzia nazionale del diritto al servizio sul mercato del lavoro e della condizionalità;
2) esigibilità del sussidio di disoccupazione condizionato presso i servizi per l'impiego, che erogano il sussidio sulla base della effettiva attivazione del disoccupato, attraverso un sistema nazionale diffuso e organizzato in modo capillare sul territorio;
3) presa in carico del disoccupato da parte del servizio per l'impiego, che realizza l'intervento o invia presso servizi specializzati anche privati per l'attivazione, in una logica di complementarietò tra pubblico e privato.

Se il disoccupato accetta il lavoro non è più disoccupato e quindi non ha più diritto al reddito, che sarebbe lessicalmente più corretto chiamare sussidio. Se non accetta il lavoro ugualmente non ha più diritto al sussidio. Solo nel caso in cui il mercato non sia in grado di offrire un qualsiasi lavoro, cioè quasi mai, allora lo Stato erogherà un sussidio.

Come si vede il ragionamento esprime una contraddizione. Il sussidio è stato concepito per non essere mai erogato. Se ciò accade è perché si è determinato uno stato di eccezione sul quale solo un impiegato publico ha potere di decisione, e cioè, in Italia lo decide l'appartenenza ad una clientela politica.

Ecco allora come dovrebbe funzionare nella migliore delle ipotesi il modello di welfare post-tacheriano proposto nel libro. È un principio universale che ogni persona, ogni essere umano, abbia diritto alla conservazione della propria vita. Non ci sono dubbi.

L'universalità è il principio in base al quale gli interventi destinati al sostegno a chi cerca lavoro debbano costituire dei diritti della persona.

Allora tutti hanno diritto ad un reddito? No, risponde Benini riscrivendo i principi del diritto naturale, tutti hanno diritto ad accedere ai servizi dei Centri per l'impiego. Ma non finisce qui.

Al principio dell'universalità si aggiunge un'ulteriore regola aurea [..]: la condizionalità. All'estero chiunque perda o cerchi lavoro ha diritto a un'indennità che è tuttavia condizionata dalla necessaria partecipazione per il disoccupato a interventi di attivazione al lavoro gestiti dai servizi per l'impiego. Il principio non è tanto quello che per attribuire il diritto al sussidio devi partecipare a un'iniziativa, quanto semmai il contrario: se perdi il lavoro o lo cerchi hai diritto a partecipare a un'iniziativa per avere un lavoro e questa tua partecipazione ti permette di avere un rimborso delle spese di questo tuo impiego, nella forma del sussidio.

Naturalmente, si potrebbe obiettare, se è un diritto universale come afferma Benini, l'attivazione, ovvero la partecipazione alle attività dei Centri per l'impiego, si configura già come un lavoro, o almeno così dovrebbe essere intesa e, di conseguenza, non dovrebbe dare diritto soltanto ad un'elemosina in forma di rimborso delle spese, ma ad un vero e proprio salario completo di contribuzione previdenziale. Ma, nel modello inglese, l'attivazione non è solo un diritto è anche un obbligo.

Al disoccupato conviene attivarsi, altrimenti perde l'indennità, allo Stato conviene attivare il disoccupato e fargli avere un nuovo lavoro, così smette di erogare l'indennità e risparmia. Il sistema più efficiente per l'attivazione al lavoro è quello inglese, che vede impegnato un servizio capillare con più di centomila operatori che seguono il reimpiego dei disoccupati, la rete pubblica dei jobcenter plus. Il Regno Unito ha un servizio per l'impiego che piazza milioni di lavoratori, ma spende complessivamente sul lavoro meno dell'Italia
Se dopo un certo lasso di tempo il servizio pubblico non riesce a trovarti un lavoro, subentra un'agenzia privata, che viene remunerata solo in caso di risultato positivo. Se il disoccupato rifiuta di partecipare all'attività o il lavoro proposto, viene immediatamente cancellato dalle liste di disoccupazione. Questa, più o meno ovunque, è la logica europea.

Siamo proprio certi che questa logica europea, che Benini vorrebbe introdotta anche in Italia, dove forse esiste già sotto altra forma, sia sufficiente per creare nuova occupazione? O non sia invece la tela del ragno in cui è impigliato il capitalismo?

MP

Bibliografia

Romano Benini
- Nella tela del ragno. Perché in Italia non c'è lavoro e come si può fare per crearlo, Donzelli, 2014