Discriminazione si. Discriminazione no

Frederick Schauer
Di ogni erba un fascio
il Mulino, Bologna, 2008

Ciò di cui si occupa Frederick Schauer nel libro Profiles, Probabilities and Stereotypes sono gli effetti dell'applicazione del taylorismo al giudizio giuridico.

Molti anni fa è stato introdotto il formato UNI per adattare i diversi formati cartacei all'introduzione delle macchine. Oggi le macchine non hanno più le limitazioni di un tempo, l'uniformità non è più necessaria e c'è stato di conseguenza un ritorno alla differenziazione dei formati sotto forma di personalizzazione del prodotto.

Se generalizziamo il concetto questo insegna che creare regole per uniformare, standardizzare, le azioni è un effetto delle limitatezza, in questo caso delle macchine, ma più in generale delle nostre capacità. Ovvero la necessita di uniformare generalizzando non è una regola ma è un ripiego.

La necessità di uniformare generalizzando è un effetto del livello tecnico raggiunto. Questo vale probabilmente anche per le decisioni giuridiche.

Obiettivo di queste pagine è mettere in discussione il primato del particolare. Più specificamente, intendo difendere [..] l'idea [..] per cui questo caso particolare, o questo specifico evento, è ciò che importa, e prendere la decisione giusta in questo caso o in questa occasione è l'asse portante di un comportamento giusto. [..] difendo la moralità di decidere per categorie e per generalizzazioni, perfino con la conseguente e apparente noncuranza per il fatto che decidere tramite generalizzazioni spesso sembra produrre risultati ingiusti in casi particolari.

Generalizzazioni buone e generalizzazioni cattive

E bene, sin da subito, tracciare una linea di demarcazione tra le generalizzazioni che hanno una base statistica e quelle che non l'hanno

La ragione per cui non possiamo risolvere, dando definizioni precise, i vari problemi che circondano l'uso delle generalizzazioni, è che la relazione tra universalità, rilevanza statistica e moralità è esattamente il fulcro del problema. Il fatto che termini di uso comune come «pregiudizio», «stereotipo» o «profilo» siano ambigui dal punto di vista concettuale, empirico e morale, segnala che c'è un problema che necessita di analisi. [..] Esso viene indicato dall'ambiguità definitoria relativa alle generalizzazioni statisticamente fondate o infondate, e riguarda l'uso appropriato (e improprio) delle generalizzazioni statisticamente fondate ma non universali.

Il libro di Schauer prende in considerazione decisioni prese per mezzo di generalizzazioni statisticamente fondate ma non universali, e le mette in contrapposizione con il particolarismo ovvero il prendere decisioni in base alle caratteristiche proprie degli eventi o degli individui.

I giuristi osannano le decisioni «per singoli casi», e si scagliano contro le ipotesi in cui regole rigide interferiscono con l'esercizio del senso comune nelle situazioni individuali 16; i filosofi esaltano le virtù del particolarismo nei giudizi morali 17

Anche il contesto, elemento del giudizio fondato sul particolare, viene sacrificato nel giudizio basato su generalizzazioni difeso da Schauer.

è comune riferirsi alle decisioni particolaristiche come «contestuali»; considerare qualcosa nel suo contesto è ritenuto positivo, e dire che qualcuno ha preso una decisione «fuori dal contesto» è raramente un complimento. Nonostante questo, parte di ciò che cerco di difendere in questo libro sono proprio le decisioni decontestualizzate, che possono deliberatamente ignorare parte del contesto della questione e alcune delle sue caratteristiche o circostanze particolari, persino quelle che potrebbero essere rilevanti per la scelta da fare.

Difesa dell'errore. Decontestualizzare i giudizi rende necessario ottimizzare la generalizzazione.

Implicita in ogni difesa delle decisioni basate su generalizzazioni è la difesa dell'errore: prendere decisioni «a grana grossa» comporta fare scelte che, in alcuni casi, sono meno ottimali di quelle che potremmo fare concentrandoci solo sulle caratteristiche del caso specifico, e su ognuna di esse. Prendere decisioni facendo di tutta l'erba un fascio, in altre parole, comporta fare degli errori; e difendere l'errore è un compito assai difficile che può essere anche poco saggio. Eppure, come molta della letteratura filosofica e giuridica sull'utilitarismo delle regole, e sulle regole in generale, ha dimostrato 20, creare una procedura decisionale che prevede un certo numero di errori spesso ne comporta poi meno, sul lungo periodo, di quanto farebbe una procedura che in teoria non ne produce affatto, ma in pratica ne crea molti. Ancora più importante, inoltre, è che l'evitare gli errori spesso non è l'unico scopo da perseguire: una procedura decisionale che fa più errori sul lungo periodo può servire ad altri obiettivi importanti e riguardare valutazioni fondamentali 21

Il limite di velocità sull'autostrada è un esempio di restrizione basata su generalizzazioni.

Consideriamo, ad esempio, il limite di velocità sull'autostrada: anche se le persone non sono punite finché non lo superano, l'esistenza stessa del limite è una restrizione uniforme imposta a tutti i guidatori, ed è quindi essa stessa una generalizzazione. Il limite di velocità in una tipica autostrada americana è di 110 chilometri orari, eppure ci sono guidatori per cui tale velocità è ben al di sopra del necessario, ed altri che avrebbero l'abilità di guidare in sicurezza anche al di sopra di tale limite. Persino mettendo da parte la variabilità delle strade, del traffico e delle condizioni meteo, è chiaro che il limite di velocità, che non riguarda la velocità in sé e per sé, ma la velocità come causa di incidenti, generalizza su tutti i guidatori e sulle loro capacità in base a quanto si sa dell'insieme dei guidatori e delle loro capacità; più semplicemente, il limite di velocità generalizza in rapporto a una classe di guidatori in certe condizioni, invece che essere calibrato, ammesso che sia possibile, su specifici guidatori in specifiche condizioni. Se vengo fermato perché sto andando a 120 chilometri orari su una bella autostrada larga e dritta, in un giorno soleggiato e terso in cui non c'è assolutamente traffico, ma in un tratto dove il limite è di 110 chilometri orari, non mi servirà a nulla affermare che sono particolarmente bravo al volante, e che non è giusto caricarmi dello stereotipo delle caratteristiche del guidatore medio.

L'Age Discrimination in Employment Act proibisce di «porre limiti di età arbitrari senza tener conto dell'effettiva capacità di lavoro» e afferma che scopo della legge è «proibire arbitrarie discriminazioni di età sul lavoro», i piloti di linea combattono ormai da decenni la Age Sixty Rule sostenendo che sia «arbitraria». Tuttavia, né la legge né i piloti sono stati molto chiari nel definire questa «arbitrarietà». Soffermarci un poco sulle varie accezioni dell'arbitrarietà di una regola o di una norma ci servirà non solo a capire alcuni dei problemi riguardanti le discriminazioni di età, ma anche a comprendere meglio il più ampio problema della generalità.

Per come lo intendono i piloti nelle loro proteste, il concetto di arbitrarietà si riferisce all'erroneità del porre limiti rigidi fissi in ambiti dove le differenze sono di grado e non di genere: è molto problematico, si sostiene, tracciare una linea netta nella variabilità dell'esperienza umana, e quindi profondamente ingiusto dire a qualcuno che può essere pilota fino all'età di cinquantanove anni e 364 giorni, ma non uno di più. In un discorso del genere risulta che una regola è da considerarsi arbitraria se pone un limite determinato, rendendo ciò che lo supera definitivamente escluso: quando sentiamo parlare di esclusioni arbitrarie, o di criteri arbitrari, o di conclusioni arbitrarie, spesso ci chiediamo se sia giusto ricollegare a un certo limite conseguenze così drastiche, considerato che non c'è una base per fissare la linea di demarcazione proprio in quel punto, e non in un altro 8. Nel caso dei piloti, perché l'età della pensione automatica non potrebbe essere fissata a sessantacinque anni (come in Europa), o a sessantadue, o a cinquantanove? In assenza di una buona ragione per scegliere i sessant'anni invece di una qualunque altra età, la scelta si sostiene è semplicemente arbitraria.

Tuttavia, se questo è ciò che i piloti intendono quando parlano di «arbitrarietà», come in effetti sembrerebbe essere dalle loro argomentazioni, allora la protesta è poco più di uno dei sofismi più comuni: se non c'è una buona ragione per fissare l'età limite a sessant'anni piuttosto che a cinquantanove, si sostiene, allora la scelta dei sessanta è sicuramente arbitraria e irrazionale ma, in realtà, non lo è affatto: in molti ambiti della vita siamo costretti a fissare un limite per una certa azione, e in questo non vi è nulla di irrazionale. I greci furono i primi a considerare tale questione, e il Paradosso di Sorite (o «del cumulo») fu creato per illustrarla 9: se c'è un cumulo di sale, e togliendone un granello rimane sempre un cumulo, e così per il successivo granello, e il successivo ancora, e così via, e non vi è un granello togliendo il quale il cumulo non sia più un cumulo, ciò significa che l'entità «cumulo» non esiste? O che esiste anche quando non ci sono più granelli? Allo stesso modo, il Paradosso di Falacro (o «dell'uomo calvo»), creato dagli antichi greci ma reso celebre da Bertrand Russell, utilizza la calvizie chiedendo, retoricamente, se l'impossibilità dl specificare il numero esatto di capelli tolti i quali un uomo si può definire calvo significa che non c'è differenza tra un uomo calvo e un capellone 10. Edmund Burke ha sottolineato che «anche se nessuno può tirare una linea sul confine tra notte e giorno, tuttavia il buio e la luce sono tra loro ben distinguibili»! 11. Col dovuto rispetto per gli antichi greci, per Russell e per Burke, l'osservazione più concisa viene dal giocatore di baseball John Lowenstein che ha osservato, scherzosamente, che si potrebbe spostare la prima base un po' indietro, in modo da eliminare tutti i tiri troppo ravvicinati!. 12 Sia che gli esempi siano tratti dal baseball, dalla filosofia o dalla vita quotidiana, resta comunque chiaro che buona parte del nostro linguaggio e della nostra vita dipendono dalla capacità di distinguere tra concetti che non sono separati da una netta demarcazione; sostenere altrimenti è mero sofisma.

Quando una conseguenza importante, giuridica o meno, dipende dalla differenza tra notte e giorno, tra calvizie o non calvizie, e tra qualunque altra coppia di margini di una linea continua, è spesso necessario fissare un punto preciso tra i due estremi, dal quale far dipendere l'applicazione di una certa regola 13. Benché si possa scegliere un altro punto, non c'è nulla di irrazionale, né di arbitrario, nel preferire l'uno o l'altro. Non è arbitrario richiedere un quorum dei 2/3 dei votanti solo perché si sarebbe potuto scegliere il 65% o il 70% invece del 66,67%; non lo è fissare un limite di velocità di 110 chilometri orari invece che di 100 o 120; non lo è il fatto che una giuria sia composta da 12 persone invece che da 13 o 10.

In tutti questi casi, notevoli conseguenze derivano dallo stare al di qua o al di là di una linea di demarcazione che avrebbe potuto essere fissata in un altro punto: un imputato condannato da una giuria di sole 11 persone ha diritto a un nuovo processo, e una persona che sta guidando a 111 chilometri orari rischia di prendere una multa 14. Imporre il pensionamento automatico all'età di sessant'anni e, conseguentemente, stabilire che chi ha sessant'anni meno un giorno può pilotare, mentre chi ha sessant'anni e un giorno non può farlo, quindi, non è più arbitrario, nel senso di «irrazionale» o «immotivato», di quanto siano tutte le linee di demarcazione che tracciarno nella nostra vita quotidiana: se non è arbitrario decidere che chi ha meno di trentacinque anni non può essere eletto Presidente degli Stati Uniti, allora non lo è dire che chi ha piu di sessant'anni non può pilotare un aereo di linea. [..] Tuttavia, abbiamo visto che ci sono prove che dimostrano che questo non è il caso del pensionamento per i piloti di linea: l'età stabilita ha qui la base statistica necessaria per distinguere questa ipotesi da quella del pensionamento dei manager quarantenni.

Consideriamo la storia di Re Salomone e del neonato 24. [..] Salomone è ricordato per aver trovato la soluzione perfetta in quel caso, come lo percepì personalmente al momento. Tuttavia, egli fu obbligato a prendere la decisione che prese perché, possiamo ben supporre, non aveva alcuna regola legale da interpretare o applicare. Per quanto ne sappiamo, non c'era alcuna legge che stabiliva che in caso di contestazioni sulla maternità la decisione dovesse essere a favore della più anziana, o della più giovane, o della più ricca [..] di conseguenza, Salomone fu costretto non ad applicare la legge, ma a crearla. Il giudizio salomonico, e quindi la saggezza salomonica, risultano quindi non un esempio di applicazione della legge, ma piuttosto un esempio del fatto che quando non c'è nessuna legge disponibile per risolvere una disputa, allora spetta al giudice crearne una. Questo modo di considerare la saggezza salomonica ci ricorda che una concezione plausibile della saggezza e della discrezionalità del giudice è che essa sia interstiziale e non universale.

Mi sembra che Schauer scambi la legge naturale a cui obbedisce Salomone - attribuire il figlio alla madre - con le regole giuridiche che possono essere (sono) arbitrarie. Salomone inventa un mezzo per individuare la madre migliore per quel neonato. Questa invenzione non costituisce una legge, non è un precedente. In pratica la storia di salomone non c'entra niente con la legge.

Abbiamo già visto che le regole sono essenzialmente generali, e che capire le decisioni prese secondo le regole significa comprendere come le regole siano generalizzazioni prescrittive. Prendiamo, ad esempio, la legge federale degli Stati Uniti che proibisce il possesso di un fucile non registrato con una canna più corta di 45 centimetri 26 dietro questa regola vi è la generalizzazione affidabile, ma non universale, per cui i fucili a canna corta — detti «fucili a canne mozze» — non hanno utilizzi legittimi nello sport o in altri campi, e sono quasi sempre usati nelle rapine o in altre attività illecite. Ma «quasi sempre» non è lo stesso di «sempre». Quindi, quando un immigrato vietnamita di nome Hoa Cam Lam acquistò innocentemente un fucile con la canna di 42 centimetri per proteggere la sua piccola attività a gestione familiare, e si ritrovò incriminato penalmente per il possesso di un fucile a canne mozze non registrato, la sua obiezione secondo la quale egli non rientrava nella categoria che aveva ispirato la legge non ebbe alcuna rilevanza. 27 [..] Il signor Lam fu condannato per una generalizzazione, e il fatto che la generalizzazione non fosse valida per lui non ebbe alcuna importanza; il signor Lam fu vittima non solo di questa regola, ma anche del fatto stesso di avere delle regole, che implica il tollerare alcune applicazioni imprecise come alternativa preferibile alla ben più grande imprecisione che deriverebbe dall'applicazione diretta della giustificazione di fondo della regola. [..] Nel diritto, a quanto pare, molto più che altrove, le generalizzazioni prescrittive tradotte in regole hanno importanza come generalizzazioni, e hanno una preminenza e un peso neanche lontanamente paragonabili a quanto accade fuori dalla legge.

Come altri aspetti della generalità che abbiamo considerato, la generalità nel diritto non è inizialmente attraente, in buona parte perché gli errori provocati dalla generalità sono spesso dolorosamente evidenti. Pensiamo ancora al signor Lam, il proprietario del fucile con la canna leggermente troppo corta, incastrato non solo da una legge federale non diretta affatto contro di lui o contro persone come lui, ma anche dalle Federal Sentencing Guideltnes, che impedirono al giudice di concedergli la clemenza individualizzata che tanto meritava. Risulta, come apprendiamo dalle motivazioni dell'appello, che il signor Lam vari anni prima era stato condannato per l'illecito lieve di guida senza patente; poiché dunque non era al suo primo illecito, non poteva godere della sospensione condizionale della pena, e le Sentencing Guidelines lo condannarono a 18 mesi di prigione, condanna che la Corte d'appello si trovò giuridicamente obbligata a confermare. La generalità della legge intrappolò il povero signor Lam due volte, in un modo che si sarebbe potuto evitare se la legge fosse stata più disponibile a mettere da parte gli errori che le sue generalizzazioni producevano.

Ci dispiacciamo per il caso del signor Lam, ma la generalità caratteristica della legge ha i suoi motivi, che si ricollegano a ciò che abbiamo ripetutamente visto. In primo luogo, la generalità può portare stabilità: trattando casi diversi allo stesso modo la legge, e non solo nell'area dei precedenti, incarna la conclusione del giudice Brandeis per cui «talvolta è meglio che le cose siano risolte, piuttosto che siano risolte correttamente» 35. Nel raggiungere questa conclusione, il giudice Brandeis riconobbe che la peculiare missione del diritto può essere raggiungere la certezza per amor della certezza in sé, la coerenza per amore della coerenza in sé, e la stabilità per amore della stabilità in sé. Questi difficilmente sono gli unici obiettivi di un qualunque sistema di organizzazione sociale, e spesso è più importante essere giusti piuttosto che coerenti, flessibili piuttosto che stabili, e saggi piuttosto che certi. Eppure, ogni struttura sociale complessa provvede a una sostanziale separazione dei poteri, nel senso atecnico del termine, e riconosce le virtù di una divisione funzionale delle responsabilità.

Ciò giustifica il fatto che ciascuno dovrebbe poter scegliere - e quindi conoscere - il sistema legislativo e quindi anche giudiziario al quale essere soggetto.

Rocheford

Tra i 246 tipi di formaggio citati da De Gaulle ci sono il Camembert, l'Epoisse, il Mont d'Or, il St. Marcelin, il Brie de Meaux e il Roquefort, tutti molto noti per il loro sapore e la loro consistenza, ma il cui modo di produzione è sempre più controverso. Infatti questi formaggi, come pure un'ottantina di altri, sono preparati con latte crudo invece che con latte pastorizzato. Benché i produttori e gli allevatori che forniscono il latte sostengano che utilizzare il latte crudo nella produzione di formaggio è assolutamente sicuro, altri la pensano diversamente, e benché questi altri che la pensano diversamente includano le autorità sanitarie di paesi come l'Australia e gli Stati Uniti, è più importante notare che nella lista degli scettici del latte crudo (i produttori li definirebbero allarmisti) ci sono anche le autorità sanitarie dell'Unione Europea 2. Queste, che secondo i produttori di formaggio francesi rappresentano in modo sproporzionato paesi come la Danimarca e la Germania, che insistono a pastorizzare tutto il latte usato nell'industria casearia, si sono occupate per più di un decennio dei metodi di produzione del formaggio diffusi in Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, ma rari o inesistenti nell'Europa del Nord.

Nello sforzo di ridurre l'incidenza della listeria (come pure della salmonella e dell'E. coli), una patologia causata dal latte non pastorizzato (e da pochi altri fattori), l'Unione Europea dal 1992 ha strettamente regolamentato la vendita di prodotti a base di latte crudo inclusi, ciò che più importa, i formaggi, in primo luogo quelli francesi e spesso quelli italiani. Il latte crudo può ancora essere utilizzato nella produzione del formaggio, dicono le autorità di Bruxelles, per lo meno per ora, ma solo a condizioni che richiedono processi produttivi, macchinari e investimenti ben al di fuori della portata del tipico formager di paese 3. Resasi conto che i vincoli finanziari nccessari per il passaggio dai metodi tradizionali a quelli moderni erano effettivamente notevoli, l'Unione Europea ha concesso una dilazione di sei anni nell'applicazione della normativa sul latte crudo ai piccoli produttori; ma tale termine è ormai scaduto, e altre dilazioni o esenzioni sono pure a rischio. Nei produttori di Roquefort e Camembert, e in poche altre comunità, cresce il timore che i loro prodotti, i loro mezzi di sussistenza e il loro stesso stile di vita vadano persi nella foga unificatrice dei burocrati di Bruxelles. Appena sotto la superficie c'è la preoccupazione che in breve tempo le 246 varietà di formaggio citate da De Gaulle si riducano a un solo tipo di formaggio conforme a un singolo standard europeo su come il formaggio dev'essere. Al posto di Camembert e Roquefort ed Epoisse ci sarà solo «formaggio» 4.

I burocrati di Bruxelles, ovviamente, non la vedono in questo modo, e insistono nel sottolineare dati imbarazzanti come la morte per listeria di 23 persone in Francia nel 1999, tasso molto maggiore che in qualsiasi altro paese dell'Unione Europea. Per l'Unione Europea, l'insistenza dei produttori di formaggio sull'uso di latte non pastorizzato è un rifiuto pericoloso di abbandonare i vecchi costumi, nonché un'ossessione poco razionale verso le spesso strombazzate virtù del terroir 5. In più, sostengono le autorità dell'Unione Europea, la volontà di essere meno rigidi sulle differenze locali basate su anomalie storiche, a favore di standard europei, è proprio ciò su cui si fonda l'Unione Europea: fissandosi sulle glorie del Camembert da latte crudo, i produttori di formaggio dimostrano di rifiutare l'idea di un'Europa sempre più unita, e quindi sempre più uniformata. Agli occhi dell'Unione Europea, i produttori francesi di formaggio hanno commesso il peccato di non voler accettare l'Europa come idea invece che come continente, peccato del quale buona parte dei formaggiai francesi si dichiarerebbe senza problemi colpevole.

In questo contesto non è irrilevante notare che l'Unione Europea era fino a poco tempo fa chiamata Comunità Europea; quello che si sta cercando di creare, affermano i funzionari dell'Unione, non è solo un ambiente sicuro e salutare, ma anche una comunità in cui le esigenze specifiche delle piccole industrie saranno giustamente trascurate. Ciò che cercano di preservare, replicano i produttori di formaggio, è una diversità locale e storica che le forze senza volto e senz'anima della comunità inevitabilmente finirebbero per eliminare. Non deve stupirci, quindi, che il gruppo che sostiene le ragioni dei produttori di formaggio si sia chiamato inizialmente International Coalition to Preserve the Right to Choose Your Cheese, in seguito trasformato in Cheese of Choice Coalition.

Una volta che riconosciamo che gli spesso contestati burocrati di Bruxelles ritengono di creare qualcosa di nuovo - un'Europa unificata e più uniforme - iniziamo a capire che il loro obiettivo primario non è eliminare il Camembert, bensì creare una nuova comunità. 6 E quando comprendiamo, inoltre, che la creazione di una comunità può forse deve comportare la soppressione delle varietà locali, possiamo capire il modo in cui le comunità non sono solo favorite dalla generalità, ma forse sono addirittura definite da essa. In definitiva, ciò che i produttori francesi di formaggio desiderano è la possibilità di preservare e tutelare le particolari virtù della loro particolare situazione, e ciò che invece desiderano i burocrati di Bruxelles è la possibilità di creare un'unica comunità con norme comuni, valori comuni e obiettivi comuni. Non deve stupirci che questi due diversi desideri entrino in conflitto, e questo ci mostra non solo i modi in cui gli obiettivi di localismo confliggono con gli obiettivi di centralità, ma anche i modi in cui gli obiettivi della centralità, agendo contro le variazioni particolaristiche, vanno d'accordo con la generalità. Nei termini del conflitto tra generalità e particolarità che è il tema centrale di questo libro, è una semplificazione solo leggermente eccessiva quella di considerare i produttori di Roquefort come sostenitori del particolarismo, e i burocrati di Bruxelles come sostenitori della generalità.

Dunque, non solo la generalità non è, in linea di massima, ingiusta, ma la giustizia stessa può avere importanti profili di generalità. Fino a che per la giustizia è centrale la correttezza 1, e nella misura in cui la correttezza è strettamente collegata all'uguaglianza, allora possiamo dire che la correttezza, e quindi la giustizia, si fondano sull'idea di generalità. Parte dell'essere corretti consiste nel trattare le persone in modo uguale, e parte del trattare le persone in modo uguale consiste, come possiamo ora apprezzare, nel trattarle in modo uguale anche a fronte di rilevanti differenze. Una società giusta non è necessariamente quella in cui ogni individuo è trattato come un'isolata collezione di caratteristiche uniche che richiedono un'attenzione individualizzata; piuttosto, sotto molti, se non tutti i punti di vista, una società giusta è quella in cui le differenze tra gli individui sono spesso, e auspicabilmente, soppresse a favore di uguaglianza e comunità. Per questo, una buona società è quella in cui la generalità non è solo inevitabile, ma anche necessaria per la giustizia.

Nel libro ci sono degli accenni francamente conservatori

Generalizzazioni e inferenze statistiche più o meno fondate costituiscono sempre di più l'esile fondamento delle norme giuridiche.

La generalizzazione è una semplificazione che può essere più o meno lecita.

L'uso di una generalizzazione è l'ammissione dell'incapacità tecnica di definire in modo preciso l'oggetto della generalizzazione. C'è sempre un limite alla generalizzazione verso la precisione o l'imprecisione. Il limite nel quale la generalizzazione è il limite massimo di precisione ottenibile in una data circostanza. Quindi da un punto di vista logico la generalizzazione rientra nel particolare, è un caso particolare arbitrariamente esteso.

MP

Bibliografia

Felicia R. Lee
- Discriminating? Yes. Discriminatory? No, New York Times, 13 December 2003; URL
Frederick Schauer
- Di ogni erba un fascio. Generalizzazioni, profili, stereotipi nel mondo della giustizia, tr. Anna Margherita Taruffo, il Mulino, Bologna, 2008
- Profiles, Probabilities and Stereotypes, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 2003