Coercizione e mercato

Morton J. Horwitz
La trasformazione del diritto americano 1870-1960
il Mulino, Bologna, 2004

Dal secondo volume de La trasformazione del diritto americano dello storico Morton J. Horwitz publicato a cura di Maria Rosaria Ferrarese per i tipi del Mulino una decina di anni fa traggo alcune pagine dedicate ad un importante articolo di Robert Hale (1884-1969) professore di economia e di diritto alla Columbia Law School.

L'innovativa opera di Hale, Coercion and Distribution in a Supposedly Non-Coercive State (1923), costituisce il modello per svariate critiche realiste alle premesse dell'ortodossia giuridica ed economica. Per prima cosa, è una delle primissime rigorose critiche all'idea ortodossa della volontarietà degli scambi di mercato. Dal momento che tutte le transazioni sono influenzate dall'esistente distribuzione di ricchezze e di diritti, Hale sosteneva, il mercato è di fatto una forma organizzata di coercizione del debole da parte del forte. Decidere di «astenersi» — dal comprare sul mercato o dall'assumere manodopera era semplicemente una ulteriore forma di affermazione del potere economico.

Fin qui, Hale stava elaborando sul tema della distribuzione diseguale del potere contrattuale, che si era accentuata dai tempi della fondazione della American Economic Association nel 1885, durante la prima fase della cartellizzazione dell'economia. Hale, comunque, comprendeva che, per i giuristi riformisti, il compito più importante era quello di minare l'ideologia della volontarietà che aveva fornito lo sfondo per legittimare il diritto privato americano, e specialmente il diritto contrattuale. Egli era consapevole dell'importanza morale di sottolineare la natura coercitiva del sistema di mercato, qualcosa che gli economisti davano semplicemente per scontato.

Proprio perché il lavoro di Hale è stato così fecondo, dobbiamo fermarci un attimo per capirne la portata intellettuale. Il suo scopo principale era attaccare la concezione prevalente del mercato come sistema di scambi liberi e volontari, e di conseguenza minare l'assunto che il diritto dovesse semplicemente riflettere i risultati conseguiti da questo mercato neutrale. Invece, egli voleva piuttosto dimostrare che lo stesso mercato era una creazione della società, una creazione del diritto, del governo e delle concezioni prevalenti dello scambio legittimo. Molti degli argomenti di Hale erano più generalmente diretti verso queste concezioni legittimanti, specialmente il legame tra teoria dei diritti naturali, formalismo e conservatorismo.

Hale cercava di scomporre la limpida linea di distinzione tra volontarietà e coercizione. Aveva quindi bisogno di ritrarre il mercato come un sistema di rapporti di potere interdipendenti, non come un luogo di volontari incontri delle menti o di convergenza delle volontà. Le sue due immagini centrali sono quella del lavoratore che non sceglie volontariamente di lavorare, ma è piuttosto costretto al lavoro per il timore della fame, e quella del padrone dell'impresa, il cui «potere coercitivo è indebolito dal fatto che sia i suoi clienti sia i suoi dipendenti hanno la capacità di rendergli le cose più o meno spiacevoli i clienti attraverso un potere conferito per legge di impedirgli l'accesso alle loro casse, i dipendenti attraverso il loro potere di fatto (né creato né distrutto dal diritto) di rifiutarsi di prestare i propri servizi» [14].

«Ad ogni modo, c'è una naturale riluttanza ad usare il termine "coercizione"», scriveva Hale, come se fosse uno scienziato indifferente al suo comune significato normativo. «Ma, una volta riconosciuto che quasi tutti i guadagni sono il risultato di una coercizione privata, alcuni con qualche aiuto da parte dello stato, altri senza, allora diventerebbe pacifico ammettere che la natura coercitiva di tale processo non significa di per sé la sua condanna» [15]. Tuttavia, poiché «il pensiero popolare indubbiamente ha bisogno di giustificazioni particolari per ogni tipo di condotta [..] che si possa etichettare come "coercitiva"», Hale cercò di dimostrare che non esisteva alcuna categoria «privilegiata» di relazioni economiche che si potesse considerare puramente volontanstica [16]. Non esisteva uno stato di natura precedente al diritto.

Qui Hale ricorreva ad una delle più importanti strategie intellettuali che il realismo avrebbe preso in prestito da Holmes — la caratterizzazione delle differenze di tipo in differenze di grado. In particolare, egli cercò di dimostrare che, dal momento che qualsiasi relazione di mercato comporta un grado variabile di coercizione, non potrebbe mai esistere uno stato di natura con un sistema di scambi puramente volontaristico. John Dawson avrebbe in seguito affinato questo aspetto dell'argomento di Hale nel suo importante articolo sulla costrizione economical [17]. Il pensiero giuridico classico del tardo Ottocento, scriveva Dawson, implicava «una contraddizione di fondo nei concetti di libertà che venivano [..] impiegati» [18].

Da una parte, alcune dottrine di immeritato successo stavano cercando di «liberare» l'individuo attraverso la regolazione delle fonti di pressione che ne restringevano la libera scelta; dall'altra, alcune teorie economiche individualistiche puntavano ad un tipo di libertà totalmente diverso, la «libertà» del mercato da ogni regolazione esterna. Ancora non era stato riconosciuto appieno il fatto che la libertà del «mercato» era fondamentalmente la libertà di individui e di gruppi di esercitare una reciproca coercizione, con il sostegno degli organi statali. Anche se le più ampie implicazioni di questa idea non furono in alcun modo comprese, una deduzione semplice e piuttosto ovvia era già stata raggiunta: se il «mercato» doveva essere libero, qualsiasi forma di regolazione esterna era da disapprovare. Una regolazione affidata all'applicazione delle norme di diritto privato da parte delle corti pareva pericolosa e poco saggia, proprio al pari di una regolazione per via legislativa o amministrativa. Sotto questo aspetto, non deve essere data rilevanza alle circostanze di uno stato di bisogno o di un particolare svantaggio che abbiano forzato l'accettazione di particolari condizioni, dal momento che tali circostanze presentano solo una differenza di grado dalle condizioni di base che governano lo scambio di beni e servizi nella società [19].

Dipingendo tutte le relazioni di mercato come intrinsecamente coercitive, Hale realizzò che «il carattere indubbiamente coercitivo della pressione esercitata dal proprietario è stato camuffato» dalla filosofia dello stato di natura [20]. Invero, l'idea di uno stato di natura è alla base delle categorizzazioni e classificazioni giuridiche classiche, come il riferimento di Holmes nel caso Lochner alla «statica sociale di Herbert Spencer» intendeva dimostrare [21]. In più, Hale attinse al sistema dei corrispettivi giuridici di Hohfeld, che parimenti negava ogni status privilegiato alle teorie che assumevano come punti di partenza i diritti naturali, al fine di screditare qualsiasi pretesa che esistesse un ambito privilegiato di relazioni di mercato volontarie. Due delle più importanti assunzioni sulle quali si fondavano le concezioni relative a tale ambito naturale erano la dubbia distinzione tra atti e omissioni e quella tra sfera pubblica e sfera privata. Queste distinzioni giuridiche erano tra i più importanti strumenti intellettuali per mascherare la natura pervasiva del carattere coercitivo del mercato.

La più originale intuizione di Hale fu l'idea che il mercato fosse il reale creatore della proprietà e dei diritti, e non piuttosto un'istituzione neutrale che rifletteva una preesistente proprietà di tipo lockiano. Le regole giuridiche che governano il mercato determinavano, ad esempio, se le notizie costituissero una proprietà, o se i datori di lavoro avessero il potere di licenziare i propri dipendenti, o se la coercizione economica fosse legittima — nella forma di competizione o illegittima in quanto furto o violenza [..]

La coercizione è naturalmente insita nel rapporto mercantile derivando dalla diseguale distribuzione del potere contrattuale fra le parti contraenti. Il diritto - l'insieme delle regole giuridiche - partecipa alla costituzione di questa disuguaglianza, la stabilisce oggettivamente e ne conferma limiti e confini.

MP

Bibliografia

Morton J. Horwitz
- La trasformazione del diritto americano 1870-1960, Tr. Elisabetta Caglieri e Agostino Zanelli, il Mulino, Bologna, 2004
- The Transformation of American Law 1870-1960. The crisis of legal orthodoxy, Oxford University Press, New York, 1992
- The Transformation of American Law. 1780-1860, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1977
- The Warren Court and the Pursuit of Justice, Hill and Wang, New York, 1998