Dalla Corte dei diritti alla Corte dei conflitti

Sabino Cassese
Dentro la corte. Diario di un giudice costituzionale
il Mulino, Bologna, 2015

Questa non è una recensione - ne ho indicate alcune reperibili sul web in bibliografia e comunque il libro è leggibilissimo (detto per chi cerca un giudizio) - ma è un pretesto per dire qualcosa sull'organo di controllo di costituzionalità delle leggi.

Il libro di Sabino Cassese dà l'idea di un'istituzione distante dalle necessità del paese, che si occupa molto volentieri di questioni attinenti ai privilegi economici dei magistrati e dei pensionati e si vede da una parte superata nelle interpretazioni in materia di diritti fondamentali e di uguaglianza sia dai giudici ordinari sia dalle Corti di giustizia europee e dall'altra viene ridotta dalle istituzioni a camera di compensazione dei conflitti politici fra governo e regioni.

Per giustificare questa mia lettura mi avvarrò di un florilegio di citazioni, estratte, senza pretese, qua e là dal testo di Cassese. La natura diaristica delle annotazioni contenute nel libro mi consente di mettere tra parentesi i giudizi.

Il ricorso di amparo fa paura

Nel 2005 il 38 % delle decisioni è stato di inammissibilità. Il lavoro della Camera di consiglio è in larga misura su questo profilo. Si capisce perché sono molti i poteri che possono rimettere questioni alla Corte. Secondo l'attuale presidente, anche perché molti giudici sono ignoranti (in effetti giudici di pace e giudici tributari fanno a gara nell'inviare questioni mal poste). C'è, poi, il fatto che la Corte si difende e difende la Costituzione, che non prevede il ricorso diretto. Colgo nelle camere di consiglio il timore del sovraccarico qualora si allargassero le maglie: il ricorso di amparo fa paura. D'altra parte, così la Corte esaurisce gran parte delle sue energie nelle inammissibilità e, piuttosto che garante della Costituzione, diventa garante innanzitutto di se stessa (e poi della incidentalità del ricorso, disposta dalla Costituzione). [..]

L'amparo fa paura ammette Cassese. Ma non credo che sia il sovraccarico di lavoro a spaventare i giudici della Consulta. Quello che spaventa è il confronto diretto con i cittadini e le loro istanze. Come dice Cassese, la Corte è garante innanzitutto di sé stessa.

La Corte è un organo politico

La Corte costituzionale come organo politico, camera di compensazione delle istanze delle istituzioni. L'uso improprio ed eccessivo del ricorso in via principale indica che qualcosa non funziona nella distribuzione del potere. Forse anche le regioni vanno abolite o, se così non fosse, è lo Stato che deve restringere le proprie funzioni.

L'altro fenomeno è quello dell'aumento dei ricorsi in via principale, che ha fatto parlare del passaggio dalla Corte dei diritti alla Corte dei conflitti.

Questo fenomeno sembra avere tre cause principali. La prima è la concorrenza tra il potere statale e il potere regionale, ormai giunto a maturità, e, quindi, pronto a contrapporsi allo Stato.

La seconda causa è l'assenza o la scarsa utilizzazione degli strumenti, formali e informali, atti ad assicurare la leale collaborazione centro-periferia, che potrebbero essere più efficaci dell'intervento giurisdizionale e offrire un più ampio ventaglio di soluzioni (ad esempio, decisioni «a pacchetto» come nell'Unione europea).

La terza causa, che riguarda i soli ricorsi dello Stato contro le regioni, non quelli di segno opposto, sta nella necessità, per il governo, di far ricorso alla Corte per il controllo sulle regioni, avendo perso esso gli altri strumenti (formali) di riscontro dell'attività regionale.

Leggi recenti

A riprova della natura politica dell'organo si può citare che all'attenzione della Corte vengono molte leggi recenti, anzi quasi sempre leggi recenti, approvate dal parlamento solo da uno a tre anni prima?

Scelte tragiche

Viene posto un problema sollevato da Calabresi, relativo ai criteri dell'eguaglianza: se sia corretto rispettare il principio della successione cronologica (first come, first serve) nella concessione di ausili pubblici. Nel caso, finite le risorse, quelli collocati in graduatoria dopo i primi non ottengono nulla. Faccio presente che dovrebbe applicarsi un criterio meno meccanico. Faccio l'esempio del malato di cancro primo nella graduatoria per l'uso di una macchina per la dialisi. E giusto che chi viene dopo ed ha maggiori possibilità di sopravvivenza venga escluso, e lasciato quindi morire, se le sue possibilità di sopravvivenza sono maggiori? Leggo il passaggio del libro di Bobbit e Calabresi (Scelte tragiche) [..]

Il potere discrezionale del legislatore

La norma della legge del 1953 che fa salvo il potere discrezionale del legislatore è stata definita ingenua, infelice, superflua ed imprecisa, tutt'altro che perspicua, equivoca e contraddittoria, inopportuna ed incostituzionale, aberrante, da considerare non scritta, priva di valore pratico. E questi attributi si devono a Calamandrei, Pierandrei, Giannini, Crisafulli, Mortati, Guarino, Paladin, Barile, Cheli. E allora, perché la Corte ci ritorna sempre sopra? [..]

Singole sentenze e flusso di decisioni

Le riviste di giurisprudenza e le altre pubblicazioni periodiche che commentano una per una le decisioni della Corte fanno un pessimo servizio alla Corte: non è tanto la singola sentenza che conta, quanto il flusso di decisioni (basta leggere il recente volume di Barry Friedman su The Will of the People). Una Corte va giudicata nel suo complesso, non per singole decisioni.

La Corte a mani vuote

Dalla relazione sull'attività della Corte nel 2011, che il presidente mi fa leggere in anteprima e alla quale apporto alcune modificazioni, si evince che le decisioni del 2011 sono state 342. Se si considerano le ordinanze e si valutano le questioni «coperte» (cioè simili ad altre questioni già decise), se ne trae la conclusione che il lavoro della Corte è molto ridotto. Responsabilità delle troppe inammissibilità, dovute alla specializzazione di coloro che lavorano nel palazzo da troppi anni, e che sono diventati esperti nel respingere questioni (per abitudine acquisita quando le questioni erano troppe e anche per lavorare meno). Responsabilità anche della giurisprudenza ormai ventennale secondo la quale il giudice rimettente deve sperimentare una interpretazione costituzionalmente orientata. Ciò induce i giudici a esaurire il controllo di costituzionalità in una manipolazione della norma. Conseguenza: il controllo di costituzionalità diventa decentrato; c'è maggiore confusione in materia di leggi, confusione che sarebbe superata con pronunce di accoglimento della Corte costituzionale.

La Corte aggirata

Un immigrato regolare con permesso di soggiorno richiede e non ottiene un sussidio per la casa. Si rivolge al Tribunale di Bolzano, che fa un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea. Questa decide che una direttiva del 2003 vincola gli Stati a non discriminare nella concessione di questi sussidi. Il ricorrente e la Corte avrebbero potuto ottenere una eguale risposta dalla Corte costituzionale italiana. Conseguenza sia della pluralità di Corti costituzionali ormai presenti in Europa, sia della timidezza della Corte italiana. [..]

Le regioni vanno soppresse?

Le questioni che pervengono alla Corte, attinenti alle regioni, rivelano fenomeni diffusi di cattiva gestione: clientelismo, faciloneria, mani bucate, disprezzo per la cosa pubblica. Ci confessiamo spesso sottovoce con i miei vicini di «banco» che le regioni andrebbero soppresse. Se queste battute sono il segno di una insofferenza dinanzi a tanti sperperi, tuttavia, gli sperperi — che sono noti — dovrebbero almeno indurre a costituire una commissione parlamentare per svolgere un'inchiesta conoscitiva approfondita.

La Corte come risolutore di conflitti tra Stato e regioni

Continua la diminuzione delle questioni poste dai giudici in via incidentale, relative a diritti, mentre aumenta l'afflusso di questioni poste in via principale dal governo contro regioni e viceversa. La Corte così modifica la sua natura. Diventa un risolutore di conflitti tra organi politici. Pone rimedio a una riforma sbagliata della Costituzione. Ed è impreparata a questo compito, che richiederebbe molti giudici esperti di questioni regionali.

Il costo della Corte costituzionale

La Corte costituzionale italiana costa circa 60 milioni (52 a carico dello Stato, la parte restante proveniente dalle obbligazioni acquistate dai fondi creati in passato). La Corte costituzionale tedesca costa 25 milioni. Dal costo della Corte italiana bisogna sottrarre la spesa per pensioni di tutto il personale della Corte (che è a carico della Corte stessa, non dell'Inps, per evidenti motivi di tutela di privilegi). Si tratta di poco meno di 20 milioni. Dunque, la comparazione, al netto della spesa per pensioni, fa emergere un maggior costo della Corte italiana di 15 milioni. Si tratta di un costo imputabile alla quantità di personale assunto nel tempo, quasi tutto senza concorso.

Quello che colpisce in questa annotazione non sono i dati numerici, è noto che le istituzioni italiane sono le più costose d'Europa per tradizione clientelare, ma il fatto che un giudice della Corte le annoti sul suo diario. Come dire, non ci posso fare niente.

La Corte costituzionale lavora sempre meno

Un vicolo cieco

Raccolgo le statistiche degli «atti di promovimento», comparando i dati del 2012 con quelli degli anni precedenti. I ricorsi in via principale raddoppiano, quelli in via incidentale continuano a diminuire (sono ora due terzi di meno di qualche anno fa). I giudici fanno a meno della Corte costituzionale. Hanno trovato altre strade: interpretazione conforme alla Costituzione (spesso molto fantasiosa); manipolazione delle norme; disapplicazione, invocando il diritto europeo anche dove non è possibile; rinvio alla Corte di giustizia. Questo è un vicolo cieco nel quale si è cacciata la stessa Corte costituzionale. La conseguenza è diminuzione del lavoro della Corte e dequotazione del poco lavoro che rimane, che consiste nella definizione di rapporti Stato-regioni (l'ultima settimana ben due questioni riguardavano l'uso del mezzo proprio nelle missioni di dipendenti regionali). Di questa questione si dovrebbe discutere, se ci fosse interesse. Ma l'orientamento prevalente è quello proprio dell'intero sistema giudiziario: si sta attaccati alla catena di montaggio (le questioni che arrivano), senza guardarsi intorno e fare attenzione alle condizioni della casa.

La questione della progressiva diminuzione dell'attività della Corte viene così riassunta da Cassese nella lezione tenuta al Seminario di studi e ricerche parlamentari Silvano Tosi, Firenze, 15 maggio 2012.

La diminuzione del ricorso alla Corte, in generale, può trovare almeno quattro spiegazioni specifiche, oltre a quelle di carattere generale, che riguardano l'assetto e gli andamenti della giustizia in Italia.

La prima è costituita dal fatto che, dopo sessant'anni di attività, la Corte ha già operato una sufficiente «pulizia» nella legislazione passata. Resta quella recente, e questo spiega perché vi siano tante questioni attinenti alle ultime leggi (fenomeno, questo, a sua volta preoccupante perché, dal punto di vista strutturale, trasforma la Corte in una terza camera del parlamento e, dal punto di vista funzionale, non permette di giudicare norme che abbiano avuto applicazione concreta, specialmente grazie all'interpretazione dei giudici, impedendo così il ricorso alla doctrine del diritto vivente).

La seconda spiegazione sta nell'atteggiamento prudente della Corte stessa, che ha sviluppato, specialmente in anni in cui vi era abbondanza di atti di promovimento, una lunga serie di cause d'inammissibilità, quasi tutte fondate su elementi formali. Respingi oggi, respingi domani, i giudici si stancano di rivolgersi alla Corte. [..]

La terza spiegazione sta nella doctrine dell'interpretazione costituzionalmente orientata, o adeguatrice, o conforme. Questa è stata sviluppata dalla Corte stessa, sempre in anni nei quali vi era abbondanza di ricorsi (uno dei primi riferimenti compare nella sentenza n. I del 1986), e consiste nella richiesta ai giudici remittenti di tentare di dare un'interpretazione della norma conforme alla Costituzione, rendendo, così, inutile il ricorso alla Corte costituzionale. [..]

Quarta spiegazione: con il progredire del diritto europeo e la sua progressiva invasione degli ordini giuridici nazionali, nonché con la progressiva formazione e poi codificazione normativa (da ultimo nella Carta) di diritti fondamentali garantiti nella dimensione europea, la disapplicazione da parte dei giudici delle norme nazionali in contrasto con l'ordine europeo — frequentemente usata in modo improprio — diviene satisfattiva di molti diritti la cui tutela era precedentemente assicurata solo mediante il ricorso alla Corte costituzionale.

È ancora utile questa Corte costituzionale?

La domanda che sorge spontanea nella mente del lettore, anche del più benevolo, è inevitabile e le pagine del diario di Sabino Cassese ne contengono la risposta.

MP

Bibliografia

Sabino Cassese
- Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, il Mulino, Bologna, 2015
Lorenzo Castellani
- Perché la Consulta va riformata, Il Foglio, 19 Maggio 2015; cons.
Maria Rosaria Ferrarese
- Presentazione del volume di Sabino Cassese, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, n. 2/2015 Nomos. Le attualità nel diritto, cons.
Gianfranco Pasquino
- Chi vuol essere giudice costituzionale?, Paradoxa, anno IX – Numero 2 – 2015; cons.
Ciro Santoriello
- Recensione a S. Cassese, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Archivio penale, 2015, n. 3, cons.