Democrazia, elezioni, paradossi, manipolazioni

George Szpiro
La matematica della democrazia
Bollati Boringhieri, Torino, 2013

Nel libro di Szpiro, dedicato alla storia dei sistemi di voto o se preferite alla matematica elettorale, si mescolano due ordini di problemi. Una questione tecnica suddivisa a sua volta in due: 1) qual è il modo migliore di votare nell’ipotesi in cui, in un certo collegio, si debba scegliere tra più di due opzioni? (In questo caso la domanda non vale solo per situazioni proprie delle elezioni politiche; nel testo si discute anche di decisioni assunte da commissioni, consigli od organi giurisdizionali) 2) qual è la soluzione tecnicamente più adeguata per garantire una corretta distribuzione di seggi in presenza di un certo numero di circoscrizioni elettorali di diversa dimensione? e una questione teorica: esiste un metodo di votazione che assicuri l'uguaglianza qualitativa (di valore) dei voti?

A nessuna delle questioni indagate è possibile dare una risposta affermativa in termini di numeri interi.

Beh, George Szpiro ha proposto di inviare al congresso deputati frazionari. No, non bisogna tagliare loro parti del corpo, anche se so di molti elettori che apprezzerebbero la cosa: molto più semplicemente, se per dire uno stato avrebbe diritto a 3,4 rappresentanti se ne inviano tre “con pieni poteri” e uno il cui voto vale solo 0,4.

Teorema di Gibbard e Satterthwaite

Nel suo libro pionieristico, Arrow dimostrava che le preferenze di una popolazione di elettori non potevano essere aggregate in una graduatoria di preferenze sociali. [..] Arrow aveva [..] preso per buone le preferenze degli elettori, ma che cosa accade se le loro risposte non sono veritiere? Che cosa avviene se i votanti, rendendosi conto che la loro prima scelta non ha alcuna possibilitå di vincere, simulano di sostenere un'alternativa diversa o un diverso candidato, spingendo cosi verso l'alto della graduatoria la loro seconda o terza scelta? Quando qualcuno fece notare a Jean-Charles de Borda che il suo metodo poteva essere facilmente manipolato da un gruppo di elettori determinati a privare della vittoria il favorito, egli si indignö profondamente: «ll mio metodo studiato soltanto per gli uomini onesti», ribatté a bruciapelo l'ufficiale di marina. Ma che cosa fare se,nell'interesse del secondo miglior candidato, gli elettori non si comportano onestamente?

[..] Il problema del voto strategico non stato affrontato da Arrow, ma nei primi anni settanta due giovani freschi di laurea, il filosofo Allan Gibbard e l'economista Mark Satterthwaite, decisero autonomamente uno dall'altro di indagare la questione. Nello specifico, essi si domandarono fino a che punto i sistemi di voto fossero suscettibili di manipolazioni da parte degli elettori. Chi vota è davvero in grado di influenzare il risultato di una consultazione mascherando le sue vere intenzioni? I due studiosi presero in considerazione una situazione un po' più semplice di quella analizzata da Arrow. Mentre quest'ultimo aveva infatti esaminato una classifica completa di tutti i candidati, o delle varie alternative, dal migliore al peggiore, Gibbard e Satterthwaite dimostrarono che i problemi sorgevano anche quando era previsto un unico vincitore.

Nel 1969, Kenneth Arrow, Amartya Sen e il filosofo John Rawls avevano annunciato una serie di seminari, gestiti congiuntamente dai dipartimenti di Economia e di Filosofia della Harvard University, dedicati al tema «Il processo decisionale nelle organizzazioni». Fu un evento straordinario, con i maggiori economisti e filosofi del MIT e di Harvard seduti in platea settimana dopo settimana. Solo due studenti laureati erano presenti alla prima riunione, e uno di loro era Gibbard. Quando Arrow annunciò che ci si aspettava che anche loro presentassero un intervento durante la serie di seminari, l'altro studente, una mia conoscenza personale, si precipitò in segreteria per cancellare la propria adesione al corso. Gibbard invece rimase, e quando giunse il momento del suo intervento presentò la sua tesi di dottorato sulla manipolazione delle elezioni. Tutti i presenti, compreso l'altro studente laureato che aveva continuato a seguire i seminari in veste di semplice uditore, rimasero molto impressionati. La carriera accademica di Gibbard stava per decollare. Quattro anni dopo, nel 1973, egli pubblicò su «Econometrica», una delle riviste più importanti nel campo dell'economia, il suo articolo fondamentale Manipulation of Voting Schemes. A General Result.

All'insaputa di Gibbard, nei primi anni settanta Mark Satterthwaite, uno studente del Dipartimento di Economia dell'Università del Wisconsin, stava lavorando a una tesi di dottorato che affrontava il medesimo argomento. Satterthwaite non era a conoscenza dell'articolo di Gibbard, che sarebbe stato pubblicato soltanto nel 1973, anno in cui la dissertazione di Satterthwaite fu approvata dalla Facoltà di Economia. Una versione riveduta della tesi di dottorato sarebbe apparsa sul «Journal of Economic Theory» soltanto nel 1975. In realtà, Satterthwaite sentì menzionare per la prima volta il lavoro di Gibbard, precedentemente pubblicato, dall'accademico che gli scriveva una lettera di referenze per preporre la pubblicazione della tesi sul «Journal of Economic Theory». In ogni caso, il teorema è ogoi noto, giustamente, come teorema di Gibbard-Satterthwaite, dato che Gibbard e Satterthwaite lo avevano elaborato e dimostrato simultaneamente, pur utilizzando tecniche diverse. Una delle differenze, per esempio, è che Gibbard descriveva la falsa dichiarazione delle preferenze di un elettore come una manipolazione, mentre per Satterthwaite si trattava di strategia.

Qual è la triste problematica enunciata dal teorema? Gibbard e Satterthwaite dimostrarono che qualsiasi metodo di elezioni democratiche che pretenda di eleggere un vincitore tra almeno tre candidati può essere manipolato. Dichiarando preferenze che non corrispondono ai propri reali sentimenti e fingendo di preferire un candidato che in realtà non è di suo gradimento, un elettore può influenzare il risultato di una consultazione elettorale. Quale che sia il metodo utilizzato — maggioranza relativa, maggioranza assoluta, metodo Borda o eliminazione a coppie —, il teorema di Gibbard-Satterthwaite afferma che mentendo si può portare alla vittoria anche un candidato che non avrebbe avuto la benché minima possibilità di successo se tutti gli elettori avessero espresso loro preferenze in modo veritiero (può essere necessaria un'intera coalizione di bugiardi, ma se i risultati dei due candidati sono molto vicini, un solo bugiardo può fare la differenza). Non esiste pertanto nessun metodo elettorale che sia al tempo stesso democratico e a prova di manipolazioni strategiche!

C'è solo un metodo che non può essere manipolato, e non sorprende di certo sapere che è quello della dittatura. Ovviamente, in un regime totalitario non fa alcuna differenza se si vota onestamente o disonestamente, dal momento che è comunque il dittatore ad avere in ogni caso l'ultima parola. E questi non ha bisogno di mentire visto che la sua preferenza diventa automaticamente legge.

È dunque immorale celare le proprie preferenze reali, in modo da falsare un risultato apparentemente onesto? Per vivere in una società, l'individuo si vede spesso costretto a scendere a compromessi. Questo succede in tutti i momenti della vita quotidiana: quale lavoro scegliere, quale casa comprare, dove andare in vacanza e via dicendo. Se marito e moglie non accettassero di fare un passo indietro, accontentandosi di una scelta magari piacevole ma non certo quella preferita in assoluto, le coppie separare sarebbero ben di più. I componenti di una famiglia, pertanto, possono decidere alla fine di non andare né all'incontro di pugilato, né al balletto, né a fare un picnic, né a cena in un ristorante di lusso, accontentandosi di un film al cinema seguito da uno spuntino in una tavola calda nelle vicinanze, e nessuno di loro nutrirà per questo un particolare risentimento.

Perché dovrebbe essere diverso per le elezioni? Il fatto di abbandonare la propria prima scelta e votare per il secondo candidato non è che un compromesso di questo tipo. Eppure, come abbiamo visto, fissare in un certo modo l'ordine del giorno della riunione di qualche commissione o consiglio d'amministrazione ed essere disonesti per portare avanti il candidato o l'opzione preferita è senza dubbio ingiusto. Supponiamo che una commissione composta da undici membri sia chiamata a eleggere un nuovo direttore per gli Affari Sociali con quella che nel terzo capitolo abbiamo definito una proceduta da autentico knock out. Diciamo che noi e quattro altri colleghi, nostri alleati, preferiamo Alice rispetto a Bruce; cinque altri membri della commissione preferiscono invece Bruce ad Alice; nessuno poi vede con favore la candidatura del signor Dofus, fatta eccezione per la signora Dofus. A questo punto, si fanno due cose: innanzi tutto, si deve impostare l'ordine del giorno in modo tale che Bruce si trovi a competere contro Dofus nel primo confronto. Al momento di esprimere il voto, noi e i nostri amici decidiamo di mentire riguardo alle nostre vere preferenze e votiamo per Dofus. Insieme con il voto della sua gentile consorte, il nostro signor Dofus vince sei confronti su cinque. Lo scontro successivo, tra Alice e Dofus, sarà una vera passeggiata per Alice, che uscirà vincente. In questo caso, non si è trattato di un compromesso ma di una vera manipolazione del processo decisionale.

I due studiosi che hanno dato il nome al teorema non hanno etichettato in nessun modo le azioni degli elettori. La parola «manipolazione» usata da Gibbard conferisce comunque ad esse una connotazione negativa, mentre il termine «strategia» a cui ricorre Satterthwaite sembra glissare su alcuni loro aspetti perlomeno sconcertanti. Come avviene spesso, tutto dipende dal contesto.

Sociologia elettorale

All'origine dei paradossi del sistema elettorale degli Stati Uniti, fondato sui collegi, non vi è una necessità logica o matematica, bensì una determinata condizione storico-sociale: la schiavitù e la conseguente necessità di contare gli schiavi come popolazione dei collegi, e quindi nel numero di seggi, senza farli contare nel voto.

Psicologia elettorale

Considerazioni di ordine psicologico inducono a pensare che le elezioni non siano lo strumento ottimale per la scelta politica. Dopotutto le elezioni sono l'evoluzione (una sofisticazione) dell'acclamazione.

Conclusione scettica

Se la democrazia rappresentativa è di per sé un'approssimazione della democrazia e il sistema rappresentativo maggioritario a sua volta è un'approssimazione all'approssimazione della democrazia. Allora, i metodi di votazione utilizzati per eleggere i rappresentanti del popolo sono soltanto un'ulteriore approssimazione dell'approssimazione all'approssimazione della democrazia.

MP

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