Una democrazia aristocratica

Sul principio aristocratico del sistema rappresentativo

Bernard Manin
Principi del governo rappresentativo
il Mulino, Bologna, 2010

Dall'Introduzione:

I governi democratici contemporanei si sono evoluti a partire da un sistema politico che era concepito dai suoi fondatori come opposto alla democrazia. L'uso corrente distingue fra democrazia «rappresentativa» e «diretta», trattandole come varianti di uno stesso tipo di governo. Tuttavia, ciò che oggi chiamiamo democrazia rappresentativa trova le proprie origini nelle istituzioni che si sono progressivamente stabilite e affermate in Occidente a seguito delle rivoluzioni inglese, americana e francese. Ma tali istituzioni, alla loro nascita, non furono percepite come una varietà di democrazia o una forma di governo del popolo.

Rousseau condannò la rappresentanza politica in termini perentori, [..] dipinse il governo inglese del XVIII secolo come una forma di schiavitù punteggiata da momenti di libertà. [..] Comunque dobbiamo rammentare che i fautori della rappresentanza, anche se fecero una scelta opposta a quella di Rousseau, ravvisavano una differenza fondamentale tra la democrazia e il sistema che difendevano, un sistema che chiamavano «rappresentativo» o «repubblicano». Così, due uomini che giocarono un ruolo fondamentale nell'affermazione della rappresentanza politica moderna, Madison e Sieyès, contrapponevano alla stessa maniera il governo rappresentativo e la democrazia. Questa somiglianza è sorprendente, giacché, sotto altri aspetti, grosse differenze dividono il principale architetto della costituzione americana e l'autore di Qu'est-ce que le Tiers-État?, non solo nella formazione, nel contesto politico nel quale parlarono e agirono, ma anche nel loro pensiero costituzionale.

Madison contrappose spesso la «democrazia» delle città-stato dell'antichità, in cui «pochi cittadini [..] si riuniscono e amministrano di persona la cosa pubblica», con la repubblica moderna basata sulla rappresentanza [1]. Di fatto, egli formulò tale contrapposizione in termini particolarmente radicali.

La rappresentanza, fece notare, non era completamente sconosciuta alle repubbliche dell'antichità. In tali repubbliche i cittadini riuniti in assemblea non esercitavano tutte le funzioni di governo. Certi compiti, e in particolare quelli di tipo esecutivo, erano delegati a magistrati. Accanto a questi magistrati, tuttavia, l'assemblea popolare costituiva un organo di governo. La vera differenza fra le democrazie antiche e la repubblica moderna risiede, secondo Madison, nel fatto che quest'ultima esclude completamente il popolo nella sua capacità collettiva da una partecipazione diretta alla cosa pubblica, e non nel fatto che le prime escludessero completamente i rappresentanti del popolo dall'amministrazione [2].

Madison non intendeva la rappresentanza come un'approssimazione al governo del popolo resa tecnicamente necessaria dall'impossibilità fisica di riunire tutti insieme i cittadini di stati estesi. Piuttosto, la vedeva come un sistema politico essenzialmente diverso e superiore. L'effetto della rappresentanza, osservava, consiste nel

affinare e allargare la visione dell'opinione pubblica, attraverso la mediazione di un corpo scelto di cittadini, la cui provata saggezza può meglio discernere l'interesse effettivo del proprio paese, e il cui patriottismo e la cui sete di giustizia renderebbero meno probabile che si sacrifichi il bene del paese a considerazioni particolarissime e transitorie

E aggiungeva:

In un regime di questo genere può ben avvenire che la voce del popolo, espressa dai suoi rappresentanti, possa meglio rispondere al bene di tutti, di quanto non avverrebbe se essa fosse espressa direttamente dal popolo riunito con questo specifico scopo [4].

Sieyès, da parte sua, rilevò insistentemente l'«enorme differenza» fra la democrazia, nella quale i cittadini fanno da soli le leggi, e il sistema di governo rappresentativo, nel quale essi affidano l'esercizio del loro potere a rappresentanti eletti [5]. Per Sieyès, comunque, la superiorità del sistema rappresentativo non risiedeva tanto nel fatto che esso produceva decisioni meno parziali e meno istintive, quanto nel fatto che costituiva la forma di governo più appropriata alla condizione delle moderne «società commerciali», nelle quali gli individui erano principalmente occupati nella produzione e negli scambi economici. In tali società, notava Sieyès, i cittadini non dispongono più del tempo libero necessario per occuparsi costantemente degli affari pubblici e quindi devono usare le elezioni per delegare il governo a persone che sono in grado di dedicare tutto il loro tempo a tale compito. Sieyès intendeva la rappresentanza principalmente come l'applicazione all'ambito politico della divisione del lavoro, un principio che, dal suo punto di vista, costituiva un fattore cruciale del progresso sociale. L'interesse comune scriveva lo stesso miglioramento della condizione della società ci chiede a gran voce di fare del governo una professione speciale [6]. Per Sieyès, dunque, come per Madison, il governo rappresentativo non era un tipo di democrazia; era una forma di governo essenzialmente differente nonché preferibile.

A questo punto occorre richiamare alla mente il fatto che certe scelte istituzionali compiute dai fondatori del governo rappresen- tativo non sono praticamente mai state messe in discussione. Il governo rappresentativo ha sicuramente conosciuto cambiamenti nel corso degli ultimi duecento anni: l'estensione graduale del diritto di voto e l'istituzione del suffragio universale sono quelli più evidenti [7]. Ma d'altra parte molti assetti sono rinvasti uguali, come quelli che regolano il modo in cui sono selezionati i rappresentanti e vengono prese le decisioni pubbliche. Essi sono ancora vigenti nei sistemi che oggi si dicono rappresentativi. Lo scopo principale di questo libro consiste nell'identificate e studiare questi elementi costanti. Li chiamerò principi del governo rappresentativo. Per «principi» non intendo idee o ideali astratti e senza tempo, ma assetti istituzionali concreti che furono inventati in un dato momento della storia e che, a partire da allora, sono stati osservabili e presenti contemporaneamente in tutti i governi descritti come rappresentativi. In alcuni paesi, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, questi assetti sono sempre rimasti in vigore dopo aver fatto la loro comparsa. In altri, come la Francia, sono stati occasionalmente aboliti, ma allora sono stati revocati tutti insieme e la forma di governo è cambiata cornpletamente; in altre parole, in certi periodi il regime ha smesso di essere rappresentativo. Infine, in molti paesi non è mai stato attuato nessuno di questi assetti. Così, ciò che è stato inventato nel XVII e nel XVIII secolo, e che non è stato mai messo seriamente in discussione da allora, era una combinazione particolare di tali assetti istituzionali. Questa combinazione può essere o non essere presente in un certo paese in un dato momento, ma quando la si trova, la si trova tutta insieme.

Alla fine del XVIII secolo, dunque, un governo organizzato in modo rappresentativo era visto come radicalmente diverso dalla democrazia, mentre oggi viene considerato una sua variante. Un sistema istituzionale capace di reggere interpretazioni così divergenti deve avere una qualche qualità enigmatica. Naturalmente si potrebbe richiamare il fatto che il significato della parola «democrazia» si è evoluto, dopo l'avvento del governo rappresentativo [8]. [..] Tradizionalmente impiegato per descrivere il regime ateniese, il termine è tuttora in uso per denotare lo stesso oggetto storico. Al di là di questo riferimento comune, il significato moderno e quello del XVIII secolo condividono anche l'idea di eguaglianza politica fra i cittadini e quella del potere del popolo. Oggi queste idee costituiscono elementi dell'idea democratica, così come allora. Più precisamente, quindi, il problema consiste nel capire che relazione ci sia fra i principi del governo rappresentativo e questi elementi dell'idea democratica.

Ma la genealogia non è l'unica ragione per indagare sui rapporti fra istituzioni rappresentative e democrazia. A un esame più attento, l'uso moderno, che classifica la democrazia rappresentativa come un tipo di democrazia, rivela ampie aree di incertezza riguardo a ciò che costituisce la natura specifica di questo genere di democrazia. Nel tracciare una distinzione fra la democrazia rappresentativa e quella diretta, definiamo implicitamente la prima come la forma indiretta di governo del popolo, e facciamo della presenza di persone che agiscono per conto del popolo il criterio che separa le due varietà di democrazia. Tuttavia le nozioni di governo diretto e indiretto tracciano solo una linea di distinzione molto imprecisa. Di fatto, come ha osservato Madison, è chiaro che, nelle cosiddette «democrazie dirette» del mondo antico — Atene, in particolare — l'Assemblea popolare non era la sede di tutto il potere. Alcune funzioni importanti erano svolte da altre istituzioni. Questo significa che, al pari di Madison, dovremmo ritenere che la democrazia ateniese includesse una componente rappresentativa, oppure si dovrebbe concludere che le funzioni di organi diversi dall'Assemblea fossero comunque esercitate «direttamente» dal popolo? Se vale questa seconda ipotesi, che cosa intendiamo di preciso per «direttamente»?

Inoltre, quando diciamo che in un governo rappresentativo le persone si governano indirettamente o attraverso i loro rappresentanti, in realtà stiamo usando delle nozioni in qualche modo oscure. Nel linguaggio di tutti i giorni, fare qualcosa indirettamente o attraverso qualcuno può riferirsi a situazioni molto diverse. [..] La visione moderna della democrazia rappresentativa come governo indiretto del popolo non dice nulla in proposito. In realtà, l'informazione fornita dalla distinzione comune fra democrazia diretta e rappresentativa è molto scarsa.

L'incertezza e la povertà della terminologia moderna, come la contrapposizione che essa presenta rispetto alla percezione del XVIII secolo, dimostrano che non sappiamo né che cosa faccia sì che il governo rappresentativo assomigli alla democrazia né che cosa lo distingua da essa. [..] Questo libro non aspira a comprendere l'essenza o il significato ultimo della rappresentanza politica; si propone solo di far luce sulle proprietà e sugli effetti non evidenti di un insieme di istituzioni inventate due secoli fa [9]. [..]

Ci sono quattro principi che sono stati invariabilmente osservati nei regimi rappresentativi, da quando questa forma di governo è stata inventata:

I. Coloro che governano sono designati attraverso elezioni a intervalli regolari.

2. L'attività decisionale di coloro che governano mantiene un certo grado di indipendenza dai desideri dell'elettorato.

3. Coloro che sono governati possono dare espressione alle loro opinioni e ai loro desideri politici senza essere soggetti al controllo di coloro che governano.

4. Le decisioni pubbliche sono sottoposte alla prova del dibattito. [..]

Contrariamente a quanto sembra suggerire l'analogia che viene spesso tracciata fra le elezioni e le competizioni sportive, il processo elettorale non e necessariamente meritocratico e non garantisce strettamente quella che oggi è concettualizzata come eguaglianza di opportunità. Non è questa la sede per addentrarsi nelle complicate discussioni filosofiche alle quali hanno dato vita i concetti di meritocrazia e di eguaglianza di opportunità negli ultimi vent'anni. Tuttavia sembra esserci consenso sul fatto che una procedura è meritocratica e assicura l'eguaglianza di opportunità se le ineguaglianze che essa genera nella distribuzione di un bene sociale sono almeno in parte (qualcuno direbbe «interamente») il risultato delle azioni e delle scelte di coloro che desiderano tale bene [3]. Una procedura non è descritta come meritocratica se le diseguaglianze di distribuzione alle quali essa porta derivano esclusivamente da diseguaglianze innate. Un concorso di bellezza, per esempio, sicuramente non è considerato meritocratico. D'altra parte, un esame universitario è meritocratico nella misura in cui, sebbene le prestazioni accademiche dei candidati debbano qualcosa alla lotteria genetica dei talenti (per tacere delle diseguaglianze di ambiente sociale), esse sono anche, almeno in parte, il risultato degli sforzi, delle scelte e delle azioni dei candidati.

Sotto questo aspetto è istruttivo confrontare la selezione dei governanti per mezzo delle elezioni e il loro reclutamento attraverso prove competitive (che è il modo in cui per molto tempo l'autorità politica fu allocata in Cina). Assieme all'estrazione a sorte, alle elezioni, al principio ereditario e alla cooptazione da parte di coloro che sono già al potere, gli esami sono un altro possibile metodo per selezionare i governanti.

Il governo rappresentativo rimane ciò che è stato sin dalla sua fondazione, ossia un governo delle élite distinte dal grosso dei cittadini per posizione sociale, stile di vita e istruzione. Ciò cui assistiamo oggi altro non è che l'affermarsi di una nuova élite e il declino di un'altra.

Ma l'impressione di malessere della rappresentanza è dovuta ancora di più al fatto che, con l'affermarsi di questa nuova élite, la storia sta prendendo una piega inaspettata. Quando gli attivisti e i burocrati sostituirono i notabili, la storia sembrò accorciare le distanze fra le élite al governo e i cittadini comuni. Ovviamente le analisi di Michels mostrarono che i partiti di massa erano dominati da élite distinte dalla base, ma era ragionevole ritenere che la distanza fra i burocrati di partito e i cittadini comuni fosse minore di quella che separava i notabili dal resto della popolazione. Fra l'altro, quale che fosse la distanza effettiva fra lo stile di vita dei leader e quello dei votanti comuni, i partiti di massa erano riusciti a creare un'identificazione di questi ultimi con i primi. Il fatto è che i lavoratori si riconoscevano nei leader dei partiti socialdemocratici e li vedevano «come qualcuno di loro».

La sostituzione dei notabili con funzionari di partito fu effettivamente un passo in direzione dell'identità (reale o immaginaria) fra le élite di governo e coloro che esse governavano. Oggi è impossibile avere questa impressione. La distanza sociale e culturale fra un'élite e la massa del popolo è una cosa difficile da misurare, ma non c'è ragione di ritenere che le élite politiche e mediatiche contemporanee siano più vicine ai votanti di quanto fossero i burocrati di partito. E non c'è neppure alcun segno del fatto che tali élite siano nella condizione di ispirare sentimenti di identificazione da parte dei votanti. Più che la sostituzione di un'élite con un'altra, è la persistenza, e forse persino l'aggravamento, della distanza fra i governati e l'élite al governo che ha provocato un senso di crisi.

il governo rappresentativo è un fenomeno sorprendente [..] Concepito in contrapposizione esplicita alla democrazia, oggi è visto come una delle sue forme. Il «popolo» è oggi certamente un'entità molto più vasta di quanto non fosse nel XVIII secolo, dal momento che l'avvento del suffragio universale ha allargato notevolmente il corpus dei cittadini. Ma d'altra parte non c'è stato alcun cambiamento significativo nelle istituzioni che regolano la selezione dei rappresentanti e l'influenza della volontà popolare sulle loro decisioni una volta che sono al governo. Ed è perlomeno dubbio se la distanza fra le élite al governo e i cittadini comuni si sia ridotta o se il controllo dei votanti sui loro rappresentanti sia aumentato. Ciò nonostante, non abbiamo esitazioni a classificare i sistemi rappresentativi di oggi come democrazie. I padri fondatori, al contrario, sottolinearono l'«enorme differenza» fra il governo rappresentativo e il governo di quello che allora era il popolo. Così rimaniamo con il paradosso per cui il rapporto fra rappresentanti e coloro che essi rappresentano, pur senza essersi evoluto in nessun modo vistoso, oggi è percepito come democratico, mentre originariamente era visto come non democratico.

Ora, alla fine del nostro percorso, sembrerebbe che questa differenza fra la concezione originaria e quella odierna sia dovuta almeno in parte alla natura delle stesse istituzioni rappresentative. Il governo rappresentativo prevede sia caratteristiche democratiche sia caratteristiche non democratiche. Questo dualismo risiede nella sua stessa natura, e non soltanto nello sguardo di chi lo osserva. L'idea che i sistemi rappresentativi mettano il governo nelle mani del popolo non è un mito, contrariamente a quanto sostengono coloro che, da Marx a Schumpeter, si sono impegnati a demistificare la «democrazia». Il governo rappresentativo possiede indubbiamente una dimensione democratica. Altrettanto innegabile, tuttavia, è la sua dimensione oligarchica. La soluzione all'enigma del governo rappresentativo sta nel fatto che si tratta di un sistema misto o equilibrato. [..] I principi del governo rappresentativo formano un meccanismo complesso che assembla parti democratiche e parti non democratiche.

Il governo rappresentativo non è la democrazia.

MP

Bibliografia

Bernard Manin
- Principi del governo rappresentativo, tr. Valeria Ottonelli, il Mulino, Bologna, 2010
- The Principles of Representative Government, Cambridge University Press, New York, 1997