Uscire dal capitalismo

Jean-Claude Michéa
I misteri della sinistra
Neri Pozza, Vicenza, 2015

Ho deciso di commentare due pagine del libro I misteri della sinistra di Jean-Claude Michéa per delineare qualche differenza. Il libro nasce come risposta ad una lettera:

Il punto di partenza di questo piccolo saggio (il cui titolo allude bonariamente a Eugène Sue) è la risposta - scritta su richiesta di Paul Ariès, caporedattore della rivista Les Zindigné(e)s - a una lettera di Florian Gulli, professore di filosofia a Besançon nonché militante del Partito comunista e del Front de gauche.

Le analisi politiche e le prese di posizione dei filosofi francesi degli anni sessanta probabilmente erano sbagliate - madornale e tutto da interpretare l'errore di giudizio di Michel Foucault su Khomeini - ma avevano un fascino che quelle dei contemporanei non hanno. Il libro di Michéa è rappresentativo della confusione che regna nel discorso politico, francese ma non solo, quando si tratta di immaginare una via d'uscita dal capitalismo, ammesso e non concesso che quello in cui stiamo vivendo sia effettivamente il capitalismo assoluto di cui parla Michéa.

Rinunciare al significante sinistra

Con ogni evidenza, io e Horian Gulli condividiamo un certo numero di analisi correnti sulla natura del liberalismo realmente vigente e della sua logica disumanizzante, non ugualitaria e predatrice sul piano ecologico. Tuttavia (ed è forse la principale differenza tra noi due) è chiaro che il mio interlocutore non approverebbe il giudizio formulato da Cornelius Castoriadis — già un quarto di secolo fa secondo il quale «da molto tempo il divario destra-sinistra, in Francia come altrove, non corrisponde più né ai grandi problemi del nostro tempo né a delle scelte politiche radicalmente opposte le une rispetto alle altre» [1]. Ora, posto che la possibilità di riunire il popolo attorno a un programma di uscita dal capitalismo dipende, in gran parte, dall'esperienza preliminare di un nuovo linguaggio comune che possa essere compreso e accettato — tanto dai lavoratoti stipendiati quanto da quelli autonomi, dai dipendenti statali come da quelli del settore privato, e dai lavoratori autoctoni come da quelli immigrati (in altre parole, un linguaggio che permetta di «risolvere dialetticamente» — a differenza di un'alleanza puramente elettorale — le diverse contraddizioni in seno al popolo), la questione del «significante principale» attorno al quale una tale alleanza potrebbe stringersi riveste effettivamente un'importanza decisiva. Cercherò dunque di esporre per quali ragioni sono giunto a pensare che il nome di sinistra non sia oggi davvero più in grado di svolgere in maniera efficace questa funzione. [..] ho l'impressione [..] che tale significante diventi molto presto ambiguo — e forse anche inutilmente divisorio — a partire dal momento in cui si tratta, come appunto adesso, di mobilitare l'immensa maggioranza delle classi del popolo (senza la partecipazione attiva — o almeno senza la neutralità benevola — di quell'immensa maggioranza, ogni tentativo di uscire dal capitalismo e dal suo condizionamento strutturale alla «crescita» sarebbe in effetti (destinato irrimediabilmente a conoscere un epilogo «alla cilena»)

Il significante sinistra è divisivo ed ha perso significato. Per uscire dal capitalismo evitando un epilogo alla cilena occorre un linguaggio comune che coinvolga anche chi non si identifica con la sinistra come Marx ed Engels.

Non starò qui a dilungarmi sulla tesi che ho sviluppato nel Complesso d'Orfeo (Edizioni per la Decrescita Felice) [..] Mi limiterò soltanto a ricordare — ma questo semplice atto dovrebbe bastare a risvegliare il nostro senso critico — che né Marx né Engels (comunque non più delle altre grandi figure fondatrici del movimento socialista e anarchico) hanno mai pensato una sola volta di definirsi «uomini di sinistra».

Se anche Marx ed Engels non si sentivano di sinistra forse il significante sinistra non è mai esistito come significante di sinistra. È sempre stato un'altra cosa. Vediamo cosa.

Adesso dunque abbiamo in mano tutte le carte necessarie per comprendere la natura politicamente paradossale (o «dialettica») del progetto socialista. Progetto che è nato, di fatto, sotto una doppia impronta filosofica. Da un lato appare in maniera incontestabile come una tra le eredità più legittime della filosofia illuminista e della Rivoluzione francese — nella misura in cui ne riprende chiaramente, facendoli propri, lo scrupolo egualitario e l'idea che un progetto di emancipazione vera ha senso soltanto se si inserisce in un quadro di scopi universali [..] Ma dall'altro lato esso rappresenta anche la critica più radicale e più coerente che sia mai stata avanzata di quel nuovo mondo liberale e industriale — che, all'epoca, era ancora lontano dall'avere sviluppato tutti gli aspetti nocivi che oggi gli sono propri — i cui principi costitutivi si basano, per bizzarra ironia della storia, sulla stessa eredità filosofica (sarebbe bene, da questo punto di vista, che tutti i militanti di sinistra si ricordassero, una volta per tutte, che Adam Smith — lungi dall'essere un pensatore «reazionario» — era il più celebre rappresentante, con David Hume, della filosofia scozzese degli Illuministi e che la maggior parte degli Enciclopedisti — con l'importante eccezione di Rousseau — approvava con entusiasmo le nuove idee liberali, tanto sul piano politico e culturale quanto sul piano economico). Di conseguenza, o ammettiamo l'idea — nella scia del marxismo semplificato della seconda internazionale e del «comunismo» staliniano — che è lo sviluppo stesso del capitalismo ciò che porterà a costruire automaticamente la «base materiale del socialismo». E in tal caso si tratta semplicemente — come un Negri qualsiasi — di affidarsi a quello sviluppo rivoluzionario (se non addirittura, come proponeva ingenuamente Gilles Deleuze, di «accelerarne tutti i processi») e attendere con pazienza il giorno in cui — quando l'«involucro capitalista» non sarà più abbastanza solido per contenere la dinamica impetuosa delle «nuove tecnologie» — la società comunista potrà sorgere da se stessa, armata da capo a piedi, come una Minerva che esce dalla testa di Giove (naturalmente, la versione più semplicistica di questo moderno messianismo si trova tra i discepoli di sinistra con la passione di Internet). Oppure, al contrario, ammettiamo che la storia del xx secolo ha totalmente rifiutato questo schema bizzarro (e non vedo, alla luce dei fatti, come si potrebbe ancora ragionevolmente sostenere il contrario) e allora conviene riprendere il problema su basi più dialettiche, vale a dire accettare infine di dover pensare con gli Illuministi contro gli Illuministi (o, se si preferisce, con la sinistra contro la sinistra)

La frase è di effetto: pensare con gli Illuministi contro gli Illuministi. Sembrerebbe un vero e proprio superamento hegeliano. Però il comunitarismo di cui parla Michéa non mi sembra appartenere a quel linguaggio comune capace di annullare le differenze nello sforzo necessario al superamento del capitalismo e se la società comunista non sorgerà, come Minerva dalla testa di Giove, dalle ceneri del capitalismo, come spera ancora qualcuno, occorre pensare altro: la diversità e la separazione come radice della convivenza.

Io non posso vivere sotto le leggi pensate da una persona che vuole far costruire a tutti gli italiani il ponte sullo stretto di Messina quando sono ben altre le cose a cui pensare, ma non posso neppure impedire a Matteo Renzi, ed a chi altri lo desideri, di vivere sotto le leggi pensate da Matteo Renzi. Ciò che Matteo Renzi non ha diritto di fare è costringermi a vivere sotto le leggi pensate da Matteo Renzi se io non voglio vivere sotto le leggi pensate da Matteo Renzi.

Ritorniamo ai tempi di Pierre Bayle. Luigi Capeto non è legittimato a revocare l'editto di Nantes e quindi non può costringermi a credere nella religione di Luigi Capeto se io non lo voglio. L'illuminismo è tutto qui.

MP

Bibliografia

Jean-Claude Michéa
- I misteri della sinistra. Dall'ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, tr. Roberto Boi, Neri Pozza, Vicenza, 2015
- Les Mystères de la gauche, Climats, Flammarion, Paris, 2013