Un simulacro della democrazia

John MacArthur
La casta americana
Casini Editore, Roma, 2010

Il libro Une caste américaine. Les élections aux Etats-Unis expliquées aux Français di John MacArthur smembra metodicamente il sistema di potere alla base della democrazia Stati Uniti a partire dalla macchina elettorale dei due partiti egemoni che all'occorrenza si coalizzano per impedire ogni possibile alternativa. Nelle parole di MacArthur la democrazia americana si rivela essere un simulacro della democrazia.

Nessun commento, solo alcuni appunti.


Realtà e mito della mobilità sociale americana

Radicatosi nell'immaginario popolare attraverso la letteratura pulp come quella creata nel XIX secolo da Horatio Alger Jr., la scalata verso il miglioramento sociale ed economico costituisce un principio centrale nella vita americana, un balsamo che giustifica tutte le altre ingiustizie e disuguaglianze.

Le cose non stanno così.

Persino durante la più egualitaria era dell'amministrazione Jackson - il periodo notoriamente tanto studiato e celebrato da Tocqueville - poche sono le prove di una mobilità ascensionale di una certa sostanza. Il purtroppo poco noto storico Edward Pessen riconobbe Democracy in America come "paurosamente preveggente" e come il singolo libro più incisivo mai scritto prima di allora sulla civiltà americana. Ma in fatto di libri "rags—to-riches" Pessen scrisse, in un importantissimo saggio pubblicato nel 1971 , che il grande sociologo francese si era sbagliato così come molti altri storici che a lui si sono ispirati. Parafrasando la visione di Tocqueville, Pessen disse:

Secondo la teoria egualitaria gli Stati Uniti erano una società governata da una grande massa di persone che formavano i ranghi medi. Minoranze sfortunate a parte, i pochi che c'erano erano o poverissipni o ricchissimi [..]. Questa società dinamica era dominata dal mutamento continuo; lo stato di ricchezza e di povertà era una condizione effimera in questo contesto caleidoscopico [..]. La deferenza cedeva il passo alla stridente legge delle masse non appena i ricchi, in stato d'assedio, giravano le spalle a una politica permeata dalla volgarità, dall'opportuniemo e da altre espressioni di disamore proprie del potere popolare. La democrazia sociale e la democrazia economica seguivano la scia della politica democratica, dalla quale in parte erano generate. In una società che esaltava il lavoro al di là dello status, le barriere di classe si dissolvevano e perdevano d'importanza. E una parità di condizioni quasi, se non addirittura, totalmente perfetta scaturiva dall'impareggiabile uguaglianza di opportunità che all'epoca di Tocqueville costituiva un arricchimento per le già abbondanti risorse naturali, per i progressi della tecnologia e per l'energia prodotta dall'uomo presente in America fin dall'epoca dei suoi primi insediamenti.

Tocqueville era esplicito nel sostenere questa idea. «In una società democratica come quella degli Stati Uniti la fortuna scarseggiava», scriveva il sociologo, in quanto «la parità di condizioni [che] garantisce una certa dose di risorse a tutti i membri della comunità [..] allo tempo impedisce loro di possedere risorse di grande entità». Inoltre, sosteneva Tocqueville, con la sua forte inclinazione a generalizzare, «in America la maggior parte dei ricchi era originariamente povera». Altrove, riflette Tocqueville, «Non esiste paese al mondo in cui le fortune private siano più precarie di quanto lo sono negli Stati Uniti. Non è raro che un uomo, nel corso della propria vita, raggiunga un determinato rango sociale e poi affondi ripercorrendo all'indietro tutti i gradini che, dall'opulenza, conducono alla povertà».

Pessen demolì queste affermazioni dopo aver studiato i registri erariali relativi alle élites benestanti di New York, Boston, Philadelphia e Brooklyn; rinvenne preziose tracce che riconducevano ad alcuni piccoli movimenti dal basso verso l'alto della scala sociale. Scoprì, ad esempio, che «il 95 per cento circa delle persone più facoltose di New York proveniva da famiglie con uno status sociale e occupazioni di livello elevato o benestanti; che il 3 per cento aveva un background di livello "medio" nella scala sociale; solo il 2 per cento era nato povero. Una piccola porzione di abitanti di Boston composta dai suoi cento cittadini più abbienti aveva umili origini con forse il 6 per cento proveniente da famiglie di ceto medio».

Pessen limitò la sua critica al secondo quarto del XIX secolo, ma avrebbe potuto benissimo commentare anche i miti contemporanei che circolano intorno all'uguaglianza della nazione americana. «Malgrado l'ideologia popolare, l'era dell'uomo comune era importante soprattutto per quei pochi ricchi che discendevano di fatto da gente comune. Quando viene messa a confronto con precedenti periodi della storia americana, l'era dell'egualitarismo appare come un'epoca di crescente rigidità sociale».

Dopo il crollo del mercato azionario nel 1929, quando la nazione piombò nell'era della Grande Depressione e della disoccupazione di massa, gli studi di alcuni sociologi come Robert e Helen Lynd rivelarono che le vittime di questa tragedia economica - per la maggior parte persone che avevano a disposizione mezzi umili o tipici del ceto medio - tendevano a incolpare sé stessi della propria condizione, non i ricchi o le élites. Analogatnente a Ragged Dick, milioni di americani che negli anni Trenta subivano la mobilità sociale verso il basso apparentemente avvertivano che la sfortuna finanziaria era un fulmine a ciel sereno tanto quanto lo era il successo. Questa consapevolezza anti-marxista e anti—lotta di classe contribuisce a spiegare il motivo per il quale negli Stati Uniti il Partito Socialista e il Partito Progressista non avrebbero mai ottenuto più di un milione di voti o giù di lì in nessuna delle elezioni presidenziali post—crisi e corrisponde contemporaneamente alla filosofia dell'ottimismo e a quella del fatalismo, così radicate nel carattere degli americani.

Eppure, se gli americani delle classi più basse tendono a non covare risentimento verso le classi più agiate, la upper class americana, per quella che è la mia esperienza, tende quasi sicuramente a disdegnare le classi inferiori e a mantenere con determinazione il proprio status. La coscienza di classe è estremamente viva tra i ricchi, il che spiegherebbe perché l'élite politica che attinge i suoi contributi fin'anziari da donatori facoltosi si adopera così tanto per eliminare ogni idea di divisione di classe in America (l'esempio migliore di avversione di questo tipo nei riguardi del pubblico dibattito sulle disparità di classe si è avuto quando George Bush, proveniente da un contesto sociale benestante, accusò l'altrettanto benestante Al Gore di aver dato inizio a un "conflitto di classe" facendo ricorso a una retorica moderatamente populista durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2000).

Se gli americani di ceto medio e povero avessero saputo davvero come venivano visti dai ricchi, avrebbero avuto ottimi motivi per preoccuparsi. Ma se avessero avuto di fronte le aride statistiche che illustravano, nei fatti, l'imperante immobilità sociale del loro paese, sarebbe emersa una grande disillusione intorno all'american dream.

Oggi, la rags-to-riches story è incarnata da imprenditori di straordinario successo come Stephen Jay Ross, defunto presidente della Time Warner, e da S. Daniel Abraham, il miliardario fondatore di Slim-Fast, gigante delle bevande dietetiche ed espressione di un potere pacato all'interno del Partito Democratico. Il fatto che entrambi provenissero da famiglie modeste, però, non serve minimamente a contraddire i dati basilari che riguardano la vita dell'economia americana. Questi dati hanno avuto scarsa pubblicità, anche se i due estremi americani della ricchezza e della povertà sono abbastanza noti e spesso divulgati con toni sensazionalistici. È difficile far finta di niente di fronte alla vastità degli averi di un magnate della private equity come Stephen Schwarzman, il miliardario direttore generale della Blackstone Group, che ingaggiò la rock star Rod Stewart per una singola performance in occasione dei festeggiamenti per il suo sessantesimo compleanno un servizio per il quale, a quei tempi, Stewart chiedeva generalmente un compenso di 1 milione di dollari. Se si vive a New York, lo stile di vita opulento di Schwarzman e dei suoi simili appare in totale contrasto con quello delle migliaia di hotneless che popolano i marciapiedi e i parchi della città.

Ma questi paragoni sono ovvi e oscurano le storie meno eclatanti dell'immobilità di classe. I media riferiscono volentieri degli eccessi dei ricchi perché sono un argomento poco impegnativo, stuzzicante e divertente. Con lo stesso spirito, i mezzi d'informazione provano gusto nelle cronache di spettacolari crolli finanziari di milionari di alto profilo come Huntington Hartford, l'erede dissoluto di una grande catena di supermercati. E a tipi di documentazione meno seducenti come Women's Labor Market Involvement and Family Income Mobility When Marriages End, ricerca condotta nel 2002 da due economisti della Federal Reserve Bank di Boston, che si preferisce affidare la presentazione delle cronache reali sulla mobilità sociale in America. Nel corso della loro ricerca, Katharine Bradbury e Jane Katz scoprirono che del quinto più povero delle famiglie americane intervistate nel 1988, il 53,3 per cento occupava ancora il quinto gradino in fondo alla scala dell'indice dei salari nel 1998. Un altro 23,6 per cento si collocava a un gradino di distanza dal penultimo quinto della scala economica, il 12,4 per cento era al terzo gradino, il per cento raggiungeva il secondo e solo il 4,3 per cento si attestava sul gradino più alto.

Vista dall'alto in basso la storia era pressoché identica, considerando quanto fosse raro che una grande parte della popolazione fosse in grado di compiere grossi salti in avanti da un ceto all'altro. Bradbury e Katz scoprirono che il 53,2 per cento delle persone che occupavano il livello più alto della scala dei salari nell'anno 1988 sarebbe rimasto nelle posizioni alte per il decennio a venire, che il 23,2 per cento era retrocesso dal primo al secondo gradino, che il 14,9 per cento era sceso al terzo, il 5,7 per cento era arretrato fino al quarto e il 3,0 al quinto e ultimo dei complessivi cinque gradini.

Nel saggio America Unequal, pubblicato nel 1995, e in uno studio aggiornato pubblicato all'interno di Dynantics of Child Poverty in Industrialised Countries (2001 ), gli economisti Sheldon H. Danziger e Peter Gottschalk hanno preso in esame il destino economico di due diversi gruppi di bambini di razze diverse, ciascuno dei quali tenuto sotto osservazione nell'arco di dieci anni. Nel primo gruppo, esaminato tra il 1970 e il 1980, i bambini, di età compresa tra zero e cinque anni, rimanevano in buona misura chiusi nel ceto sociale al quale appartenevano dalla nascita. Dividendo i ragazzi in base agli introiti dei rispettivi nuclei familiari di appartenenza in cinque distinti segmenti, i due ricercatori scoprirono che dei bambini che costituivano il 20 per cento più indigente dell'intero campione, dopo dieci anni, sei su dieci erano rimasti nella categoria più bassa e, sempre al termine dello steso periodo di tempo, otto su dieci erano rimasti nei due segmenti inferiori della graduatoria. Per quanto riguarda i bambini (sempre di età compresa tra zero e cinque anni) presi in esame nel decennio 1980—1990, le cose andarono leggermente peggio: dei bambini che occupavano il gradino più basso, sei su dieci erano rimasti dov'erano e nove su dieci avevano mantenuto la loro posizione nei due livelli inferiori della graduatoria. Il boom negli anni Ottanta della "supply Side" promossa da Reagan non era stato affatto d'aiuto. Il messaggio che lanciava era inequivocabile: se nasci povero, è probabile che povero morirai. D'altro canto, se si nasce benestanti, è probabile che tali si rimanga. Danziger e Gottschalk scoprirono che tra i bambini appartenenti al 20 per cento benestante delle famiglie prese in esame nel 1970, dieci anni dopo, solo il 2,4 per cento era regredito fino allo scaglione corrispondente a quello degli introiti più bassi e il 6,5 per cento era sceso agli ultimi due gradini della classifica. Nel gruppo esaminato a partire dal 1980 la mobilità verso il basso risultava addirittura minore. Solo il 5 per cento dei bambini appartenenti al segmento in assoluto più ricco precipitò, 10 anni più tardi, in quello più povero di tutti e solo l'1,7 per cento scese agli ultimi due livelli della graduatoria.


Scelta politica e scelta del consumatore

Ogni volta che è possibile, i promotori del libero mercato tentano di mettere in relazione la bontà della democrazia americana con il brivido del consumismo capitalista più sfrenato. Anche se non esiste alcuna prova che la libertà di comprare garantisca la libertà e la democrazia, i fautori del sistema capitalistico americano vogliono che tutti facciano lo stesso collegamento: che la libertà di scelta in politica sia la stessa cosa della libertà di scelta in un negozio.

Non deve stupire allora che affaristi, banchieri, politici e sociologi seguano l'indice mensile della fiducia del consumatore della The Conference Board con un interesse così vivo.

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MP

Bibliografia

John Rick MacArthur
- La casta americana: la democrazia americana, le elezioni, le lobby e il sistema-potere raccontati da un insider, tr. Marella Imparato, Walter Casini Editore, Roma, 2010